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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO SECONDO
      • Scena nona - Al veglione.
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Scena nona - Al veglione.

 

Dirèi «è l'època delle màschere» ma, ciò potendo significar tutto l'anno, dico piuttosto «è l'època in cui le maschere càdono

Nel così-detto tempio dell'Arte, dove echeggiàrono appena le melodìe di Rossini e Bellini, nòbile cibo d'amore, si terranno 'stanotte gli Stati Generali di tutte le alte e basse puttane della città. «La è la risorsa della pòvera impresa» dicono i calvi abbonati nell'indossar la marsina e intascando un pajo di guanti da un dito. E veramente, la bottega del Diàvolo ha sempre fatto più affari di quella di Dio. Chi non mi crede, entri. Entrate anche voi dalle belle ideone sulla maschile generosità e sulla femminil gentilezza, tutte idèe che figùranbene nella nìtida stampa di una raccolta di versi. Basta un veglione a restituire il criterio, smarrito in un anno di studio.

Entrate. Non vi ributti, se assuefatti agli ambienti senza risparmio delle montagne e dei laghi, quest'aria pregna di pòlvere e odorante la buccia d'arancio, l'ammonìaca e il gas; questo tanfo di letamajo rimuginato. Senza colore or si suona una polca e poche coppie giritondèggiano fiaccamente, quasi ballàssero a nolo. La maggior partemaschi che in nera assisa da ballo si piglierèbbero per camerieri se avèssero un viso un po' più da signore; o fèmmine con quel tanto di copertura che è sufficiente a tenere in crèdito il nudopassèggiano di su e di giù, gareggiando di scipitezza, in un prolungato sbadiglio, in un'agonìa a suono di banda. E le dame nei palchi, gelate le spalle pel vicino marito, già sospìran dicendo: «è un veglione che non si

Non disperiamo però. La pistola della follìa si stà caricando: l'orgia è nel perìodo d'assorbimento. Per molti la cena è ancor dubbia, e chi conosce la pesca che l'amo e le reti si gèttano in silenzio.

Approfittiamo piuttosto del momento di calma per sondar le nostre aque. Teniamo dietro, ad esempio, a quel grosso fattore dalla faccia vinosa ed allocca, sceso appena in città coll'ùltimo sacco di grano, il quale procede trionfante a braccetto di due mascherine alla dèbardeur, l'una in azzurro e l'altra in scarlatto. In queste, i caratterìstici segni di tutte. Ambedùe, palle di gomma, che bàlzano di pugno in pugno; venditrici, ambedùe, di merce che rimane lor sempre. Ma se la prima è di quelle che mai non pèrdon la testa per farla pèrdere completamente altrùi, la seconda è dell'altre che incomìnciano a pèrderla loro. Nell'una il peccato è càlcolo, nell'altra natura. Quella in azzurro, la Sciana, dalla voce mielosa e dalla pupilla monacalmente sorniona, guarda prima il denaro, poi la mano che l'offre, bilancia l'oro e la carne, mettendo prezzo perfino alla concessione pudica del bacio e aggio al silenzio, e succhia come un sifone fino all'ùltima stilla, e nel «sommo di Afròdite» può sempre distìnguere, se la camicia dell'avventore è di olandetta o battista, manca, quando ciò valga la pena, di scompagnargli i bottoni; l'altra invece, che è detta la Firisella, dagli occhi pazzi e verdògnoli e dalla voce aspreggiante, per il più bello lascia spesso il più ricco, non conta i baci, più di quanto le è cêrco, e, se dopo imborsella, non domanda mai prima, anzi talvolta, venuta per la mercede, se la scordò. Con l'una insomma non si fanno che affari, con l'altra si può far anche all'amore; pur, se la prima consentirebbe, basta ci guadagnasse, perfino a durarti fedele, non potrebbe ciò l'altra a niun patto. E inoltre, la Firisella ha generato alla fame nuovi èsseri, mentre la Sciana li ha tacitamente soppressi; con la natural conclusione, che se a quella il peccato stà accelerando l'ospedale o la càrcere, al contrario la Sciana, convertendo manmano questo peccato in tanta rèndita pubblica, si mette in disparte — a maggior gloria della giustizia divina — un còmodo ravvedimento inaffiato a Bordeaux e nutrito a fagiani.

Ingiuriàtemi pure, teòlogi; la Verità mi difende. Quanto importa alla beatitùdine provvisoria del buon campagnuolo, è ch'ei non scerne nelle due donne se non le polpe e i sorrisi, e quanto importa alla loro, è che s'avvìano a cena.

E , il teatro a poco a poco si sfolla e il lampadario rimane a illuminare sé stesso.

 

Ma la cena è scroccata. La variopinta turba rinsàccasi fracassosamente nell'amplìssima sala. Si rinfòllano i palchi e stuona la banda con più accanimento di prima. Fùrono a eccitar l'appetito con cibi che lo farèbber fuggire, se fosse; fùrono a conquistar l'allegrìa, mercè una bevanda, che dello Champagne non possiede che il prezzo. Il teatro sembra un ardente colossale punch. Sparge a nembi Cupido le avvelenate sue frecce e il pòlline aleggia della tisi e del tifo. Vedi donne seminude e briache dar la scalata ai palchetti, gridando da ossesse; vedi gruppi di gente, o piuttosto di otri di vino, saltacchiare ad urtoni, credendo forse ballare, illusi di divertirsi. «La festa si mette bene» sorrìdon dai palchi le dame e carèzzan con l'occhio gli scàndali della platèa; poi, esclamando «¡che porcherìa!» con una smorfia di compiacenza adoràbile, scompàiono a riparare il pudore tra le adùltere ombre dei camerini. ¡O speziali, pestate, spalmate, mescete! ¡Fondete, armajoli, affilate!

Non si òdono più se non grida. Ùrlasi, quasi il teatro bruciasse. Ma, quantunque di spìrito se ne sia molto ingojato, non ne brilla una goccia.

Ed ecco una donna, mezzo svestita in scarlatto, piantarsi sul parapetto di un palco nella linea ondeggiante di Hògarth, e protendendo la mano alla folla, con una voce che tutte sorpassa strillare: «¡onorèvoli

 Un fischio universale. Il pùbblico non vuol saperne di onore. E allora:

«Tutti vigliacchisbràita il dèbardeur, correggèndosi; e l'atto ribaldo che immortalò la Spartana.

«¡Viva la Firisellaapplàude la folla.

E il tumulto si eleva. Chi ha la testa un po' a casa, ve la conduca del tutto. È doppia pazzìa, credete, starsi da savio fra i pazzi. A che ci val la giusta ora, dove quella di tutti è sbagliata?

c'è più lingua che obedisca a cocchiere. L'allegrìa si litigiosa. Uno se la piglia con l'altro del malèssere proprio; scàmbiansi ingiurie e indirizzi, suonano schiaffi e copponi. Senonché l'uva, già premuta dal piede, vèndicasene sottraèndolo. Vinti e vincenti, questurini e briffalde, tòmbolano a catafascio e una volta sul suolo divèntano suolo; quanto ancor pòssono fanno, cioè s'addormèntano. E allora le oneste signore de' palchi, cui nulla più avanza a vedere, riavvòlgonsi nei loro scialli, dicendo: «fu il miglior dei veglioni

¿Ma e chi mai, di tutti coloro che uscìvano dal teatro pieni di pellicce e di lue, si accorse, sotto l'atrìo di strada, di una cenciosa tosetta con un bàmbolo in braccio e un ragazzino per mano, bubbolanti pel freddo e frignanti per fame? — ¿e chi mai, se si accorse, non rispose un insulto alla pòvera bimba, che singhiozzando chiedèa: «c'è la mia mamma dentro? Mia mamma è la Firisella


 




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