È la garetta del cattolicismo, lo spiritual lavandino. È
all'amicizia ciò che consìmili località sono all'amore. Per forma, un
farraginoso cassone in noce antica e massiccia, a trè riparti, sculto
baroccamente. Difatti, i suòi quattro pilastri — quattro cariàtidi d'àngiolo
terminanti in diavoleschi sgraffi sì da parer piedi loro — sorrèggono un gran
lattemiele di nubi, dove ¡guài bàttere il capo! prepuntato a visini paffuti,
che se non avèssero occhi non si dirèbbero visi, e nel cui sommo si sdraja un
angiolottone dalle gote abbottate, soffiante in una tromba di giudiziale asta
per isvegliare o i rimorsi del peccatore o il confessore che pìsola. In quel
casotto si scorge, di spirituale salute, una imàgine della crocifissione
cancellata in gran parte (salvoché nel ladro sinistro) dall'unto sacro e non
sacro della nuca del prete, e di temporale il rubicondo faccione chiazzato di
pòrpora del prete stesso che non vi cape quasi più dentro. Dinanzi al quale,
inginocchiato sulla predella, stà un uomo calvo, vecchio e smontato come la
gialla livrèa che indossa — una livrèa dai penzolanti bottoni e dall'orgoglio
semi-sbiadito di passamani ducali.
«Avanti, figliuolo caro,» fà il confessore in una voce
tutt'olio di màndorle dolci e un imbalsamato sorriso, allargàndosi insieme con
l'ìndice e il pòllice il colletto sudicelestrino. «Fin quì, tu mi conti peccati
del dì di lavoro, peccati, diremo, dal becco gentile, i quali, a lavarli, basta
l'aqua del pozzo. Fruga... fruga nella pulciosa camicia della coscienza... Ne
acchiapperài dei più grossi...»
Il vecchio parve raccògliersi, intanto che il prete, aperta la
tabacchiera, aspirava lentamente una presa; poi, con una trèmola voce: ¡sà
Iddìo quanti! ¡ma la memoria è sì fiacca!...
«Allora,» ripigliò il confessore,
spazzàndosi-vìa dalla bottoniera la tabaccosa pòlvere, che
andata negli occhi del penitente, obbligò questi a starnutare e bàttere il naso
sul davanzale dello sportello, «allora ti verrò incontro io. Tu hai un
figliuolo...»
«¿È un peccato?»
«Tutt'altro. È una grazia di Dio,» e lì don Perlasca spiegava
sul volto del servo un moccichino tanè, fatto più per sporcare che non per
pulire. «Anzi è la grazia maggiore dopo quella della verginità. Nondimeno,»
aggiunse, smoccolàndosi il naso rumorosamente, «gli è appunto dal legno della
grazia divina, che si tàgliano fuori i peccati più duri. ¿Com'è dunque, che
questo tuo figlio, per cui la eccellentìssima padrona tua ha uno speciale
interesse, essèndosi non solo degnata di assicurargli la vita eterna col
tenerlo lei stessa a battèsimo, ma anche la provvisoria col preparargli un
fiore di cappellanìa, com'è, dico, che quel due-soldi di
cacio, quel piscialetto, vuol fare rivoluzione?»
«Geppino è ancora un ragazzo. Non ha cognizione. Fu solo, che
all'apparir del barbiere del Seminario, ci scappò dalle mani, e... ¡addìo o!»
«Non è naturale, non è naturale,» disse il pretocchio,
dindonando la testa. «Punto primo, a un ragazzo è sempre piaciuto vestirsi da
più della sua età e màssime da abatino. Poi, la vocazione di lui era troppo
decisa per potersi ingannare. Quì c'è sotto cantina... una cantina di pèssimo
vino; quì io odoro,» e fiutò un'altra presa, «il diàvolo. E non mi sbaglio,
ve'! ché, a quanto ci si riferì, tù stesso, che come capo di casa, hai il
sacrosanto dovere del buon esempio, ti sei rifiutato a mèttere il nome in una
certa sottoscrizione...»
«Oh don Serafino! bisognava dare una lira. Sono un pòvero servo,
io, càrico di lègna verde. ¿Non sà forse che il pane è cresciuto di due
centèsimi?»
«Mèrito doppio allora. Il mèrito consiste appunto nel dare
quanto non si potrebbe. ¡In sìmili casi poi! ¿Ma e non ti dìssero, sciagurato,
a quali estremi si trova il nostro miracoloso pontèfice, che dopo di avere
cavato alla Madre di Dio la macchia e largito gli incalcolàbili benefici del
sìllabo e della infallibilità, è, nuovo Cristo, sepolto vivo dagli odierni
giudèi, che gli fanno tremando la guardia? ¿ma non ti mostràrono mai, almeno
uno, di que' fuscelli di paglia del suo santo giaciglio, che gìrano per tutte
le terre a mantenervi il falò dello zelo, o qualche po' della rùggine delle
gloriose catene, donde effèrvono gl'indelèbili inchiostri dei di lui difensori,
oppure qualcuna di quelle scaglie di pietra del càrcere suo, in cui si affìlan
le spade che ne saranno la chiave? ¿E se tu ciò non sapevi per ignoranza
crassìssima, non ti bastava l'argomento del nome a capo di lista di S.E. la tua
signora padrona?»
Il servo sbassò la testa mortificato.
«Ma passi ciò. Quell'àngiolo d'una signora duchessa, che
arriva, al pari della Provvidenza, a tutto, ha firmato lei stessa per tè, sopra
le mance che ti si danno a Natale. ¡Mira tu qual padrona! E passi anche la
scappatella del nostro Geppino. È ancora un ragazzo — come ben dici — e noi,
sapendo da quale parte vanno pigliati i ragazzi, stà di buon animo, gli
mozzeremo il ciuffetto. Avanza tempo di fargli, non soltanto la chierca, ma di
cambiargli la zucca di sana pianta. Quello però che non passa...» e quì la
marmellata vocale di don Serafino abbruschiva, «nè passerebbe neppur tra le
gambe del gigante Golìa...»
Il vecchio lo guardo ansiosamente.
Il sacerdote rimase un istante in un minaccioso silenzio, poi:
«¿Hai anche una figlia, vero?»
«Sì, riverenza,» mormorò Mansueto.
«Faccio una tale domanda, non vedèndola mai nè a dottrina, nè
a confessione. E, ¡pazienza ancora! Ma noi sappiamo che or si marita con...»
«Oh sapesse com'è innamorata!»
«Il sòlito delle ragazze. Un'ombra d'uomo e son calde. Ma
l'importante stà nel ‹colùi.› Ogni buona figliuola dee innamorarsi con gli
occhi de' suòi genitori ¿S'innamorò essa co' tuòi?»
Il vecchio titubò, e: «Certo, l'è un bravo...»
«¿Bravo?» interruppe il ministro di Dio in un tono di voce che
non era più neanche sciroppo di pomi inagrito ma aceto perfetto. «¿E osi tù
proferire una sì nera bestemmia? ¿Puòi chiamare tù bravo, uno che fù, non dico
a combàttere, ma a predonare gli altari, insieme a quel ‹tale dei tali›, di cui
tacio il nome perché ne cadrebbe il cielo del confessionario e allora dovrèi
ribenedire la chiesa; insieme, a quel ‹tale dei tali› che vorrebb'èssere lui il
nuovo papa, mandando il vecchio a vangare e mettendo in vèndita noi a metri
cubi, come si fosse letame — a quel filibustiere felice, a quel rè insomma
della repùbblica, che colle mani pollute da tanto sangue di màrtiri e da tante
sgrammaticature, intasca magnanimamente... la fame dei poveretti? Oh quì non ci
ha dubbio! Il testo è preciso: maledicti èrunt filii filiòrum tuòrum usque ad
centèsimam generatiònem. ¡I tuòi figli saranno tutti bastardi, àspidi tutti e
basilischi! Ma già il fùlmine bròntola nelle mani di Dio impaziente di uscirne,
mentre l'esèrcito di Satanasso già soffia nell'immensa Geenna... ¡Hai bel
aumentare i tuòi tirafùlmini, o stolto! ¡hai bel associarti contro i decreti
del cielo!... ¡Patatrac!... Senti che odore di solfo... No, no... io non posso
concèderti l'assoluzione. Corre pena di maggiore scomùnica.»
Il vecchio geme' di terrore.
«Per cui, vedi,» continuò il pretacchione, calmàtosi alquanto
e tergèndosi con la pezzuola il sudore, «a quali rischi ci esponi. Proprio jer
l'altro se n'è discorso colla signora duchessa. Eravamo nel salottino amaranto,
grogiolàndoci al caminetto, post pràndium,» e quì don Perlasca ruttò, forse in
memoria del pranzo, «e inneggiavamo, s'intende, al nostro immortale gerarca,
che ben si potrebbe chiamare il Santo dei mille dolori, domandàndoci insieme le
càuse della moda presente d'irreligione; e così, passo a passo, eravamo venuti
a parlare della immoralità delle classi plebèe, quindi in particolare della
servitù, e finalmente... di tè. ¡Pòvera eccellentìssima dama! Faceva pietà.
Poiché ella tiene per tè e la tua famigliuola una rarìssima deferenza. Non
altrimenti potresti dormirla sì spesso in anticàmera, e pigliare la sbornia.
¡Eppòi! basta pensare quante paja di calze dà a ripedulare a tua moglie e
quante sottane a stirare a tua figlia! Senonché, prima della carità, vien la
fede. Dio tenga lontano quel brutto caso di scàndalo di cui or dicevamo, quel
matrimonio, anzi concubinaggio, ma se il caso avvenisse — ¡poni ben mente! — la
tua signora padrona, per quanto di cuore, sarebbe costretta da più sacri doveri
a cancellarti dal suo servizio e dalla vicina pensione. E ora, ¿dimmi, o imprudente,
cacciato da una sì nòbile casa com'è casa di Stabia, chi mai, se ne togli il
diàvolo, oserebbe aprirti la sua? e, pur ricorrendo a un ospizio, o mio ferro
di scarto, ¡tròvamene uno, se puòi, in cui non si effonda la soave influenza
della nostra signora duchessa!»
«Oh i mièi figli! » singhiozzò Mansueto.
«Dunque, se ti prèmono un po' questi figli, se non intendi di
offèndere Sua Eccellenza e Dio, devi darmi parola...»
«Sì,» disse il vecchio colla voce strozzata.
«Ma, ¿n'è? parola di buono, non da mercante o da deputato,
parola dinanzi al Cuor di Gesù e alla Madonna di Lourdes, che Geppino andrà a
prete e Giannetta non a marito.»
«Sì... sì,» ripetè il servitore col fronte sul parapetto.
Don Serafino Perlasca rimase un minuto in silenzio, guatando quella
lùcida nuca a di lui discrezione. E parèa il conte Ugolino sul teschio
dell'odiato Ruggeri.
«Allora, figliuolo,» riprese con un risolino tra il
soddisfacimento e lo sprezzo, «giacché mi sembri pentito,, al patto che abbiamo fermato, e anche al patto di
recitare con contrizione per quìndici giorni alla fila due credi, sei pàter,
dieci ave, ùndici àgnus, dòdici gloria, trèdici rèquiem, oltre di mortificarti
nella pietanza e nel vino... ego, auctoritate Jèsus Christi qua fùngor, absolvo
tè ab omni vìnculo excommunicatiònis, suspensiònis et interdicti, si quod
incurristi, quàntum ego pòssum et tu indìges — (ei s'era tolto la teologìa di
capo e messo a trinciare negli occhi del penitente cabalìstici segni i quali in
orìgine dovèvano forse rammentare la croce) — deinde ego te absolvo a peccàtis
tùis in nòmine Pàtris, Fili et Spìritus Sancti. Àmen. Và pure.» Ma come il
pòvero vecchio, rialzàndosi tutto balordo e fregàndosi colle due mani le lògore
ginocchiaje, rimaneva lì curvo — curvo per il lungo costume, qual chi và in
cerca di funghi: «Ricòrdati,» aggiunse, «di presentare la mia umilìssima
servitù a Sua Eccellenza donn'Elda, e ringràziamela tanto pel mazzo di
beccafichi.»
|