È sera e siamo in istrada. Due belle ragazze, in quella età in
cui tutt'intorno par lor ripetuto quel «sì» che le sèntono dentro, sostàvano
sobbracciate davanti le luminose vetriere di un caffè, raccogliendo, di tra 'l
scucchiarìo e il vocìo, i gratùiti suoni di una orchestrina, uno di quèi
rimasugli dei godimenti degli altri, come i falliti carnovaleschi gettoni, gli
effluvi de' rosticciài, i mozziconi di zìgaro, i razzi e gli areòstati al volo,
che fanno la parte men triste delle proprietà di chi non ne ha, nelle quali
primèggian la ruota e la strada maestra, l'ospedale e la càrcere, la forca e la
fossa comune. Belle, chiamài le due tose, ma fu un complimento. Proprio, di
bella, nessuna; la nera peraltro scusava. E le lor vesti di umilìssima stoffa
ma di irriprovèvole taglio, ce le dicèvano, a un tempo, oneste e sartine.
«To', la Milia,» esclamò Bortolina, pìccola bionda, che avèa
un visoccio paffutamente scipito come la dama nelle carte da gioco. E,
stringendo il braccio all'amica, accennava ad una magnìfica giòvane, che nel
caffè, tutta trine e velluti e sopra sé andando al pari di una regina, porgeva
da una cestella, a dritta e a sinistra, fiori, e promettèvane altri più
riservati, a trè o quattro di que' scozzona-cavalli in
pelle da gentiluomo, detti ancora lions da chi non li ha uditi a ragliare.
¡Pòveri fiori colti per tutti! andavate ben presto sul vostro fatal mondezzajo.
«¿Ti ricordi, eh? Pippetta,» continuò Bortolina, «quando la
Milia veniva a scuola dall'Honorine e non aveva pur sottanine ed era tutta
pàter ed ave e metteva il suo pan di tritello accanto al nostro formaggio per
dargli un poco d'odore? Ecco, in men che non cuoca un aspàrago, buttati via gli
zòccoli e tolto un nome di scarto, Cora, la ci passa dinanzi senza più
ravvisarci, perché ha orecchini di diamante e gonnella di moire. ¡Guarda!
toletta nuova anche oggi. Milia stà al primo piano; tien cameriera e una corte
di servitori paganti, và ai bagni di mare e alle aque, viaggia; mentre i
giornali le fanno il trombetta e la sua faccia bronzina è venduta fin sulle
scàtole dei zolfanelli, insieme ai ritratti di Cavour e Manzoni...»
Ma la seconda fanciulla, la nera, di cui la selvaggia magrezza
o piuttosto asciuttezza delle forme e del volto, tradiva gli intensi
insoddisfatti desìi:
«¿Sai che cosa t'ho a dire?» interruppe, «che le sciocche siam
noi ad èssere quello che siamo; noi, che al disopra di un quinto piano, ci
ostiniamo a gettare la notte, che è del piacere, nella fatica; cucendo, con gli
occhi rossi dal pianto, le gaje vesti della baldoria; allargando, con lo
stòmaco stracco dalla vuotezza, il corsetto della fanullona che impingua;
impellicciando, con le dita agghiadate, gli altrùi ripari del freddo; e tutto
questo, per guadagnarci... ¿Cosa?... tanto da prolungare la fame. Ah! ¡gli
scrùpoli al papa! Un dì o l'altro dò un calcio allo scatolone ed imbraccio il
mio panierino di fiori...»
«¿E l'onestà, o Pippetta?»
«Gonfia parola come la panna montata, che ti riempie la bocca
un momento, e alto lì; parola inventata dai ricchi per salvarsi dai pòveri.
¡Tàgliami fuori una giubba da questa tua onestà, se sei buona; sòffiaci sopra,
se puòi, perché la ti scaldi la zuppa; pòrtala al monte senza Pietà e là chiedi
che ci affìdino sopra! Prèdichi pure il prevosto — lui che suda butiro e
sospira di... replezione — che le oneste figliuole hanno il vantaggio d'andare
attorno con la fronte scoperta. Intanto, il rossore delle altre è coperto da
una veletta di pizzo; intanto noi seguitiamo, le oneste, in abituccio di tela,
a imbastire il velluto delle inoneste. No, no, Bortolina, non mi s'imbroglia più
altro con una tale parola sì opposta al nostro benèssere. Ho risolto. Domani
colgo i mièi fiori, e mi offro...»
«Tua madre lo impedirà...»
«Mamma, toccando questi,» (e fe' l'atto) «diventerà cieca e
sorda. Certo, se mi frullasse di peccare con uno che non potesse divìdere meco
se non il puro peccato, ella ne inorridirebbe, mi coprirebbe d'ingiurie, e
sapendo ch'io non troverèi altro tetto, mi caccerebbe, senza rimorso, dal suo.
Ma fà che colùi sia un manzetto indorato quale il contino Pavìa o il cavaliere Formaggia
od il Nàum (che, in confidenza, mi fanno già le occhiatine, pedinàndomi in
strada) e mamma si glorierà di servirmi, ella stessa, da portinaja. ¡Scema! a
tiro di due, il vizio non è nemmeno più vizio; a tiro di quattro è già una
virtù.»
«¿Per cui, addìo Carlo?» dimandò Bortolina.
«¡Pòvero Carlo!» disse Pippetta con una tal quale amarezza, e
taque un istante. «Ma,» aggiunse con smania, «alla mia età una fanciulla è
fuoco. Io più non posso camparla a sola speranza, con le ragnaje che m'invàdono
il seno, odorando piaceri che mai non giungo a gustare; io più non voglio
sentirmi a spedale con un cuore da rè. Carlo pazienterà. A lui darò il
mazzolino per nulla, gli aprirò un negozietto, gliel empirò d'avventori,, poi, quando n'avrò in costa abbastanza da potergli
èsser fedele, lo sposerò, se ancora non mi odia...»
«Carlo è sì buono,» insistette Bortolina.
«Di là di buono,» rincarì la compagna, aggiungendo peraltro
(il che ci dispiace), «tanto buono che la sarebbe inverso la Provvidenza una
ingratitùdine a non accoccàrgliene qualcheduna. E, in fondo, ¿che gli farèi?
Gli farèi un po' prima nulla più di quanto molte gran dame (piglia ad esempio,
la duchessa di Stabia e la baronessa Caprara) hanno fatto ai loro signori
sposini un po' dopo...»
«Ma una volta che la pèntola è rotta...» saltò su a dir la
quietina, e insieme arrossì.
«Eh ci ha magnano per tutto,» ribattè l'altra. «Un filo di
verginità avanza sempre...»
«¿E se ci resti?»
«In nove mesi c'è tempo di non partorire.»
«¿Ma e la coscienza?»
«Altra parola da mandare a braccetto colla onestà. Coscienza è
sì dolce di complessione, che ogni qualunque panzana la quieta.»
«¿Dunque, nessuna paura di andare in bocca al...?» e Bortolina
non osò proseguire.
«¿Paura io?» fece Pippetta, sbottando in un'aspra risata. «Chéh!
¡se è il diàvolo anzi che dovrà farmi il corredo! ¡O credarella, ben altro ci
vuole a pèrdere un'ànima, fosse pur d'un bottone! Per mè, odo sempre il
prevosto, quando dal pùlpito grida ‹imitate la Maddalena.› Ora, per rettamente
imitarla, bisogna incominciar dal peccato. Il pentimento vien poi. Ché qualche
cosa da fare, un po' nuovo, và riserbato per la vecchiaja, quantunque di
penitenza, a dire la verità, ne abbiamo, tanto io che tè, anticipata fin
troppo. ¡O Bortolina! non ti confòndere. Vedrài che Pippetta ti raggiungerà in
Paradiso, e ¡chissà mai! per la scala del taccuino. ¡Santa Pippetta! ¡che
spicco! Già, lo disse il prevosto, ‹tutti i gran santi fùrono gran peccatori.›»
«Basta; fà tu una cosa per bene,» profferì la biondina a metà
persuasa.
E la nera: «Tutto stà a infilar giusto la strada.»
Ma, in quella, un vecchiastro — che, soffermato lì presso,
orecchiava — avanzando nel mezzo delle loro fragranti testine una faccia tra il
cimitero e la parruccherìa, dalla pupilla e dal labbro oscenamente obliqui; e
accomodàndosi insieme, con la paralìtica mano, sulla nera cravatta di raso, una
spilla a brillanti: «Bimbe,» balbettò con la bazza, «¿posso insegnàrvela io?»
Tra di esse, da braccio a braccio, passò un significante
sussulto. Bortolina, abbassando lo sguardo, imbragiò: l'altra si volse con
occhi allegri… alla spilla.
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