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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO SECONDO
      • Scena quinta - Lire cinque d'amore.
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Scena quinta - Lire cinque d'amore.

 

¿Matricolino, che fai su quella portuccia dal semiaperto cancello, dal lungo àndito scarsamente illuminato? ¿che fai, tra il voglio e il non voglio di una novìssima sposa, nell'una mano il borsello, un lucicore d'argento nell'altra? ¿Dùbiti forse di non averne abbastanza? oh non temere! C'è amore di tutti i prezzi. Fìdati nella tariffa. Entra. È porta larga a chiunque, come quella di un tempio.

¡I parenti! i parenti! ¿perché protrarti l'impaccio delle or cadute catene? E sì che ben sai come ti trovi quà solo, di notte, in una buja città dove t'ignòrano tutti, fuorché un padrone di casa il quale bada piuttosto al tuo fitto e ad un bidello d'università, puro custode di nomi. La importuna affezione de' genitori ti è finalmente lontana. Mamma che ti accompagnava finquì, per porre una mano d'amore nel noleggiato tuo nido, è già tornata alla villa, e ti stà imaginando in un bianco lettino odor di lavanda con l'àngiol custode a rincalzarti le coltri. Ella crede: ¿non basta? Il vero fu sempre individuale apparenza. Finché creduto, tal dura. E, quanto al babbo che russa, oh non dàrtene pena! Egli conosce gli umori del mondo. ¿Non lo hai udito tu stesso, allorquando, nell'imbottirti il borsello, dicèa «è tempo che Silvio impari la vita.» E la vita è questa. «È necessario che Silvio diventi uomo.» ¡Entra, fanciullo! Uscirai fatto uomo.

Ma, forse, tu sei un pochino poeta; sei di que' strambi dai desideri senz'orlatura, che, guardando la luna, crèdon giovare alla terra; e illùdonsi di riformarla con il metro e la rima. Fors'anche, t'hai messo insieme un'amorosa a mosàico — tra la nùvola e l'ombra — e la sospiri, la attendi, non la vorresti tradire. Ah! ¡poverino! ¿perché affannarsi a raggiungere un «» che mai non è «quì»? L'uomo e il suo ideale, sono le ruote di un medèsimo carro che sempre si còrrono appresso e non si tòccano mai. Sì, aspetta, aspetta. Ti sciuperài vanamente, qual solitaria accesa candela che non illùmina se non lo struggersi suo. ¡Pròvati intanto, col mondo, a vantare questa poètica verginità, tu ìntimo orgoglio! ¡Ecco il rossore! ¡ecco la soglia del ravvedimento! Vàrcala, sognatorello; rientra... nella Realtà.

¡Ma Dio che diàvolo ti fu impastocchiato di noi! ¿Noi, vero? ¿le balconiere, le erranti? ¿noi le scucite, le avvelenate, le eccètera? Il dizionario par fatto a nostra ùnica gloria. Gli è il rosario d'ingiurie, che ci rècita contro, ogni giorno, quel catechista dal grugno sinistramente compunto, che non dovendo aver moglie ha marito, o quel maestro di scuola, letterario purista dalle eròtiche sgrammaticature, che mai non passa da noi, perché passiamo da lui. Oh fuori dalle ipocrisìe! Tutte le donne sono una stessa sonata. ¿Che importa a , se il denaro ti vien dalla piazza oppure dalla zecca, quando il suo tìtolo è pari? ¿che ti se il volume sia già tagliato od intonso, quando, per lèggerlo, dovrài tagliarlo egualmente? Anzi, come reliquia, che, più baciata, più impregia, come cambiale che, quanto ha più firme, ha più crèdito, tale una fèmmina. E, anche noi, siamo belle ragazze, più meno delle altre,, anzi, il nostro, è il mestier delle belle; e siamo sane e giojose. Oh vedessi che piatti-e-che-scoppi... di riso! ¡quale coscienza! ¡qual stòmaco!... E quanto poi al «pulite», abbiamo la tromba sul pianeròttolo, e si consuma, la parte nostra, di sapone di Como. «Ma non oneste,» tu dici. ¿E le altre? ¿oneste fino a qual somma?

Contuttociò, sia. Chiamiamo pure l'amore di quelle quattro immacolatelle, fuoco di quercia; fuoco il nostro di gelso. ¿Forseché il gelso non scalda? Chiamiàmolo, il loro, «manzo»; il nostro, modestamente, «giovenca»: ¿non vanno entrambi a finire nel medèsimo cesso? Ci si paga, è vero, ¿ma e che non si paga sul gran mercato del mondo? Colèi, che rifiuta scandolezzata un marengo, accetterà sorridendo un giojello, se anche vàlgane il triplo; mentre il donarsi di un'altra salderà le partite di un tuo debitore, il marito. Torna insomma in quattrini il nonnulla dei dolci, dei fiori, dei prêsti gentili, e del resto; t'accorgerài quanto convenga quel gràtis. Noi, generose, ti domandiamo uno scudo; le altre, un anello. ¿Sai tu veramente, sìmile anello, che costi?

Oh che si gòdano in casa la lor compassione insultante, queste tue mezze pulcelle dalla irremovìbile gonna, vera campana del vuoto! ¡queste tue pregne di purità lussuriosa, che, facendo l'amore con pitocherìa e or lusingàndoti con i sorrisi, or con le ingiurie, ti tèngono anni in tentìgine e ti sbilànciano prima di cominciare; per poi, quando vorresti cavàrtela, chiùderti seco in un inferno di paradiso, donde non trovi più uscita! oh che non tèntino di soppiantarci quelle pompose tue dame, severe soltanto con chi non le prega, pudiche con chi lor non aggrada, le quali, inzuppando di làgrime i fazzoletti sui tristi casi della Stefania Gentili o sulla morte del merlo, fan disperare e lo sposo e gli amanti, asciùgano questi, affàmano quello, e ti contòrnano di un campionario di corni sotto forma di bimbi! Guarda invece quà dentro. Ecco bocche che vògliono solo mangiare, non mòrdere. Da noi la schietta natura senza sorprese sottintesi; da noi, Vènere còmoda e fàcile,, nessuna paura di un imminente marito, o, peggio ancor, di una moglie; da noi solamente, il piacere, che ha sede nell'incostanza. ¡Porta a se non ti amiamo dal cuore! quel che mangi ti ama, e tu ne pigli assài gusto. Ma noi intanto abbiam salvo moltìssimi innamorati, devoti a pròssima fine; e spesso le nostre labbra riunìrono il bacio de' più fieri nemici; mentre l'ingegno, per noi, sbarazzato dalla mortale zavorra, spinse il volo più in alto, e siedette la plebe sur il trono dei . Oh davvero il gran caso, in tante celle di miele, una puntura di ape! ¡Viva Francia! ¡evviva il lièvito dell'intelletto!

¡Eppure, tu non ti muovi! Si direbbe perfino che ti stai impigliato in qualche sterpo di quel grand'albero morto ma non ancora abbattuto, che chiàmano «religione»; si direbbe che ti minaccia all'orecchio il brontolìo di quèi biliosi predicatori pei quali Adone più non risorge. ¡Ve' l'ingrata genìa!... Foss'anche vero quanto abbàjano essi, che quì si compra la perdizione, ¿di', non è forse la nostra che fa prosperare la loro bottega? — ¿dove n'andrebbe, senza peccato, la penitenza? ¿che lor frutterebbe quaresma, impreceduta da carnovale? Senonché, credi a , ci calùnniano. I nostri antichi diucci, come gli altri più grossi, li battezzammo anche noi e dal disotto la foglia ci protèggono sempre; il lampadino delle nostre Madonne ha mai patito la sete. Làsciali dunque, quelli arrabbiati, latrare alle loro platèe di scranne di paglia ed alle adulatrici navate; lascia, che, con il fumo di un servizièvole inferno, accechino i goffi, spremendo loro dagli occhi argentino dolore. ¡Gelosìa dell'impotenza! ¡animosità di mestiere! Ché, a esorcizzare il demonio che nel sangue ti avvampa, ci vuol ben altro (e lo sanno) di qualche sprùzzolo d'aqua e di un po' di latino. Entra invece da noi, moccoluccio di sagrestìa. Il tuo diavoletto ci spirerà tra le braccia di soavìssima morte.

¡Eppòi! ¿ami davvero la Patria? sostieni allora il più popolare de' suòi istituti. L'annalista ti dice che fare la storia del lupanare è un farla all'umanità, e il filòsofo, che tutto è prostituzione più o meno dissimulata, mentre il giurista ti accerta, col jus laxandi còxas, che noi guadagniamo, al pari d'ogni altra, un onestìssimo pane; e il polìtico, che la tutela della pùbblica moralità siamo noi, noi lo smaltitojo delle passioni e il pozzo donde si attinge la castità. Attìngivi dunque anche tu. ¡Stolto chi muor di sete al fiume in riva! Attingi, dove i tuòi padri, gli amici, i compatrioti, il stesso (questo tuo nome nei fasti della nazione) vèngono colle secchie. E se ciò non ti basta, ma esigi altre prove di nobiltà, èccoti in noi (¡giù quel cappello!) una «privativa regia», come il tabacco, l'azzardo, l'eccidio e altrettali virtù. Ché, virtù non essendo, tanti uòmini illustri ci avrèbber difese e godute, tante dame imitate, ci sarebbe governocompiacente da tollerarci; ¿che dico? di arruolarci egli stesso, facendo a mezzo del lucro. ¿Credi tu, che si possa puntellar con il vizio la vacillante virtù, che è come dire, mèttere a guardia della pècora il lupo? ¿credi tu che uno Stato abbia licenza di patentare l'immoralità, d'autorizzarla con un tributo, di pigliar quindi interesse al di lei prosperare? Oh non pensarlo nemmeno, e se lo pensi, taci. Chi ti protende la cava mano è la cenciosa Finanza. Quà la borsa e la vita. È dovere di patriota.

¿Ma che? il giovinetto, mordèndosi il labbro e rintascando il borsello, abbandona la insidiosa portina. ¡Scaccomatto a Berlicche! una materna preghiera è arrivata al Signore.

«¡Birbemòrmora egli, lungi scagliando ciò che brillàvagli in mano. E la moneta, cadendo, un suono di corso forzoso... volevo dire di falso.

¡Pòvera madre! l'ardentìssima prece non avèa in cielo trovato più Dio.


 




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