ATTO TERZO
Ersilia Blandamore, vèdova Agnolotti, è nel suo
Sancta-Sanctòrum, fra il pizzo della pettiniera, i piedi
sul caldanino. In queste gelose località, odor di pasticca stantìa, non è
diffìcile d'incontrare una vèdova, màssime se sia sull'ammuffire; anzi dirèi,
che una vèdova e il suo abbigliatojo non fanno se non una cosa, come ne fanno
una sola alchimista e fornello. La non s'acconcia però, il che signìfica che la
si è già acconciata. Difatti, la colta negligenza del suo abbigliamento e della
sua pettinatura le deve èsser costata un mucchio di tempo, di riflessioni e di
spilli. Ma or finalmente respira. Per quella sera, la freschezza e bellezza di
Ersilia pòssono dirsi al sicuro; e però la troviamo, quantunque ancora seduta
allo specchio e alle bugìe della teletta, esaminando uno scartafaccio
giallastro, tolto probabilmente da quel vicino stipo di sàndalo, uno scartafaccio
sùdicio da mille dita curiali, tutto gualcito, a graffiature, a corni, fra il
testamento ed il contratto di nozze. E madama ne legge un perìodo, poi dà una
occhiata a un librino che innanzi le stà, il quale (me ne rincresce per voi,
fabbricatori di versi) è puramente, è prosaicamente «il Còdice civile» al
tìtolo delle «successioni.»
Ma, a quanto pare, quella lettura e il raffronto non la
soddìsfano troppo. Ersilia si morde spesso le labbra, sciupàndovi un sorrisetto
fresco ancor di pittura. Ella ha bel lègger col cuore; il còdice, oh
l'incivile! non ne riecheggia il tic-tac e le dà invece
risposte che sono dosi di digitale. Vògliono che le donne non intèndano bricia
agli affari. Io non dico di no per gli affari degli altri, ma, quanto ai
propri... ¡alla larga!
Senonché il cuore, che ha bisogno suo cibo, le attira a poco a
poco lo sguardo a un ritratto in fotografìa il quale posa sulla teletta, e la
mano, che facilmente si lascia persuadere dagli occhi, ne segue tosto la
strada. Esso è il ritratto di un militare, di un officiale di cavallerìa.
Ersilia lo ammira innamoratamente. Di qualsisìa fucina, gli sproni han sempre
dolce sonato ad un orecchio di donna, ché essi annùnciano il gallo, quel gallo
che è la passione delle galline; e così amore di cavallerìa arriva prima
d'amore di fanterìa per la naturale ragione che bestia con quattro gambe fà più
presto cammino di bestia con sole due. Aggiungi a quell'ufficiale una nomèa di
duellista; e quì tu impara, o poeta, che una stoccata di ferro vale presso alle
donne assài meglio del complimento più acuto; aggiùngigli un profumo di
scapestrato (cara promessa al bel sesso), di giuocatore, ed anche un tantino di
birba (sinònimo tra il sesso brutto di non minchione); poi, ¡sfida la più impiombata
sottana a non liquefarsi! Ma nel guardar quel ritratto, il bocchino da popa di
Ersilia si raggrinzò malizioso. Intanto la mano di lei s'era messa a frugare
nello stipetto, dove scorgèvansi, alla mescolata, medaglioni a capelli, lèttere
sciolte e a pacchetti, scatolucce, astuccini,,
e ne traeva una tabacchiera rotonda di tartaruga, che ella pulì dalla pòlvere e
depose vicino all'imàgine in fotografìa. Stava sulla tabacchiera un altro
ritratto di uomo, una memoria preziosa per i molti brillanti. Sarèbbesi detto
il padre di lei, anzi il nonno; ¡e ne era il marito! Pur, ¡grazie al cielo! un
marito col «fu.» Oh pòvero «fu» di un sor Àngiolo! ¡quale magra figura fan lì
quelli spauriti tuòi stinchi, invano dissimulati dalle pròdighe brache, veri
compagni di quel terzo bastone cui ti puntelli a mostrarti, anche in pittura,
un trepiede, a confronto dei gagliardi garretti e delle dense cosce
dell'ùssero! oh come le tue spallucce, sulle quali stà scritto ignobilmente lo
sgobbo, pàjono rattrappite innanzi ai larghi òmeri dell'ufficiale, che pòrtano
così superbi la lor fanullàggine! oh come il tuo babbio, paragonato al faccione
saldo di carni, pieno di succhio e baffuto del maggiore Parisi, sembra volere
celarsi, più ancor vergognoso, nel cravattone e sue vele latine, ittèrico,
senza peli, asciuttìssimo... come il tabacco di cui t'hanno fatto coperchio! Il
quale tabacco ben ricordava ad Ersilia il naso del fu consorte, ma questo naso,
ahimè! nulla. Sul che madama, aggricciando, spinse da sé quel ricordo di
maritale Siberia.
E tornò al testamento. Il testamento non èrasi intenerito.
Eppure ella più non potèa serbar fedeltà ad un morto, ella che non avèane al
vivo,, la non poteva più sola coricarsi
in un letto che suo marito medèsimo avèa fatto costrurre per due. Benché di
cinigia cosparsi, i carboni del cuore di lei non èrano estinti. Ella era ancor
bella, ancora piacente — e volse gli occhi allo specchio. Ma contentìssima non
ne sembrò, dello specchio s'intende. Oh brutti specchi del giorno, non più
fedeli come quelli di un tempo! Poiché madama indugiava su quel terrìbil
confine che stà fra il vino e l'aceto, fra lo scettro e la scopa, fra il
concèdere e il chièdere, il quale costa a una donna più indecisioni, più
grattacapi che non costasse al gran Giulio il passaggio del Rubicone. Ed era un
pezzo che Ersilia non festeggiava il suo compleanno, e già da cinque anni
gliene mancava sempre uno a toccare que' benedetti quaranta. Invano la onesta
miseria si recideva per lei le sue trecce più nere; invano i baràttoli
moltiplicàvansele attorno. Intònaco nuovo non rinnova la casa; paralumi e
velette non ci nascòndono al tempo. Era un piattino che cominciava a putire, e
però gli occorreva di bolognarsi-via alla svelta, pena la
fogna; era una rosa in semenza, una bellezza tarmata e invocante... — e quì
Ersilia rifisse lo sguardo pien d'adulterio e coheuil sur il ritratto
dell'officiale, mentre disotto la vèloutine le vampeggiava la guancia —
invocante i mozziconi di sìgaro e il pepe.
Oh il primo amore pàlpita bene, ma quanto più l'ùltimo! Delle
sole due volte in cui si ama davvero, l'una all'A della vita, l'altra alla
Zeta, se il primo amore può dirsi il paradiso di Adamo, cioè dell'inscienza,
l'altro lo è della scienza; è il paradiso di Epicuro e Gorini. In quello infatti,
l'età, l'istinto, l'imperioso bisogno di èssere buoni specialmente con uno, ci
fanno gridare il «trovài» al primo non inamàbile oggetto di desinenza diversa
nel qual ci scontriamo; àmasi allora il pan di tritello perché l'appetito
infierisce, nè ancor si conobbe il pan di frumento; e, quali ignari della
Brianza e dei laghi, si và felici in campagna a Precotto; come si legge con
entusiasmo il d'Azeglio imprevedendo Rovani e si suona Gounod insospettando
Rossini. Nell'altro invece il gusto iscaltrì; si pônno fare confronti, si
sceglie, e della scelta si sà godere; non c'è paura di rovesciare il bicchiere
prima d'averlo alle labbra, ma senza spànderne goccia lo si centella — con
calma, con erudizione. Il primo amore ci apre insomma una via; l'ùltimo ce la
chiude; il primo sottintende un secondo, l'ùltimo... nulla. Ed è perciò che ci
attacchiamo a quest'ùltimo come alla tàvola estrema il naufrago.
Dai quali pensieri agitata, madama si alzò e si die' a
passeggiare.
Apparve alla gialla portiera la bianca cuffietta ed il rosato
visino di una servuccia annunziante: «il maggiore Parisi.»
Ersilia tremò, benché l'aspettasse. Infatti i trè giorni di
tregua èran spirati. Il maggiore veniva per la risposta. Si trattava, pensate,
di una mano e di un cuore e tutta lei dicèa «sì.» Ma il testamento rumoreggiava
«no e no.» Avèa saputo il defunto perpetuare la di lui gelosìa. Da dieci anni
lo mangiava la terra e nondimeno la vèdova se lo sentiva, qual cataplasma,
notte e dì sullo stòmaco. ¿Che mai rispòndere dunque? A ventimila lire di
rèddito si valutava la di lei fedeltà: ¿valèvane forse altrettante Azzolino?
Ahimè! (e sospirò) ¿Ebbene? ¿non si poteva proprio transìgere? ¿non sarebbe
bastato al suo vedovile prurito il possesso d'un cuore? ¿non basterebbe al
maggiore? e madama, sostando alla pettiniera, si rinfrescò col pennello un
sorriso che una làgrima d'ira le avèa rapito.
«¿E gli dico?» dimandò la servetta.
«Vengo.»
La cameriera fe' per andàrsene.
«¡Stà!» disse Ersilia cacciando rinfusamente e còdice e
tabacchiera e carte legali nello scrignetto, che serrò a chiave. «Vojaltri
andate pure a dormire. Dovete èssere stanchi. Il maggiore ha molti affari con
mè... Chiuderò io la porta...»
Richiese la cameriera con un ghignuzzo:
«E pel scaldaletto?»
Ma Ersilia, cristianamente:
«Scuso senza stasera.»
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