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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO TERZO
      • Scena quinta - Nel confessionario.
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Scena quinta - Nel confessionario.

 

È la garetta del cattolicismo, lo spiritual lavandino. È all'amicizia ciò che consìmili località sono all'amore. Per forma, un farraginoso cassone in noce antica e massiccia, a trè riparti, sculto baroccamente. Difatti, i suòi quattro pilastri — quattro cariàtidi d'àngiolo terminanti in diavoleschi sgraffi sì da parer piedi loro — sorrèggono un gran lattemiele di nubi, dove ¡guài bàttere il capo! prepuntato a visini paffuti, che se non avèssero occhi non si dirèbbero visi, e nel cui sommo si sdraja un angiolottone dalle gote abbottate, soffiante in una tromba di giudiziale asta per isvegliare o i rimorsi del peccatore o il confessore che pìsola. In quel casotto si scorge, di spirituale salute, una imàgine della crocifissione cancellata in gran parte (salvoché nel ladro sinistro) dall'unto sacro e non sacro della nuca del prete, e di temporale il rubicondo faccione chiazzato di pòrpora del prete stesso che non vi cape quasi più dentro. Dinanzi al quale, inginocchiato sulla predella, stà un uomo calvo, vecchio e smontato come la gialla livrèa che indossa — una livrèa dai penzolanti bottoni e dall'orgoglio semi-sbiadito di passamani ducali.

«Avanti, figliuolo caro il confessore in una voce tutt'olio di màndorle dolci e un imbalsamato sorriso, allargàndosi insieme con l'ìndice e il pòllice il colletto sudicelestrino. «Fin quì, tu mi conti peccati del di lavoro, peccati, diremo, dal becco gentile, i quali, a lavarli, basta l'aqua del pozzo. Fruga... fruga nella pulciosa camicia della coscienza... Ne acchiapperài dei più grossi...»

Il vecchio parve raccògliersi, intanto che il prete, aperta la tabacchiera, aspirava lentamente una presa; poi, con una trèmola voce: ¡ Iddìo quanti! ¡ma la memoria è sì fiacca!...

«Allora,» ripigliò il confessore, spazzàndosi-vìa dalla bottoniera la tabaccosa pòlvere, che andata negli occhi del penitente, obbligò questi a starnutare e bàttere il naso sul davanzale dello sportello, «allora ti verrò incontro io. Tu hai un figliuolo...»

«¿È un peccato

«Tutt'altro. È una grazia di Dio,» e don Perlasca spiegava sul volto del servo un moccichino tanè, fatto più per sporcare che non per pulire. «Anzi è la grazia maggiore dopo quella della verginità. Nondimeno,» aggiunse, smoccolàndosi il naso rumorosamente, «gli è appunto dal legno della grazia divina, che si tàgliano fuori i peccati più duri. ¿Com'è dunque, che questo tuo figlio, per cui la eccellentìssima padrona tua ha uno speciale interesse, essèndosi non solo degnata di assicurargli la vita eterna col tenerlo lei stessa a battèsimo, ma anche la provvisoria col preparargli un fiore di cappellanìa, com'è, dico, che quel due-soldi di cacio, quel piscialetto, vuol fare rivoluzione

«Geppino è ancora un ragazzo. Non ha cognizione. Fu solo, che all'apparir del barbiere del Seminario, ci scappò dalle mani, e... ¡addìo o!»

«Non è naturale, non è naturaledisse il pretocchio, dindonando la testa. «Punto primo, a un ragazzo è sempre piaciuto vestirsi da più della sua età e màssime da abatino. Poi, la vocazione di lui era troppo decisa per potersi ingannare. Quì c'è sotto cantina... una cantina di pèssimo vino; quì io odoro,» e fiutò un'altra presa, «il diàvolo. E non mi sbaglio, ve'! ché, a quanto ci si riferì, stesso, che come capo di casa, hai il sacrosanto dovere del buon esempio, ti sei rifiutato a mèttere il nome in una certa sottoscrizione...»

«Oh don Serafino! bisognava dare una lira. Sono un pòvero servo, io, càrico di lègna verde. ¿Non forse che il pane è cresciuto di due centèsimi

«Mèrito doppio allora. Il mèrito consiste appunto nel dare quanto non si potrebbe. ¡In sìmili casi poi! ¿Ma e non ti dìssero, sciagurato, a quali estremi si trova il nostro miracoloso pontèfice, che dopo di avere cavato alla Madre di Dio la macchia e largito gli incalcolàbili benefici del sìllabo e della infallibilità, è, nuovo Cristo, sepolto vivo dagli odierni giudèi, che gli fanno tremando la guardia? ¿ma non ti mostràrono mai, almeno uno, di que' fuscelli di paglia del suo santo giaciglio, che gìrano per tutte le terre a mantenervi il falò dello zelo, o qualche po' della rùggine delle gloriose catene, donde effèrvono gl'indelèbili inchiostri dei di lui difensori, oppure qualcuna di quelle scaglie di pietra del càrcere suo, in cui si affìlan le spade che ne saranno la chiave? ¿E se tu ciò non sapevi per ignoranza crassìssima, non ti bastava l'argomento del nome a capo di lista di S.E. la tua signora padrona

Il servo sbassò la testa mortificato.

«Ma passi ciò. Quell'àngiolo d'una signora duchessa, che arriva, al pari della Provvidenza, a tutto, ha firmato lei stessa per , sopra le mance che ti si danno a Natale. ¡Mira tu qual padrona! E passi anche la scappatella del nostro Geppino. È ancora un ragazzo — come ben dici — e noi, sapendo da quale parte vanno pigliati i ragazzi, stà di buon animo, gli mozzeremo il ciuffetto. Avanza tempo di fargli, non soltanto la chierca, ma di cambiargli la zucca di sana pianta. Quello però che non passa...» e quì la marmellata vocale di don Serafino abbruschiva, « passerebbe neppur tra le gambe del gigante Golìa...»

Il vecchio lo guardo ansiosamente.

Il sacerdote rimase un istante in un minaccioso silenzio, poi: «¿Hai anche una figlia, vero

«Sì, riverenzamormorò Mansueto.

«Faccio una tale domanda, non vedèndola mai a dottrina, a confessione. E, ¡pazienza ancora! Ma noi sappiamo che or si marita con...»

«Oh sapesse com'è innamorata

«Il sòlito delle ragazze. Un'ombra d'uomo e son calde. Ma l'importante stà nel ‹colùi.› Ogni buona figliuola dee innamorarsi con gli occhi de' suòi genitori ¿S'innamorò essa co' tuòi

Il vecchio titubò, e: «Certo, l'è un bravo...»

«¿Bravointerruppe il ministro di Dio in un tono di voce che non era più neanche sciroppo di pomi inagrito ma aceto perfetto. «¿E osi proferire una sì nera bestemmia? ¿Puòi chiamare bravo, uno che , non dico a combàttere, ma a predonare gli altari, insieme a quel ‹tale dei tali›, di cui tacio il nome perché ne cadrebbe il cielo del confessionario e allora dovrèi ribenedire la chiesa; insieme, a quel ‹tale dei tali› che vorrebb'èssere lui il nuovo papa, mandando il vecchio a vangare e mettendo in vèndita noi a metri cubi, come si fosse letame — a quel filibustiere felice, a quel insomma della repùbblica, che colle mani pollute da tanto sangue di màrtiri e da tante sgrammaticature, intasca magnanimamente... la fame dei poveretti? Oh quì non ci ha dubbio! Il testo è preciso: maledicti èrunt filii filiòrum tuòrum usque ad centèsimam generatiònem. ¡I tuòi figli saranno tutti bastardi, àspidi tutti e basilischi! Ma già il fùlmine bròntola nelle mani di Dio impaziente di uscirne, mentre l'esèrcito di Satanasso già soffia nell'immensa Geenna... ¡Hai bel aumentare i tuòi tirafùlmini, o stolto! ¡hai bel associarti contro i decreti del cielo!... ¡Patatrac!... Senti che odore di solfo... No, no... io non posso concèderti l'assoluzione. Corre pena di maggiore scomùnica

Il vecchio geme' di terrore.

«Per cui, vedicontinuò il pretacchione, calmàtosi alquanto e tergèndosi con la pezzuola il sudore, «a quali rischi ci esponi. Proprio jer l'altro se n'è discorso colla signora duchessa. Eravamo nel salottino amaranto, grogiolàndoci al caminetto, post pràndium,» e quì don Perlasca ruttò, forse in memoria del pranzo, «e inneggiavamo, s'intende, al nostro immortale gerarca, che ben si potrebbe chiamare il Santo dei mille dolori, domandàndoci insieme le càuse della moda presente d'irreligione; e così, passo a passo, eravamo venuti a parlare della immoralità delle classi plebèe, quindi in particolare della servitù, e finalmente... di . ¡Pòvera eccellentìssima dama! Faceva pietà. Poiché ella tiene per e la tua famigliuola una rarìssima deferenza. Non altrimenti potresti dormirlaspesso in anticàmera, e pigliare la sbornia. ¡Eppòi! basta pensare quante paja di calze a ripedulare a tua moglie e quante sottane a stirare a tua figlia! Senonché, prima della carità, vien la fede. Dio tenga lontano quel brutto caso di scàndalo di cui or dicevamo, quel matrimonio, anzi concubinaggio, ma se il caso avvenisse — ¡poni ben mente! — la tua signora padrona, per quanto di cuore, sarebbe costretta da più sacri doveri a cancellarti dal suo servizio e dalla vicina pensione. E ora, ¿dimmi, o imprudente, cacciato da una sì nòbile casa com'è casa di Stabia, chi mai, se ne togli il diàvolo, oserebbe aprirti la sua? e, pur ricorrendo a un ospizio, o mio ferro di scarto, ¡tròvamene uno, se puòi, in cui non si effonda la soave influenza della nostra signora duchessa

«Oh i mièi figli! » singhiozzò Mansueto.

«Dunque, se ti prèmono un po' questi figli, se non intendi di offèndere Sua Eccellenza e Dio, devi darmi parola...»

«Sì,» disse il vecchio colla voce strozzata.

«Ma, ¿n'è? parola di buono, non da mercante o da deputato, parola dinanzi al Cuor di Gesù e alla Madonna di Lourdes, che Geppino andrà a prete e Giannetta non a marito

«Sì... sì,» ripetè il servitore col fronte sul parapetto.

Don Serafino Perlasca rimase un minuto in silenzio, guatando quella lùcida nuca a di lui discrezione. E parèa il conte Ugolino sul teschio dell'odiato Ruggeri.

«Allora, figliuoloriprese con un risolino tra il soddisfacimento e lo sprezzo, «giacché mi sembri pentito,, al patto che abbiamo fermato, e anche al patto di recitare con contrizione per quìndici giorni alla fila due credi, sei pàter, dieci ave, ùndici àgnus, dòdici gloria, trèdici rèquiem, oltre di mortificarti nella pietanza e nel vino... ego, auctoritate Jèsus Christi qua fùngor, absolvo ab omni vìnculo excommunicatiònis, suspensiònis et interdicti, si quod incurristi, quàntum ego pòssum et tu indìges — (ei s'era tolto la teologìa di capo e messo a trinciare negli occhi del penitente cabalìstici segni i quali in orìgine dovèvano forse rammentare la croce) — deinde ego te absolvo a peccàtis tùis in nòmine Pàtris, Fili et Spìritus Sancti. Àmen. pure.» Ma come il pòvero vecchio, rialzàndosi tutto balordo e fregàndosi colle due mani le lògore ginocchiaje, rimaneva curvocurvo per il lungo costume, qual chi in cerca di funghi: «Ricòrdatiaggiunse, «di presentare la mia umilìssima servitù a Sua Eccellenza donn'Elda, e ringràziamela tanto pel mazzo di beccafichi


 




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