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Carlo Dossi La desinenza in A IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena ottava - Gioje del matrimonio. (Prima portata)
Siamo in una ricca stanza da letto. La freccia dell'orologio segna... ¡Attendete un istante! attendete, che il barone Caprara, il quale, fin quì, ha girellato facendo i suòi pìccoli preparativi per la notte, come sarebbe piantare il portaparrucche, rimboccar le lenzuola, disporre sul comodino con simetrìa le caramelle di pomo, i senapismi, i fiammìferi, e, sopra i guanciali, gli scalferotti di lana e la calottina di seta, abbia montato l'orologione del caminetto dall'avoltojo di bronzo che becca ad un Prometeo d'avorio il fègato e lo pareggi al suo infallìbil di tasca... Poi, dà un buffetto al pèndolo. Il cuor della stanza riprende il consueto tic-tac; ràntola la sonerìa, tira in su il moccio, e l'avoltojo, applaudendo con l'ali, cùcola ùndici ore. Fatto questo, il barone, e acceso un Virginia, si affonda in una poltrona dinanzi al camino, ravvolgèndosi nella sua veste da càmera a fiori di tulipano, e adagiando gl'impantofolati piedi in una pelle leonina. ¡Guarda che faccia oscura! Non ci vuol scala a capirlo; è un marito che riassapora l'amaro della sposalizia treggèa. Infatti, compie l'anno oggisera da che egli ha commesso la indissolùbile corbellerìa, e pesa, fastidi a parte, venti libbre di meno. Ùniche gioje del matrimonio, ch'egli conosca, son quelle che gli vendette, salate, l'orèfice. Ah Caprara, Caprara! ¿che hai fatto? Tu il corteggiato dalle mammine e dalle ragazze, da cui toglievi talvolta a credenza, tu il cucco di un àngiolo di bambinaja che mantenèvati grasso come i pollastri da lei capponati per tè, nè ti lasciava mai starnutire senza augurarti salute dal profondo del cuore e ti rincalzava le coltri e ti ammirava ogni mattina la lingua, èccoti or solo, male obedito dai servi, dagli amici scansato, che sono invisi a tua moglie, cèlibe in un letto matrimoniale. ¿A che ammucchiare così lunga esperienza, per sciupàrtela poi in sì triste maniera? ¿a che pensarci su tanto per conclùdere poi con una bùggera tale? Oh ingenuità sopraffina! ¡Crèdersi fuori dalla legge comune, perché s'è scelta una sposa non ricca (quasiché pòvera di desideri) e pattuire una real controdote alle ideali sue trè, del pudore, dell'economia, dell'òrdine! ¿Òrdine? ¡sì davvero! Casa Caprara non era più casa; era un caffè, un bivacco, in cui si dava la posta una baraonda di gente, amica della signora, ma che egli, il padrone, non conosceva nemmeno di nome, nè conoscèvalo essa, anzi lo urtava e gli camminava sui calli, senza pur chièdergli scusa. Chiunque comandava in sua casa, salvoché lui. Tra tanta gente, ei non poteva accozzarsi neanche la sua partita a tarocchi. Ma, già, la sposa avea detto «¡aria! ¡aria! ¡io voglio vìver nel nuovo, io!» e senza attènder risposta, gli avèa tutto cangiato, mòbili e amici. ¡Imaginàtevi dunque che economìa! Questa sola, la cosa di cui si facesse risparmio. Sempre giù la tovaglia, sempre il gòmito alzato. I balli tenèvano dietro ai concerti, ai balli le scampagnate. E, col lusso, naturalmente, sua sorella lussuria. Perché, di pudore — terza dote promessa — sembrava che Eugenia non ne serbasse che per il marito. Questi, di parte sua, poteva ben dire di non possedere la moglie se non sull'atto nuziale. Ei non avèa fatt'altro che aprire l'uscio agli amanti, se pure. Travedùtala a pena, tra il chiaro e il bujo la prima notte, conjugal nausea, emicranie, quattro lune ogni mese, gliel'avèano tosto rapita, còmplice la medicina, tanto che s'egli volèa stare al corrente delle di lei abbondanze, gli toccava pagar la sua porta al teatro e godèrsela in un cannocchiale. E, ¡almeno avesse potuto dimenticarla del tutto, ma no! il registro dei conti non permettèvagli manco cotesta disperatìssima consolazione. Bene gli amici vecchi, imbattèndosi seco in istrada ed ascoltati i suòi guài «Nando,» dicèvano, «¡abbi pazienza! è effetto di gioventù. Tua moglie ha bisogno uno sfogo. Verrà la stanchezza, vedrài, e tornerà a tè, quando meno tel pensi.» Allora, sperando, egli allungava la briglia, ma e più concedèa e più Eugenia gli si faceva discosta. Così, è vero, in salone ancor primeggiava il suo grande ritratto a olio con molta cornice dorata e stemmata, ma era un ben magro compenso a quell'aquarello di giovinotto rossiccio, in tenuta di ùssero, che divideva col Cristo e col vaso l'inginocchiatojo di lei, il qual ritrattino, dicèa essa, dovèa aggiustarle la vista ed inspirarle bei bimbi. E i mèdici tutti, che pàjon sapere le arcane vie della matrice, le dàvano mille ragioni, soggiungendo al marito, tanto per consolarlo, che un bimbo non sarebbe tardato. Oh non temere, Caprara; t'hanno sposato per ciò! Ai quali pensieri, il barone, facèndosi ancora più tòrbido, incominciò a masticare stizzosamente lo sìgaro. ¿Ma che avèa mai, quel Parisi, un fatuaccio di uno, buono soltanto di montare a cavallo e d'ingommarsi i mostacchi, per far cadere in amore tutte le mogli degli altri? ¿e che cosa mai, lui Caprara, per tanto inimicarsi la sua?... ¡Sìgaro maledetto! ¡anche tu! (più non tirava lo sìgaro) e spezzàndolo in due, lo gettò nel camino. «Oh le donne di un tempo! oh gli antichi ingenui costumi!» sospirò desioso. Ma quì lo sguardo gli cadde sopra un ritratto allato lo specchio. Era il ritratto di sua nonna paterna, una dama del regime spagnuolo, vero caval di parata. Parèa che intorno le crescesse la roba; tanta grazia di Dio da rivoltare lo stòmaco. E donna Teresa volgèa superbamente al marito, che in àbito di ciambellano le facèa riscontro, le sue spalle pompose, nè più nè meno che in vita. Ma lì almanco l'ingiuria, venendo da regi lombi, onorava la casa, ma almanco donna Teresa avèa coperta la cornea escrescenza del signor Pietro Taddèo con un cerchio imperlato. E, dai ritratti dei nonni, scese il suo occhio allo smalto di una baldracca mascherata a vestale. Il barone allibì. Ei ricordava quanto il padre di lui — fu becco Napoleone — dicèa della consorte, biliosamente faceto: «il glorioso mio omònimo ha bel chiamarlo un affare da canapè. Io pago, intanto, le molle.» E il nostro Caprara sbassò vergognando la fronte. Nella disgrazia ei non si sentiva, è vero, più solo, ma non è detto che la compagnìa eccellente renda gradito l'inferno. Il freddo lo guadagnava. ¡Gelare con una moglie per casa ai 35 Réaumur, è pur duro! Si die' a inanimire a palettate il fuoco. Era la legna affetta da idropisìa; nicchiava, piangèa. ¡Neanche il fuoco gli volèa attaccare! Quand'ecco, lo scattar di una toppa. Rialzò le pupille, e guardando nella inclinata specchiera, vide spostarsi un drappeggio del magnìfico arazzo che con la visìbile istoria di Marìa piena e del contento Giuseppe tappezzava la stanza, e apparire una bianca figura, mezzo slacciata, di donna — sciolti i capelli, porporine le guance, lucidìssimi gli occhi. Il cuore di Nando palpitò fortemente: una vampa di caldo, che non irradiava dal caminetto, lo invase; Nando risuscitava. Pur non osa ancor muòversi, quasi oppresso da un sogno, e segue nella specchiera, con sempre crescente emozione, il blando appressarsi d'Eugenia, finché, piegàndosi ella su lui tra il sì e il no della vaporosa camicia, e in una voce che ha dita mormoràndogli il nome, e già l'assorbendo nell'anèlito ardente e nel candor delle braccia e nell'onda del fragrantìssimo seno... Il pèndolo, in questa, cucolò mezzanotte.
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