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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO TERZO
      • Scena ottava - In càttedra.
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Scena ottava - In càttedra.

 

«Trovàndosi di passaggio per questa nòbil città la cèlebre Sofonisba Altamura del Connecticut, laureata in medicina, filosofia, botànica e astronomìa, la quale ha già commosso, elettrizzato, fanatizzato i pùbblici principali del nuovo e del vecchio emisfero, s'invìtano i veri amici del progresso sociale, e specialmente le amiche, a voler rènderle omaggio, intervenendo a una conferenza che la illustre Dottrice terrà intorno alla più ardente piaga del giorno, ‹la schiavitù delle bianche›. In questa conferenza, la donna verrà esaminata da tutte le parti, si enumereranno i tìtoli suòi psicològici e stòrici al primato animale, la si torrà insomma da quel carruccio di minorità in cui fu messa dal maschio, non tanto per sostenerne quanto per impedirne il cammino

¡, , donne! L'arrosto può bene abbruciare quest'oggi, anche senza di voi, e la biancherìa sporca rimanere innotata sul suolo. ¡Presto! appendete i vostri puttini affamati al collo dei loro asciutti pappà e staccate dal muro le mantellette e i cappelli... «La conferenza avrà luogo alle due in un'àula dell'asilo infantile, gentilmente concessa. Prezzo d'entrata, una lira, a tutto profitto della grand'òpera della Emancipazione

Così dicèa un biglietto-programma che destramente un amico avèami imposto il stesso dell'annunciato pettegolezzo e che dovèa aver fatto, a guardarne il color-Isabella, il giro di mezza città, innanzi trovare il suo goffo. Ma, con , il goffo c'era. Ché io tengo un fortìssimo dèbole per ogni gracchione o papagallina di càttedra, màssime quando si tratta di una, la quale, con una filza di sragionamenticorridòi che non condùcono a nulla — vorrebbe persuadermi che il sesso di lei ragiona meglio del mio e arma una requisitoria contro il sesso barbuto, tacciàndolo di conculcare l'imberbe, come se mezza maschilità non stesse invece a ginocchi, a bocca aperta, dinanzi a queste idolesse; tacciàndoci poi di mantenerle nell'ignoranza, quasiché mai una legge avesse loro proibito il buon uso dei libri e dei sensi, fosse lor stato al capire altro intoppo da quello all'infuori di un cervellino privo di zìpolo e così domandando a gran grida un invertimento con noi delle parti divise dalla stessa Natura nell'umana commedia, e divise a tutto loro vantaggio, perché, se nostri sono il giorno e la piazza, la notte è di esse e la casa — quella casa che è il cuor del paese, quella notte che gènera il giorno. Dal che vedete, s'io sono poi tanto misògino come parrebbe alla scorza. Io non dimèntico mai di aver posseduta una mamma la cui profonda bontà facèa spesso arrossire il mio ingegno, e non dimèntico il bìblico de mulière homo. Uomo e donna complètansi vicendevolmente, come il bottone e l'occhiello, come il violino e l'archetto, come il seme e la terra. Potrèi, ne sono quasi sicuro, pensàndoci un poco , citarvi qualche dozzina di azioni che fanno onore alle fèmmine, e in ogni caso, se scrivessi di noi, mi esprimerèi assài peggio. Quì tuttavìa, in questo capriccio di fantasìa e in questi cinque minuti, volli vedere più con gli occhiali affumati del disinganno che non coi rosati dell'illusione — volli — e la mia scusa stà in ciò, benché non stia il perdono.

Senonché, tornando a' mièi polli (che, a dire il vero, sono piuttosto galline) a casa col biglietto-programma, la leva alla Delia — una ignorantìssima bimba che non altro che amare, un canarino che mi tien gaja la gabbia, mia provvisoria carìssima — e ce ne andiamo, allungando un po' il passo (ché Delia, quando c'è da abbigliarsi, spende un tempo infinito, forse per compensare la fretta dello spogliarsi) a braccetto, contenti più che due sposi, verso gli asili infantili. Ma, come temevo, la conferenza già volgèa al suo fine. Ogni punto v'era stato discusso e naturalmente vinto, ed ora, dopo il riposo di alcuni minuti, si attendeva il ripicco della perorazione. La gruccia intanto non avèa più coccoveggia. Sofonisba Altamura se ne era eclissata, forse a cangiare l'ideale coturno colla reale scarpetta.

Dunque, io e Delia occupiamo tranquillamente il nostro sedile e vi ci orientiamo. La maggior parte del pùbblico è nude panche. Nel resto, poche vecchie fisionomìe, troppo appagate per avere pagato, e quasi tutte in iscuffia e tutte della sòlita biscotterìa.

Ché, per esempio, c'è la marchesa Pàola Luzio-Medaglia, quella nana che pare stata anni in una infusione di tabacco del Moro, e che gira con un far da padrona la sala, perché fu lei la promotora dell'adunanza. La marchesa è delle più assidue acculatrici di tutte le panche scientìfiche e letterarie della città, donde nutre la sua enciclopèdica ignoranza e però ha l'ìntima persuasione di èssere una gran letterata, tanto più che impiega annualmente una somma in inchiostro, in mazzi di penne, in carta netta e sùdicia. Eppure un granino d'ingegno lo ha e lo mostra nel guarnir di merletti i propri spropòsiti, nello stamparli, per così dire, in majùscole, in ciò diversa da molte, che li làsciano còrrere come la cosa più naturale del mondo. Delle quali un saggiuolo è colèi che stà in quella zòtica posa coi gòmiti sur il banco, reggèndosi fra le rosse manacce la zucca, e che ha capelli «alla Bruto», occhi da rospo, naso camuso e bocca che par contenga due noci. Il suo nome (suo, perché l'ha inventato lei) è Ula di Monteferro, cui nel sottoscrìversi aggiunge «figlia del padre Sole e della madre TerraUla è la presidentessa della «Società còsmico-umanitaria contro Dio e i suòi ‹vice›, contro la guerra, il suicidio, il duello, la pena di morte e il matrimonio»; di più, è cavallerizza, giocatora di pallone, gazzettiera e scrittrice di un centinajo di romanzi e di drammi sanguinolenti come la carta del macellaro. Ma il mondo può dormire ancor quieto. Fin quì la nostra rinnovatrice non giunse ad emanciparsi che dalla sintassi. Ula, che sfida a improperi la sempreassente divinità, impallidisce al rovesciarsi di una saliera. Ula, che tiene sul tàvolo un teschio ed in saccoccia un pugnale, sviene alla vista di un topo. In fondo, ve la consegno per una innocua bestiola, più meno della sua vicina ed amica Aura Percotti, barilotta di donna, dai capelli imbandolinati alla cute e dal roseo visoccio, che sorride giulebbe e gira occhiate candite. Aura è una maestra ispettora. a memoria e con abbondanza il toscano e la gramàtica del Soave, ed è una indefessa collaboratrice in quella raccolta già menzionata «pel seggiolino del buco», benemèrita dell'ignoranza. c'è buona mammina che non aquisti annualmente le commediole della Percotti, dove l'amore par non impùbere ma capponato, e le sue Auree novelle nelle quali la diligente Virtù non manca mai di ottenere il gran premio e il ragazzaccio Vizio le pacche; tutto cibo che leva le forze, tutto vino che non lascia macchia, tutta scioccàggine che si smercia e si loda nel nome di semplicità.

Ma, vèh! non giunga tale parola alle dottìssime orecchie di donna Apollonia Sgambati e di donna Perla Smeraldi. Sola stoltezza che ammèttono queste è la complicata. Donna Apollonia, ad esempio, è la Capa della coalizione nostrana contro la mùsica fisiològica a favore della patològica, e poiché donna Apollonia allèa i propri principii ad un cèlebre cuoco, ha dalla sua la stampa e la tribù di chi suona. Ch'ella abbia posto per tutti, niun dubbio. Peserà cento chili a non calcolare la scienza, e si direbbe una saltimbanca di piazza cui non mancasse che il tamburone. Invece, donna Perla Smeraldi è una scopa in gonella. Costèi è l'azzurra, la dottoressa della camarilla — di quelle dame cioè, che, essendo al corrente di quanto succede alle fonti del Nilo ed ai poli, ignorano che mai avvenga in lor casa, che conoscendo i nomi latini e la vita d'ogni spece e subspece di tutte le bestie del globo, còmprano antichi gallastri per pollastrelle, che, zeppe la testa di logaritmi, àngoli, lati, equazioni, sono obbligate, per i conti del mese, a ricòrrere ai diti della fantesca, che, ritornate da una lezione di fìsica làsciano pèrdere il fondo alla caffettiera per mancanza di lìquido, o fresche di una d'astronomìa, nel regolar la lucerna, la smòrzano.

Oltre le quali, inùtile dire come fosse nell'àula il sòlito stormo d'appaltatrici di quella beneficenza a campana e martello ossìa pùbblica, cui è dovuto se l'eccezione della miseria divenne un mestiere normalepatronesse, ispettore, visitatrici, giracase, seccamalati e vievìa, tutte dilettanti-accattone, che fanno la carità coi denari degli altri e la rèndono invisa colla intromissione propria, tutte propagatrici di un socialismo assassino dell'individuo e della famiglia — e inùtile dire, come fra loro spiccasse la nostra Eugenia Caprara, co' suòi bianchi capelli a cavaturàcciolo, il suo naso pien d'importanza e tabacco e il suo risolino di compiacenza e di protezione, che tradotto dicèa «nul n'aura de l'esprit, hors nous et nos amisAggiungi però che presso lei, a raccòglierne il vaniloquio, stava ossequioso un barbuto figuro di cui la faccia parèa non troppo amica dell'aqua e l'àbito della spàzzola. Era egli l'ùnico bue di tutta la mandraera il primo manubrio dell'òrgano loro «il Giornal delle Schiave», — era di tutte lo spiritual direttore. Noto assài nella libricastratio e nella pedagogìa, avèa, collotorto dell'ùltimo gènere, toccato i sommi onor della greppia, sempre attaccàndosi alle sottane, prima dei preti, poi delle donne. «¡Anima càndidaesclamàvano queste. — «Tutto peloosservo io,, «¡dal parlar dolcesospiràvano esse,, «dal putire di capro,» io aggiungo. Fatto stà, che il professore Tamberla...

Ma quì la marchesa Pàola Luzio-Medaglia, che spingèa lo sguardo alla rima di un uscio, volge la testa alle amiche, come a dir loro: «viene.» Nell'àula si ridifonde il silenzio. Ecco difatti (e Delia dovette recarsi il fazzoletto alle labbra) Sofonisba Altamura. Sofonisba era più gobbo che corpo e meno volto che gesso; parèa, parlando, che aprisse non tanto la bocca quanto il naso e la bazza, e parèa, guardando, che meno mirasse con le pupille che non colle cìglia, tanto folte le avèa e annerite. Ma, come se i naturali orrori non le bàstassero, ella èrasene aggiunti più che poteva di artificiali. Certamente non la peccava ne' sottintesi. Avèa indosso tutti i suòi ori e tutta la sua guardaroba, un musèo di guarnitureorecchini in corallo, collane alla turca, spilloni a mosàico con il Colossèo, fibbie à l'Empire, braccialetti barocchisparsi su 'na toletta di roba vecchia e scômpagna, che cominciava da un cappellino con piuma celeste e veletta gialla e da uno sciallo aranciato a gran papàveri rossi e finiva in una gonna violetta e in un pajo di guanti verdògnoli. «Un vero,» come Delia osservò, «arcobaleno smontato

Ed èccola in càttedra. La si drappeggia oratoriamente lo scialle; la si raccoglie un istante colla mano alla bocca; poi, fra il più teso silenzio:

 

«Già mi pare,» o carìssime, «di avervi a sufficienza mostrato come la donna meni l'uomo pel naso e sia di tutto capace, rovesciando con un buffetto quel castello di carte penosamente costrutto dai Santi Padri, Aristòtile, D'Elci, Giordano Bruno, Acidalio, Büchner... e sìmili stupidelli, scusàbili appena in riguardo al lor limitato intelletto di maschio — sul che, oso dire che di confutazione ne avanza per quanto ci si può in sèguito opporre — e così parmi di avere, non solo risposto, ma ritornate ai nemici quelle plateali insolenze di ‹serratura in cerca di chiave›, di ‹pera senza picciuolo›, di ‹tara›, ossìa ‹giunta dell'uomo›, di ‹semovente latrina›, di ‹fair defect...› e vievìa, che si provèrbiano contro di noi provando insieme, col numerarvi le nostre eroine dalla Saffo alla Sand, la eccellenza del sesso, donde consegue il dovere nei maschi di abbandonarci senza più sotterfugi il posto usurpato...

«Resta ora a vedere che si farebbe, se i maschi — alla nostra equa domandarispondèssero: no.»

 

Udite! ¡udite!)

 

«Certo è che il caso venne da loro previsto. Non altrimenti si saprebbe spiegare quel tenerci lontane dalla pùbblica cosa, quell'interdirci ogni esercizio educatore dei mùscoli, quell'obbligarci, che è peggio, in una spece di sacco, che ne impedisce e nelle idèe e nel fatto la libertà di procèdere. Di più; tutto il ferro lo sequestràrono essi a tutela della loro paura, fuorché qualche scheggia da noi sottratta per gli aghi ci lasciàrono il rame se non avvilito in caldài. Oh bella grazia davvero quel prodigarci i due più imbelli metalli, dissimulate catene! Per loro intanto, il fùlmine in polve di Schwarz e le palle generatrici di morte; nostre invece, l'asciutta polve di Cipro e le palle... da rammendar le calzette

 

(Gruppi di risa feroci)

 

«Eppure — sorelle — un'arma, una terrìbile arma, non ce la tòlsero ancora — lo potranno — un'arma, dinanzi alla quale i loro cannoni divèntano cialde, e le lor pòlveri... Sedlitz...

«¿Che è mai?

«Ciò saprete. Quì stà il mio sublime mistero, quì l'uovo da covato per trenta e più anni, quì il dolce frutto di tanta amara radice. Ma permettètemi, prima, di raccontarvi il come della scoperta.

«Essa fu fatta come ogni grande scoperta si . Mi si offerse spontanea quando men la cercavo. Era sera; un dopopranzo. Avèo bisogno, perché digerissi, d'irritarmi la bile, mio consueto caffè; e però avèo aperto quel mascalzone di un nostro odiatore Aristòfane (che io leggo in originale più meno di una Dacier) e ripassavo appunto Lisìstrata.

«¿Sapete voi chi fosse Lisìstrata? Una ateniese, che è quanto dire, una parigina dell'antichità; una donna tutto risorse, la quale, imprecando alla guerra civile che desolava la Grecia e volendo troncarla, avèa imaginato il più nuovo e più efficace spediente che mai si potesse. ¿Cioè a dire? Cioè a dire, chiamava celatamente a sé le mogli e le amanti delle due parti nemiche e, dopo un discorso che non par scritto da un uomo, tanto è pieno di lògica, le persuadeva e stringeva coi sacri orrori della religione a non far pace coi propri mariti, finché i mariti non l'avèssero prima tra essi. E il ‹no› delle donne rumoreggiò allora per tutta la Grecia. Così la guerra fu sciolta.

«¿Ebbene? ¿che ne pensate? perché la finzione di quel malignìssimo greco non potrebbe cangiarsi in una benèfica realtà? Egli l'arma ci addita: preoccupiàmola. I nostri amici migliori sono spesso i nemici. ¿Perché non potremmo, ciò che Lisìstrata fece per amore di tutti, ripeterlo noi per amor di noi sole? Non c'è uomo cui manchi un po' di gonnella alle coste; non c'è donna, che, oggi o domani, non paja bella a qualcuno. Ora niente per niente. ¿Intendete? — Nulla da noi finché i nostri tiranni non ci domàndino, supplicando, di èsserci schiavi»

 

(Principio d'applàusi).

 

«Senonchéseguitò Sofonisba, «l'ìntima essenza de' maschi è la menzogna; ché non per altro hanno inventato quel solennìssimo inganno del giuramento. Giove, secondo loro, ex alto periuria rìdet amàntum — et jùbet aeòlios ìrrita ferre Nòtos. ¿Chi di noi non ne ha fatta lagrimosa esperienza? Dee un minuto prima, un minuto dopo s'è bestie... ¿E allora?»

 

(Frèmito d'attenzione. Anche Delia occhieggia la strega attraverso le stecche del ventaglio).

 

«Allora, o donne dei due emisferituonò quella furia con un tràgico gesto, «¡vendetta! ¡Sì, orrenda vendetta! La cucina è in man nostra; in nostra mano è la vita dell'uomo. Io già aspiro con voluttà l'acre fumo de' boleti agrippinei; odo già l'unghie grattar verderame; odo i pestelli ne' bronzei mortài acciaccando cantàridi e gommagotta e vitriolo e scorpioni. ¡Che ogni fornello di guardaroba si converta in un trìpode d'Ècate! ¡che la virtù dei fiammìferi si colleghi a smorzare! ¡che tutti i veleni delle nostre toilettes pàssino nelle pance maschili! Giammài la benzina avrà nêtta una macchia maggiore. La gran notte è venuta, la grande ora scoccò. In mille fuliginosi camini si appicca casualmente l'incendio. Ogni spillo ha tolto di mezzo uno schioppo, ogni sputo una càrica. Si propàgan le fiamme; gèmono le campane sotto il martello incessante, e alla lùgubre luce, vedi i padri fuggire facèndosi scudo dei figli. ¡Ma invano! La spina del maschil sangue è strappata. Cola il sangue a torrenti, si eleva, si eleva, e tra lo scoppiar del petrolio e lo sfasciarsi degli edifici e l'urlo di chi s'affoga, l'inno s'innalza della Vittoria, che annuncia: spento è il mal seme d'Adamo. Eva s'è riscattata

 

E quì la megera taque, anelando. La libìdine della strage scintillava negli occhi di lei e negli occhi delle sue vecchie uditrici. Ella taque e un battimani echeggiò. Da ogni parte si accorre alla cattedra l'oratora ha mani bastanti per tutte; si grida «brava!», si svèntolano i fazzoletti e il professore Tamberla, entusiasta, le offre... un cartoccio di caramelle di pomo.

Io tentài nel braccio di Delia. Delia girò verso il più moscadello e innamorato dei visi.

«E dunque?» le dimandài. «Vuòi emanciparti anche

Ella sorrise e rispose: «Per m'accontento di starti tutta la vita sotto.»





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