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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO TERZO
      • Scena prima - Còdice e cuore.
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ATTO TERZO


Scena prima - Còdice e cuore.

 

Ersilia Blandamore, vèdova Agnolotti, è nel suo Sancta-Sanctòrum, fra il pizzo della pettiniera, i piedi sul caldanino. In queste gelose località, odor di pasticca stantìa, non è diffìcile d'incontrare una vèdova, màssime se sia sull'ammuffire; anzi dirèi, che una vèdova e il suo abbigliatojo non fanno se non una cosa, come ne fanno una sola alchimista e fornello. La non s'acconcia però, il che signìfica che la si è già acconciata. Difatti, la colta negligenza del suo abbigliamento e della sua pettinatura le deve èsser costata un mucchio di tempo, di riflessioni e di spilli. Ma or finalmente respira. Per quella sera, la freschezza e bellezza di Ersilia pòssono dirsi al sicuro; e però la troviamo, quantunque ancora seduta allo specchio e alle bugìe della teletta, esaminando uno scartafaccio giallastro, tolto probabilmente da quel vicino stipo di sàndalo, uno scartafaccio sùdicio da mille dita curiali, tutto gualcito, a graffiature, a corni, fra il testamento ed il contratto di nozze. E madama ne legge un perìodo, poi una occhiata a un librino che innanzi le stà, il quale (me ne rincresce per voi, fabbricatori di versi) è puramente, è prosaicamente «il Còdice civile» al tìtolo delle «successioni

Ma, a quanto pare, quella lettura e il raffronto non la soddìsfano troppo. Ersilia si morde spesso le labbra, sciupàndovi un sorrisetto fresco ancor di pittura. Ella ha bel lègger col cuore; il còdice, oh l'incivile! non ne riecheggia il tic-tac e le invece risposte che sono dosi di digitale. Vògliono che le donne non intèndano bricia agli affari. Io non dico di no per gli affari degli altri, ma, quanto ai propri... ¡alla larga!

Senonché il cuore, che ha bisogno suo cibo, le attira a poco a poco lo sguardo a un ritratto in fotografìa il quale posa sulla teletta, e la mano, che facilmente si lascia persuadere dagli occhi, ne segue tosto la strada. Esso è il ritratto di un militare, di un officiale di cavallerìa. Ersilia lo ammira innamoratamente. Di qualsisìa fucina, gli sproni han sempre dolce sonato ad un orecchio di donna, ché essi annùnciano il gallo, quel gallo che è la passione delle galline; e così amore di cavallerìa arriva prima d'amore di fanterìa per la naturale ragione che bestia con quattro gambe più presto cammino di bestia con sole due. Aggiungi a quell'ufficiale una nomèa di duellista; e quì tu impara, o poeta, che una stoccata di ferro vale presso alle donne assài meglio del complimento più acuto; aggiùngigli un profumo di scapestrato (cara promessa al bel sesso), di giuocatore, ed anche un tantino di birba (sinònimo tra il sesso brutto di non minchione); poi, ¡sfida la più impiombata sottana a non liquefarsi! Ma nel guardar quel ritratto, il bocchino da popa di Ersilia si raggrinzò malizioso. Intanto la mano di lei s'era messa a frugare nello stipetto, dove scorgèvansi, alla mescolata, medaglioni a capelli, lèttere sciolte e a pacchetti, scatolucce, astuccini,, e ne traeva una tabacchiera rotonda di tartaruga, che ella pulì dalla pòlvere e depose vicino all'imàgine in fotografìa. Stava sulla tabacchiera un altro ritratto di uomo, una memoria preziosa per i molti brillanti. Sarèbbesi detto il padre di lei, anzi il nonno; ¡e ne era il marito! Pur, ¡grazie al cielo! un marito col «fu.» Oh pòvero «fu» di un sor Àngiolo! ¡quale magra figura fan quelli spauriti tuòi stinchi, invano dissimulati dalle pròdighe brache, veri compagni di quel terzo bastone cui ti puntelli a mostrarti, anche in pittura, un trepiede, a confronto dei gagliardi garretti e delle dense cosce dell'ùssero! oh come le tue spallucce, sulle quali stà scritto ignobilmente lo sgobbo, pàjono rattrappite innanzi ai larghi òmeri dell'ufficiale, che pòrtano così superbi la lor fanullàggine! oh come il tuo babbio, paragonato al faccione saldo di carni, pieno di succhio e baffuto del maggiore Parisi, sembra volere celarsi, più ancor vergognoso, nel cravattone e sue vele latine, ittèrico, senza peli, asciuttìssimo... come il tabacco di cui t'hanno fatto coperchio! Il quale tabacco ben ricordava ad Ersilia il naso del fu consorte, ma questo naso, ahimè! nulla. Sul che madama, aggricciando, spinse da sé quel ricordo di maritale Siberia.

E tornò al testamento. Il testamento non èrasi intenerito. Eppure ella più non potèa serbar fedeltà ad un morto, ella che non avèane al vivo,, la non poteva più sola coricarsi in un letto che suo marito medèsimo avèa fatto costrurre per due. Benché di cinigia cosparsi, i carboni del cuore di lei non èrano estinti. Ella era ancor bella, ancora piacente — e volse gli occhi allo specchio. Ma contentìssima non ne sembrò, dello specchio s'intende. Oh brutti specchi del giorno, non più fedeli come quelli di un tempo! Poiché madama indugiava su quel terrìbil confine che stà fra il vino e l'aceto, fra lo scettro e la scopa, fra il concèdere e il chièdere, il quale costa a una donna più indecisioni, più grattacapi che non costasse al gran Giulio il passaggio del Rubicone. Ed era un pezzo che Ersilia non festeggiava il suo compleanno, e già da cinque anni gliene mancava sempre uno a toccare que' benedetti quaranta. Invano la onesta miseria si recideva per lei le sue trecce più nere; invano i baràttoli moltiplicàvansele attorno. Intònaco nuovo non rinnova la casa; paralumi e velette non ci nascòndono al tempo. Era un piattino che cominciava a putire, e però gli occorreva di bolognarsi-via alla svelta, pena la fogna; era una rosa in semenza, una bellezza tarmata e invocante... — e quì Ersilia rifisse lo sguardo pien d'adulterio e coheuil sur il ritratto dell'officiale, mentre disotto la vèloutine le vampeggiava la guanciainvocante i mozziconi di sìgaro e il pepe.

Oh il primo amore pàlpita bene, ma quanto più l'ùltimo! Delle sole due volte in cui si ama davvero, l'una all'A della vita, l'altra alla Zeta, se il primo amore può dirsi il paradiso di Adamo, cioè dell'inscienza, l'altro lo è della scienza; è il paradiso di Epicuro e Gorini. In quello infatti, l'età, l'istinto, l'imperioso bisogno di èssere buoni specialmente con uno, ci fanno gridare il «trovài» al primo non inamàbile oggetto di desinenza diversa nel qual ci scontriamo; àmasi allora il pan di tritello perché l'appetito infierisce, ancor si conobbe il pan di frumento; e, quali ignari della Brianza e dei laghi, si felici in campagna a Precotto; come si legge con entusiasmo il d'Azeglio imprevedendo Rovani e si suona Gounod insospettando Rossini. Nell'altro invece il gusto iscaltrì; si pônno fare confronti, si sceglie, e della scelta si godere; non c'è paura di rovesciare il bicchiere prima d'averlo alle labbra, ma senza spànderne goccia lo si centella — con calma, con erudizione. Il primo amore ci apre insomma una via; l'ùltimo ce la chiude; il primo sottintende un secondo, l'ùltimo... nulla. Ed è perciò che ci attacchiamo a quest'ùltimo come alla tàvola estrema il naufrago.

Dai quali pensieri agitata, madama si alzò e si die' a passeggiare.

Apparve alla gialla portiera la bianca cuffietta ed il rosato visino di una servuccia annunziante: «il maggiore Parisi

Ersilia tremò, benché l'aspettasse. Infatti i trè giorni di tregua èran spirati. Il maggiore veniva per la risposta. Si trattava, pensate, di una mano e di un cuore e tutta lei dicèa «sì.» Ma il testamento rumoreggiava «no e no.» Avèa saputo il defunto perpetuare la di lui gelosìa. Da dieci anni lo mangiava la terra e nondimeno la vèdova se lo sentiva, qual cataplasma, notte e sullo stòmaco. ¿Che mai rispòndere dunque? A ventimila lire di rèddito si valutava la di lei fedeltà: ¿valèvane forse altrettante Azzolino? Ahimè! (e sospirò) ¿Ebbene? ¿non si poteva proprio transìgere? ¿non sarebbe bastato al suo vedovile prurito il possesso d'un cuore? ¿non basterebbe al maggiore? e madama, sostando alla pettiniera, si rinfrescò col pennello un sorriso che una làgrima d'ira le avèa rapito.

«¿E gli dicodimandò la servetta.

«Vengo.»

La cameriera fe' per andàrsene.

«¡Stàdisse Ersilia cacciando rinfusamente e còdice e tabacchiera e carte legali nello scrignetto, che serrò a chiave. «Vojaltri andate pure a dormire. Dovete èssere stanchi. Il maggiore ha molti affari con ... Chiuderò io la porta...»

Richiese la cameriera con un ghignuzzo:

«E pel scaldaletto

Ma Ersilia, cristianamente:

«Scuso senza stasera


 




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