Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Carlo Dossi
La desinenza in A

IntraText CT - Lettura del testo

  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO SECONDO
      • Scena prima - Eropatìa
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

ATTO SECONDO


 

Scena prima - Eropatìa

 

Se ad uno di que' rarìssimi giovanottini, sulle cui guance la foglia di rosa ancor non cedette a quella di nicoziana, miracolosamente passati intatti fra le bambinaje, le maestrine ed i preti, si domandasse, additando una processione di gente che pare nudrita a lucerte e pende più al verde che al giallo, màssime nelle tasche, e trae fin dalle calcagna i sospiri e ti risponde una cosa per l'altra, o cose che nessuno capisce, compresa lei, si domandasse, dico «¿or che vedi?» certo risponderebbe «ammalati.» E noi, battèndogli amichevolmente la spalla, «bravo » gli diremmo «hai trucciato, perocché sono innamorati.» Ma allora il giovanottino, il quale, proprietario di una completa poètica profumerìa, ha letto che amore è «il sole dell'ànima» (vero, perché dal sole vien l'ombra), che senza mùsica e amore la vita non sarebbe che una lenta agonìa, e sìmili quiproquò, ci mostrerebbe impersuaso la sorridente fila de' suòi bianchìssimi denti, amàndole senza la buccia, e tirerebbe innanzi, platonicamente incicciando, a confidare alla luna i suòi fastidi col burro. , noi, tolga Dio, ci ostineremmo a guastargli l'innocentìssimo divertimento. L'uomo è nato all'inganno. Chi non imbroglia neppure il suo ìntimo amico, bisogna bene che azzitti la naturale necessità, imbrogliando almanco sé stesso.

Tuttavìa — fra noi, che mastichiamo da un pezzo coi denti del giudiziopòveri denti! già la carie vi mina) — quella folla dalla tinta pantrito e dalle fiacche morelle alle occhiaje, è proprio d'innamorati. ¡O amore, tossicoso miele! ¡o amore, inevitàbil castigo! ¿chi mai non reca qualche sfregio di , fosse pure il nessuno, che è di tutti il più ingrato? ¿chi può vantarsi fuor da' tuòi colpi, finché di nulla più possa, finché non lo vesta l'abete?... ¡O amore, fonte di maggiore rovina che non la fame e la peste, tu che le sei, non di rado, ambedùe!

Ed ecco, nella interminàbil sequela delle vìttime tue, un giòvane. A lui, bello, ricco, d'ingegno, tutto sorrideva all'intorno. Non un cuor gli era viêto, non una strada chiusa, ed egli poteva, per la preferita, procèdere velocemente, ché possedeva carrozza, toccando la meta, tanto per il demèrito, quanto, il che è più difficile assài, per il mèrito. Eppure, il suo volto è giallo come una foglia a novembre, è vizzo come un borsello a Natale; eppure, a paragone dell'ànimo suo, il nero è un allegro colore. ¿Che ha mai? Il mèdico, che lo tastò e sperò e bussò, ci assicura ch'ei suona campaninamente bene. Ma il scientìfico occhio non gli è giunto al cervello, dove l'imàgine di una donna gli asciuga, insaziàbile spugna, ogni men vile pensiero, di una donna di cui il giòvane spàsima la limòsina solo di un guardo, senza osar di cercarla. Ché, amore, il quale spesso impudenza, quì ha tolto il coraggio. Lo specchio rende al giòvane brutta la bellezza di lui, intorpidito l'ingegno è a confortarlo con rammentargli che egli sempre conserva quella seconda beltà, che per le donne è la prima, la numeràbil beltà; dell'ingegno anzi di un tempo egli più non si sente se non quel barlume, che fàccialo avvisto come l'ingegno sia ito. E, sfiduciato completamente, fugge gli amici il cui sorriso lo offende, fugge l'umano consorzio di cui sospetta ogni occhiata; fugge, alla fine, con un'oncia di piombo, l'insopportàbile sé — ¡a ventitrè anni, pensate!

Poi, ecco un uomo di mezza età. Era la gioja delle brigate, il piatto migliore di un pranzo. Tanto tondo di corpo, quanto acuto d'ingegno, tenèa (caso non troppo frequente) il satìrico umore in perfetta bilancia colla bontà. Scarso a fortuna — ed anche quel poco gli costava moltìssimo — gliene avanzava pur sempre per farsi un piacere, facendone altrui. La sua cassa a risparmi, dicèa egli, èrano le saccocce de' suòi amici, donde traeva per interesse, di poter guardare, senza rimorso il passato, e senza paura il futuro. Tanto che, allegramente, egli metteva già il piede fuor dell'ùltima soglia di gioventù, quando, nel vòlgersi indietro a serrare la porta, cadde in due occhi, tùrgidi di desiderio, che parèvano dirgli «aspetta». ¡Pòvero Meo, sei fritto! ¡Addìo, balda scapigliatura, addìo lùcide bicchierate e dormite profonde! L'appetito scomparso, sostituito al sognetto il sonetto, le vesti gli fanno sacca, la zecca dello spìrito suo più non conia epigrammi, sibbene epitafi. Il buon uomo è diventato irascìbile, è diventato intrattàbile, veramente «moroso.» È allora che il suo capo d'uffizio comincia a lagnarsi della peggiorata calligrafìa di lui e de' protocolli macchiati, e gli domanda con meraviglia, perché per Agosto copii Agostina, e per quanto a, guantaja. Perché il capo d'uffizio ancor non l'ha visto in una certa bottega di mode, ad un banco e dinanzi una sninfia di tosa, rosso come un papàvero, tutto sudato pel batticuore dello sforzarsi un pajo di guanti del sette su de' manoni del nove; che il nostro uccel di San Luca si vìrgola il pasto per inviare alla sua insìpida bella cartocci di parlanti confetti, mandorlati di millefiori, rosoli di lungo amore, cioccolata con la cannella, e altrettali commestìbili dichiarazioni. Nel che, a onore del vero, il galantuomo pigliava la rettìssima via, entrando le idèe meglio assài per la bocca che non per gli occhi e le orecchie. Ma, se più retta la via, non era quella del buon mercato. A poco a poco, le camerette di lui si sgòmbrano di mobiglia. ¿Che mai più orrendo d'amore senza quattrini? Bentosto, il tabarro gli si consuma in ventaglio. Infatti, con il caldo d'amore, era l'uno di troppo, e l'altro di manco. Bentosto il suo fido orologio gli s'è fermato per sempre. ¿Dove il tempo è perduto, a che un orologio?

E, per ùltimo, un vecchio. Quì usurpo alla patologia. Costùi, al polo antàrtico delle passioni, trovàvasi appunto in quella temperatura indispensàbile alla conservazione di un morto. Egli spirava la ragnosa maestà di una centenaria bottiglia, parèa il granajo dell'esperienza, e venìvano tutti a picchiare al suo uscio per domandargli pareri buoni, ch'egli accordava liberalmente, non potendo più dare cattivi esempi. Ma, a un tratto, la sua onesta canizie si abbuja nel più furfante dei neri; gli occhiali cèdono all'occhialino, la tabacchiera alla spagnoletta, il suo mangiagroppi-portiere al tailleur de Paris. Gettati via i volumi dell'equànime scienza, noi lo vediamo, il majùscolo bimbo, ricompitar febbrilmente l'ars amandi d'Ovidio, e l'art d'aimer di Bernard, o meditare il Meibonio de usu flagròrum e la ricetta itifàllica di Arnaldo di Villanova; poi, tutto azzimato e olezzante sì da sembrare un imbalsamato cadàvere, sedersi sull'orlo de' tamboretti, lui malsicuro in una poltrona, girando caprinei sguardi, spargendo, come egli crede, amorosi disastri. Ma il disastro è uno solo, lui stesso. Già lo stramonio e la cànape hanno iniziato il loro tremendo lavoro. Infuria l'estromanìa, il tètano eròtico. Agonizzante ei s'aggira, gli occhi ebetiti, le labbra schiumose, barcollando sull'usta di un'inarrivàbile donna, ch'ei bramerebbe inghiottire ne' suòi epilèttici amplessi...; O dottore! cessa il bromuro e la cànfora. È tardi. Non giova più che lo schioppo.

Or, per chi vuole un contorno a questi trè assortiti salami, ecco monti di suole inutilmente perdute e libri zeppi di pòlvere e calamài assetati e lenzuola lògore dall'insonnia con schiene ancor più logorate, e patrimoni in isfascio e laghi di làgrime con così fieri sospiri da cacciarli in burrasca. Ché se tu ti disperi di non èssere amato, il vicin tuo ciò o per èsserne troppo o non abbastanza, e se tale, tradito da una diavolessa, strilla come un porcellino di latte, altri, cui tocca, piange di possedere un àngelo. Oh che burletta l'amore! Per lui, un formaggiajo si accorge, dopo trent'anni, che c'è la luna, e cercando una somma, trova la rima che un poeta ha smarrito nelle idèntiche ortiche. Tizio dalla magnetizzata con i capelli della sua baja; torna Sempronio dal professore Mercuri senza i suòi propri. Quì un cuoco, abbagliato dal «caro oggetto» che sarà, penso, una trecca intingente la pettinina nell'aqua de' fagioletti, còmpera luccio per trota; Automedonte, alla vista delle adorate spadine, ribalta con i padroni. In questa, un pittore, eternamente copiando l'ùnico muso di quella che «sola a lui pare donna», esaurisce sé in compagnìa della pazienza del pùbblico; e intanto che un organista, pensando alla maestrina normale, bacia piangendo il consapèvol barbone, la maestrina sovvenendo di lui pizzicotta stizzosa la sua dozzina di scolarucci. E vi ha, chi, d'ingegno, inasinisce estasiato alle trullerìe che vèngono da una seràfica bocca, oppure si ostina a lègger Petrarca e sonare Chopin a chi non capisce se non Marchesini e Vernazzi; come vi ha, chi, nojato alle pàgine le più rovaniane ossìa le più generose, brilla di gusto ai solecismi di cuore, peggio che di sintassi, di uno di que' letterini, che, incominciati offrendo un bacio, finìscono domandando un marengo. ¡Ma e poi! ¡che tragedia, l'amore! Trema, la prima volta, il gelato cassiere contando i rotoletti dell'oro,, egli non scorge più cifre, sibbene gale e sorrisi; nega l'amico il dovuto soccorso all'amico per soddisfare ai capricci di una inimica; il padre stesso strappa i pendenti alla figlia per appènderli a orecchie che danno ascolto a chiunque. ¿Che più? Donizzetti muor scemo; smidollato Raffaello, e, giacché siam fra gli Dei, Èrcole torce le lane di Omfale (la sua peggiore fatica) ed il medèsimo Giove, dall'olìmpica calma, in oca, in bue...

Mira, o lettore, la scarna cùpida faccia di chi, da quelli scacchi di ferro, vede passare lìbera e fiera la ganza nella pompa di un lusso che il suo delitto le paga; odi, da quell'altra prigione cui da aguzzino la Carità, i ruggiti di loro, che hanno per un chignon perduta la testa; sogna, a sfondo, la negra purèa del milanese Tombone, dove tra fràcidi mazzi di fiori e scocciate bottiglie, tra mànichi di pitale e pisciatura con li occhi, vanno convolte le lìvide salme del tradimento, pasto alle cheppie e ai gazzettieri cronisti.


 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License