Si doveva partire
per l'Orrido alle dieci del mattino, c'era da percorrere il lago sino alla sua
estremità di levante e poi da salire la valle che lo alimenta con il
torrentello di cui appunto sono lavoro le caverne dell'Orrido. Andavano tutti,
tranne il conte.
Nepo fu in
piedi per tempo e scese in giardino, dove aveva veduto qualche volta Marina
passeggiare prima di colazione. Quel giorno ella non venne. Nepo, orbo del suo
occhialino, girava a destra e a sinistra, frugando quasi con il lungo naso le
macchie e i cespugli, odorando l'aria, palpitando al lontano apparire del
giardiniere scamiciato. Marina non si lasciò vedere neanche a colazione; non
era cosa insolita.
Venne solo
Fanny a pregare Edith da parte della marchesina di voler salire un momento da
lei. Scesero quindi insieme al battere delle dieci. Nepo non poté avere da
Marina che un buon giorno svogliato, buttatogli dall'alto come un mozzicone di
sigaro. Ella prese il braccio di Edith e discese in darsena, lasciando addietro
la contessa Fosca, Nepo, i tre grandi uomini e Steinegge. Quando costoro
entrarono in darsena, Saetta ne usciva con Edith, Marina e il Rico. Vi
ebbero proteste. Buon viaggio disse Marina noi procediamo. La sua voce non
poteva essere più dolce, non poteva essere più grazioso il cenno con il quale
accompagnò le parole; pure nessuno insistette.
La contessa
Fosca guardò Nepo, seria; questi volle fare il disinvolto e gridò un
complimento alle crudeli fuggitive. Il Ferrieri e i commendatori parvero molto
seccati.
Le due
barche si dilungarono verso quello stretto dove il lago fa un gomito e corre ad
appiattarsi dietro un alto promontorio selvoso, fra salci e canneti. Saetta
precedeva il battello d'un buon tratto, malgrado le voci supplichevoli che
partivano spesso da quest'ultimo perché la lancia bizzarra non avesse a correr
tanto. Esso pareva un uomo gottoso che anfanasse dietro un nipotino monello
sfuggitogli di mano. Marina non mostrava udire quelle voci, e al Rico bastò
un'occhiata per intendere che non dovea smettere né rallentar di remare. Presto,
di Saetta non apparve ai viaggiatori del battello che un punto bianco,
la bandiera, oscillante lontano tra l'azzurrognolo confuso del lago e dei
vapori mattutini ancora avvolti alle montagne.
Edith era
commossa. Quella gran luce in cui nuotava la barchetta, i milioni di brillanti
che il sole spandeva sulle acque increspate dalla brezza, i verdi vivacissimi
dei monti vicini, le tinte del fondo sfumate, calde, non le ricordavano più la
Germania come i prati stesi davanti alla canonica di don Innocenzo. Ella non
poteva parlare; sospirava.
Qual
sentimento prova? le chiese Marina dopo un lungo silenzio.
Non lo so;
desiderio di piangere rispose Edith.
E io di
vivere, d'esser felice.
Edith
tacque, sorpresa dal subito fuoco che brillò nel viso e sollevò il petto di
Marina.
Ho molta
stima di Lei soggiunse questa bruscamente.
Edith la
guardò attonita.
So
benissimo ripigliò l'altra di esserle antipatica; fa niente.
Ella non mi
è antipatica rispose Edith con voce ferma e grave. Marina si strinse nelle
spalle.
Va come
puoi gridò al Rico, gettando i cordoni del timone e voltandosi a Edith per
parlare. Ma Edith la prevenne.
So
diss'ella che non è stata gentile con mio padre, e per questo non posso essere
affettuosa con Lei. Vorrei dire la cosa in tedesco, perché in italiano non so
se dico bene. Ella tuttavia intenderà il mio sentimento; non ho nessuna
antipatia.
Ella si
stabilisce a Milano? chiese Marina.
Sì.
Mi scriva,
da Milano.
Edith pensò
un momento e rispose :
Non posso
scriverle come amica.
Ella è
schietta, signorina Edith; non più di me, però; non ho detto di avere amicizia
per Lei, ho molta stima. Già non c'è amicizia fra donne. Non domando lettere
sentimentali, vuote e false. Cosa vuole che ne faccia? Domando alcune
informazioni. Non c'è bisogno di amicizia per questo.
Né di
stima.
Di stima
sì. Non domando servigi a persone che non stimo, e sono sicura ch'Ella mi
renderà questo malgrado i Suoi risentimenti. Non mi ha già fatto il piacere,
stamattina, di venire in barca con me sola?
Quali
informazioni desidera?
Vede? Lo
sapevo. Le dirò più tardi quali informazioni.
Dopo
qualche tempo Marina uscì con quest'altra domanda:
Sua madre
era nobile?
Sì.
Si capisce.
Edith si
fece di fuoco. I suoi occhi intelligenti lampeggiarono.
Non conosco
persona più nobile di mio padre diss'ella.
Che Le pare
di mio cugino? domandò Marina senza curarsi di quella risposta, come se non
potesse pervenire all'altezza sua.
Non lo
conosco.
Non lo ha
visto, non lo ha udito parlare?
Oh, sì.
Rema, disse
Marina al Rico, battendo forte un piede sul fondo della lancia. Udendo parlare
di Nepo quegli porgeva la sua testolina curiosa e muoveva appena le braccia.
All'ordine di Marina rise arrossendo, poi fece il viso serio e diede due gran
colpi di remo, cacciando indietro a destra e a sinistra due gran vortici di
spume. Tacendo le signore, cominciò lui a metter fuori qualche parola, nomi di
paesi e di montagne. Marina aveva ripigliati i cordoni del timone e non gli
badava; Edith gli fece delle domande; allora la sua parlantina ruppe gli
argini. Dai monti di Val... si udiva, di quando in quando, un fioco squittir di
bracchi portato dal vento. Il Rico spiegò ad Edith che quelli non eran cani, ma
spiriti, gli spiriti della Caccia selvatica. Chi si fosse abbattuto a
vederla doveva morire entro pochi giorni. Edith si compiacque di ritrovare la
tradizione tedesca, e domandò se ci fossero strade per quei monti. Il ragazzo
rispose che v'erano dei sentieri, fra i quali uno buonissimo che si poteva
prendere per ritornare a piedi dall'Orrido al Palazzo.
Intanto la
lancia passava davanti a Val Malombra, radeva l'alto promontorio coronato di
selve. L'acqua vi era profondissima sotto gli scogli protesi. Il Rico sosteneva
che il lago vi s'inabissava dentro caverne smisurate, perché sopra quegli
scogli v'era una buia fessura, detta il Pozzo dell'Acquafonda, dove
gittando pietre le si udivano schiaffeggiar l'acqua. E cominciò a dire come
converrebbe esplorar quelle caverne occulte. Marina si impazientì e lo fe'
tacere.
Saetta entrò poco dopo nell'ombra,
approdò fra due salici grigiastri, sulla ghiaia bianca di un torrentello che
versava al lago, di pozzanghera in pozzanghera, tremole fila d'acqua
silenziosa. Dietro ai salici tacevano prati oscuri, freddi; e si celavano a
manca insieme al torrente, nelle ombre azzurrognole della valle tortuosa.
Ardeva in alto, al sole, il dorso delle montagne; quel buco nero lì pareva la
tana del novembre. Quando anche il battello ebbe girati gli scogli del
promontorio, si udì la contessa gridare che freddo! che orrore!, si vide un
agitarsi, uno stendere di braccia che infilavano soprabiti, e il conte Nepo che
si avvolgeva al collo un fazzoletto bianco.
Il Rico
doveva guidar la compagnia all'Orrido, ma prima di partire, sorse la questione
della contessa Fosca. Sua Eccellenza aveva creduto che l'Orrido fosse quello
lì; interrotta da un baccano di proteste, si meravigliava delle meraviglie
altrui; il luogo le pareva brutto abbastanza. E ora cosa si pretendeva da lei
infelice? Che sgambettasse per due o tre ore su quel dio di sassi? Che stesse
lì ad aspettar gli altri in quella sorbettiera? Nepo sbuffava, la rimproverava
di non esser stata a casa. Steinegge protestò con enfasi, il Vezza a fior di
labbra, che non avrebbero mai lasciata sola la signora. Né il Finotti né l'ingegnere
dissero parola, la conclusione si fu che Sua Eccellenza avesse a recarsi con
Steinegge a un'osteria che si vedeva brillare al sole a un chilometro lontano
dove la strada provinciale tocca il lago. Il Rico affermava che si poteva
calarvi direttamente dall'Orrido per un altro sentiero. Quando il battello si
staccò dalla riva il commendator Finotti domandò qualche cosa al Rico e si
voltò poi a gridare:
Coraggio,
contessa! È qui vicino l'Orrido!
Xelo
colù? chiese Sua Eccellenza agli altri, additando il commendatore.
La comitiva
si pose in cammino pel torrente seguendo il Rico che saltava di sasso in sasso
come un ranocchio. Prime gli tenevano dietro Edith e Marina, poi veniva il
Ferrieri, gran camminatore, gran valicatore di montagne. Alle sue spalle trottava
Nepo, tutto sbilenco, sudando per l'angoscia di camminar frettoloso sui
ciottoli aguzzi. Egli si studiava d'intenerir Marina sul fatto dei due
commendatori di retroguardia che mettevano veramente pietà. Caro cugino disse
Marina voltandosi indietro e fermandosi. Vi prego di rappresentar qui mio zio e
di tener compagnia ai suoi tre ospiti.
Nepo e il
Ferrieri, capìta l'antifona, rallentarono il passo e si raccolsero, mogi mogi,
a' commendatori che avanzavano, il Finotti bollente e ansante, l'altro seccato
e scorato. Come videro le signore dilungarsi anche dagli altri due, cadde loro
la speranza di raggiungerle e sostarono a respirare un poco, fremendo contro
Marina, maledicendo chi aveva messo fuori pel primo la bella idea di venire a
quello sconsolato massacro di piedi. Intanto sopravvenne loro il Rico, mandato
da Marina perché non avessero a smarrire la strada. Marina stessa non la
conosceva, ma se l'era fatta insegnare dal ragazzo e camminava rapidamente
senza parlare.
Edith le
teneva dietro, silenziosa e nervosa essa pure, ma per altre cagioni. Intorno a
lei e più ancora dentro a lei suonava una sola parola: Italia! Italia!. Da
quando era venuta al Palazzo, se si trovava sola, se le sfuggiva un momento il
pensiero di suo padre e dell'avvenire, le sfolgorava subito il cuore questa
parola: Italia!. Allora stendeva la mano per toccare qualche cosa di vero, di
solido, e guardando l'orizzonte o qualche striscia bianca di strada lontana,
palpitava e si perdeva in un desiderio indistinto. Adesso ell'aveva bisogno di
fermarsi spesso per guardare a misura che la via saliva, lo svolgersi lento e
maestoso delle montagne, in alto il verde pieno di sole che saliva fino al
cielo sereno, dietro a lei, al basso, il lago che s'allargava sempre più verso
ponente.
Ah disse
Marina entrando nel sole ci siamo.
Ella saltò
di gioia tuffandosi nella luce e nel calore. Passava allora fra due campicelli
di grano saraceno. Una nuvola di farfalle si alzò dai fiori bianchi del grano,
vi aleggiò sopra per breve tempo e tornò a posarvisi.
Pare neve
disse Marina volgendosi per la prima volta, a Edith.
Ma Edith
era rimasta qualche passo addietro.
Vengono? le
gridò Marina.
Odo la voce
di Suo cugino e del ragazzo, rispose Edith.
Marina fece
una piccola smorfia.
Venga con
me diss'ella.
Il sentiero
toccava, due passi più su, un gruppo di stalle seduto sullo spigolo del monte
che si gira per andare all'Orrido. Quelle rozze stalle sedevano dentro una
larga macchia di fango puzzolente, all'ombra chiara di alcuni noci tutti
sforacchiati di raggi di sole. Non ci si udiva, non ci si vedeva anima vivente;
tutto taceva. Qualche gerla abbandonata presso gli usci chiusi, qualche pezzo
di corda accavallato al pozzale della cisterna, l'aspetto della profonda valle
e un sussurro di lontane cascate invisibili accrescevano il silenzio. Il
sentiero indicato dal Rico passava tra le stalle; Marina pigliò un altro
viottolo che sale dritto a una cappelletta. Ella fe' cenno a Edith di sedere e
disse piano:
Aspettiamo
che passino.
In quella
cappelletta era dipinto un Redentore coronato di spine, bruttissimo, a' piedi
del quale si leggeva:
Quantunque,
o passegger, ti sembri un mostro,
Io sono
Gesù Cristo, Signor Vostro.
L'erba intorno brillava ancora di
rugiada e di vento puro, vivificante, che faceva lievemente stormire le foglie
dei noci.
Edith
guardava quell'immagine pia, omaggio di gente semplice al re del del dolore, le
veniva in cuore una dolcezza tenera, triste; mille pensieri le venivano in
mente sulla fede del povero pittore, del povero poeta, delle donnicciuole che
andando ai campi o tornandone affaticate dovevano alzare gli occhi a quegli
sgorbi con maggior devozione ch'ella non avesse provato guardando Maria dipinta
dal Luini. Avrebbe voluto profondarsi in questi pensieri, e non poteva; si
sentiva legata da una catena dura e fredda, comprendeva confusamente di
soffrire della vicinanza di uno spirito umano affatto discorde dal suo,
appassionato di altre passioni, chiuso e superbo. Fra lei e il sole, Marina,
ritta, scalfiva il suolo con la punta dell'ombrellino, figgendovi gli occhi e
serrando le labbra; la sua ombra cadeva pesante sopra Edith, le entrava nel
sangue.
Intanto le
voci dell'altra comitiva salivano sempre più distinte. Si udì un passo frettoloso
fra i muri delle stalle e subito dopo sbucò dietro la cappelletta il viso
sfavillante del Rico. Vedendo le signore si fermò di botto, aperse la bocca; ma
un'occhiata fulminea di Marina gli troncò la parola. Spiccò un salto verso
alcuni cespugli di more, ne colse e ridiscese di corsa. Le grosse voci dei
commendatori gorgogliarono fra le stalle. Il commendator Finotti raccontava
delle oscenità con la più franca energia di linguaggio, da libertino mezzo che
fruga nelle immondizie della parola per trovarvi la sua giovinezza. Si udì il
Ferrieri dirgli ridendo:
Il letame
t'ispira.
Marina,
indifferente, diede una rapida occhiata a Edith: ma Edith non poteva conoscere
quella feccia di linguaggio e non batté ciglio né mutò colore. La sua compagna
si strinse nelle spalle e aspettò in silenzio che le voci si spegnessero,
quindi sedette presso Edith.
Le
informazioni diss'ella riguardano una persona che Lei conoscerà a Milano.
È sicura
rispose che conoscerò questa persona?
Lei dovrà
conoscerla.
Dovrò?
Dovrà, dovrà.
Non per far piacere a me, sa, perché succederà così. Insomma non importa. Lei
conoscerà a Milano questa persona ch'è un amico di Suo padre.
Si chiama
Silla?
Gli occhi
di Marina lampeggiarono.
Come lo sa?
diss'ella.
Mio padre
mi ha parlato di questo signore suo amico.
Che Le ha
detto Suo padre?
Edith non
rispose.
Ha paura?
disse Marina duramente.
Edith
arrossì. Non conosco questa parola diss'ella.
Dopo un
breve indugio Edith alzò il viso e guardò Marina:
Sicuramente
il vero diss'ella.
Il vero!
Non parli del vero. Nessuno lo sa, il vero. Suo padre Le avrà detto che io ho
insultato questo signore?
Sì.
E ch'egli,
una notte, è andato in fumo?
Sì.
Proprio in
fumo? Non le ha detto dove si trova ora? Sì che glielo ha detto; Lei non vuole
ora ripeterlo a me, ma Suo padre glielo ha detto sicuramente.
Io credo
rispose Edith con un leggero accento d'alterezza offesa io credo che i miei
discorsi con mio padre le debbano essere affatto indifferenti. So che un signor
Silla, di Milano, è amico di mio padre, il quale non ha forse altri conoscenti
in quella città. Per questo ho pensato ch'Ella volesse alludere a lui e ho
proferito il suo nome. Mi dica, ora, se crede, cosa desidera da me pel caso che
io conosca a Milano questo signore.
Marina
stette un momento pensosa, con l'indice al mento, come se un sì e un no si
dibattessero nel suo segreto; indi parve salir dalla terra una vampa nella
bella persona. Ella fremé da capo a piedi, protese il petto ansante, le sue
labbra si apersero, nessuno può dire quello che dissero gli occhi. Edith
trasalì, attese parole imprevedute.
Ma le
parole non vennero. La bocca si chiuse, la persona si ricompose, la strana luce
degli occhi si spense.
Niente
diss'ella. Andiamo.
Edith non
si muoveva.
Venga
ripeté Marina; Ella è troppo tedesca. Mi basta di sapere dove il signor Silla
abita e cosa fa. Me lo scriva subito. Vuole?
Signorina
disse Edith anche in Germania si può comprendere e sentire qualche poco. Non
desidero sapere i Suoi segreti, ma se posso fare un'opera buona per Lei...
Ah, virtù!
Egoismo! disse Marina. Una vecchierella curva sotto una gran gerla di fieno
sbucò tra stalla e stalla davanti a lei, si fermò e a gran fatica le alzò
incontro la testa con un sorriso di bontà e di meraviglia, dicendo:
Reverissi. Son venute a fare
una passeggiata?
Era
un'immagine di miseria sucida, sorta dal suolo fetido e dalle vecchie stalle
diroccate, scalza, con degli stinchi magri e neri di uccello da preda, con il
mento appoggiato a due lisci gozzi rossicci e un guazzabuglio di cernecchi
grigi sulla fronte. L'occhio era dolce e sereno.
Che vita,
povera donna! disse Edith.
Non sono
mica poi tanto povera. La vede. Son mica signora, magari, ma il mio vecchio
guadagna ancora qualche cosa, e io, come posso, neh, perché son già settantatré
e passa, la gerla voglio portarmela qualche anno ancora. E poi il
Signore ci sarà anche per noi due. Dunque, reverissi, neh, stieno bene,
facciano una buona passeggiata.
Ella curvò
il capo sotto il carico e fece atto di riprendere tentennando il cammino fra i
ciottoli, i frantumi di tegole e le immondizie. Marina trasse il suo
portamonete d'avorio e glielo pose bruscamente in mano.
Ah, cara
Madonna! esclamò la vecchierella io non lo voglio. Non lo voglio, cara Lei. Non
lo voglio proprio mica. Ciao, ciao soggiunse poi intimorita da un gesto
e da un'occhiata di Marina. Ah, signèli, è troppo. Ciao, ciao,
come vuole Lei. Ah, signèli!
Buon giorno
disse Marina, e passò avanti.
Escita dal
tanfo di letame e di putredine, ella si voltò; dovette leggere una parola
benevola sul viso di Edith.
Io non sono
virtuosa diss'ella io non ridomanderò questo a Dio. Io non sono amichevole
verso coloro che non amo, con il nobile fine di acquistare un biglietto pel
paradiso. Del resto, Lei non può fare per me che quanto Le ho detto; scrivermi
dove abita, che fa il signor Silla.
Edith
tacque.
Teme disse
Marina ch'io voglia farlo assassinare?
Oh no, so
bene che non lo ama rispose Edith sorridendo.
Marina si
sentì afferrare il cuore da una mano fredda. Ella passava allora presso la
cisterna. Buttò le braccia sul parapetto e porse il viso al fondo. Il solo
suono della parola ama le riempiva l'anima. Non lo ama aveva
detto Edith: ma la negazione era caduta inavvertita, non la magica parola ama.
Avvenne allora di Marina come di una corda musicale inerte che chiude in sé la
sua nota silenziosa, ma se una voce ignara di lei passa cantando nella stanza
ove giace, e tocca tra l'altre questa nota, sull'istante tutta la corda vibra. Ama,
ama, ama! In fondo al nero tubo della cisterna brillava un picciol disco
sereno rotto da una scura testa umana. Marina chiamò involontariamente a mezza
voce:
Cecilia!
La voce
percosse l'acqua sonora e tornò su con un rombo sinistro. Marina si rizzò e
riprese il cammino senza parlare.
Girarono le
coscia della montagna, discesa giù a destra fino ai greti del torrente. Il
fragore di cascate lontane, che si udiva dalle stalle, parve saltar loro in
faccia col vento della vallata. Acque potenti non si vedevano; s'indovinavano
là davanti in una gola stretta, chiusa da altri monti carichi di fosche nuvole
meridiane e nell'ombra di una lunga spaccatura tortuosa che discendeva da
quella gola nella valle fra una nera costa imboscata, a frane rossastre, e una
massiccia cornice di campicelli, di pratelli verdi, illuminati dal sole. A
fianco della gola si vedeva una chiesa bianca appollaiata sopra un sasso
eminente: sotto di lei una spruzzaglia di tetti scuri, di capanne accovacciate
nei prati. E praterie nitide, arrotondate, erano gli alti dorsi delle montagne
a destra e a sinistra, sparsi di macchiuzze nere, di mille tintinnii che
facevano una larga voce sola, oscillante, pura. Il sentiero fendeva i declivi
erbosi, drappi di fiori tremanti nel vento fresco d'autunno.
Marina si
fermò guardando la gola in capo alla valle.
Dev'esser
là diss'ella.
Cosa?
domandò Edith.
L'Orrido.
Questo rumore vien di là. Oggi l'Orrido ha un gran fascino per me.
Perché?
Perché ci
voglio entrare con mio cugino. Lei tace, non si commuove. Non pensa quale emozione
trovarsi sola, in una caverna, con lui? Ha resistito Lei al fascino di mio
cugino? Due occhi che vanno al cuore. E che spirito! N'è inzuppato, poverino.
Non parliamo d'eleganza. È un Watteau, mio cugino. Dev'essere tutto
bianco e rosa, un impasto di cold
cream: un fondant! Non le pare? Dica, non m'invidierebbe se
diventassi contessa Salvador?
Vedo che
non lo diventerà rispose Edith.
Perché?
Conosco una persona che si sposò per odio.
Non per
disprezzo, io credo.
Per odio e per
disprezzo insieme. Son due sentimenti che si possono incontrare benissimo nel
tallone acuto d'uno stivaletto. Questa persona se ne servì per fouler aux
pieds con quattro colpi suo marito e parecchie altre cose odiose e
spregevoli.
A Edith
pareva impossibile che si avesse a tenere questo linguaggio là in alto, davanti
alla innocenza solenne delle montagne. Pensò alla povera mamma sepolta lontano;
se vedesse la sua figlioletta in tale compagnia, se udisse tali discorsi! Ma
Edith non correva pericolo. Ella non ignorava il male, viveva sicura nella
propria conscia purità. Lasciò che Marina continuasse a sua posta.
Quest'amica
mia si era innamorata di un altro. Si scandolezza?
Edith non
rispose.
Via, non
facciamo come se ci fosse qui il signor papà o il signor zio o un qualunque
signore in calzoni. Quanti anni ha, Lei?
Venti.
Dunque!
Deve ben sapere quello che succede nel mondo. Taccia, mi lasci dire. Non credo
a certi candori. Dunque l'amica mia aveva un amante e volle, il perché non
importa, volle arrivare ad esso passando col suo stivaletto acuto sopra un
marito spregevole, sopra una razza odiosa. Che male c'è? Gli uomini proibiscono
questo e quello. Bravi. Ma con quale diritto? Coloro che Iddio congiunse
nessuno divida. Non è così? Presso a poco. Bene, questo è bello, questo è
grande. I preti sono stupidi con le loro spiegazioni. Domando se è Dio che
mette cotta e stola e borbotta quattro parole per congiungere alla cieca due
corpi e due anime. Dio li congiunge prima che si amino, prima che si vedano,
prima che nascano; li porta, attraverso tutto, l'uno all'altro! Quelli poi che
congiunge l'uomo, ossia le famiglie, un calcolo, un errore, un prete che non sa
che cosa si faccia, quelli Dio li divide! Cosa dicevo? quest'amica mia sposò
con odio e con disprezzo; passò così!
Slanciò
avanti la persona fremebonda, e batté col piede a terra con tanta energia che
parve a Edith ne dovessero saltar scintille.
S'udì una
voce acuta da lontano:
Signora
donna Marina!
Era la voce
di Rico. Egli comparve presto, correndo; quando vide la sua padrona smise di
correre e gridò:
Han detto
così di far piacere...
Marina gli
accennò bruscamente con l'ombrellino di venire avanti.
Egli tacque
subito, spiccò altri due salti e giunse ansante, accigliato nella sua gravità
di ambasciatore e nella paura di lasciar cadere qualche briciola del messaggio.
Han detto
così di far piacere a venire un po' più in fretta, perché è tardi e c'è giù la
signora contessa che aspetta.
Dove sono?
disse Marina.
Uno è qui
vicino che viene incontro a Loro, e gli altri sono nel paese.
Non andò
molto che apparve sua Eccellenza Nepo seduto sul suo fazzoletto accanto al
sentiero. Si guardava attorno con un'aria sgomentata e si faceva vento con un
piccolo ventaglio giapponese. Quando sopraggiunsero le signorine precedute dal
Rico, si alzò in piedi e, scordandosi per un momento di essere gentiluomo,
gridò, prima di salutare, al ragazzo:
Perché non
mi hai aspettato, imbecille?
Pare che
avesse ragione di non aspettare osservò Marina freddamente.
Voi siete
molto cattiva con me rispose Nepo a mezza voce.
Marina non
parve gradire quel tono intimo, pieno d'allusioni, e disse asciutta asciutta:
Quanto c'è
di qui all'Orrido?
È subito
qui mormorò il Rico fra i denti.
Cielo
clemente, un'eternità c'è! gemette Nepo. Non è stata un'idea molto felice
quella di farci arrampicare fin quassù. Il commendator Vezza e il commendator
Finotti sono mezzi morti. Io sono un grandissimo camminatore e mi ricordo
d'esser salito a piedi, quand'ero studente, da Torreggia al convento di Rua,
negli Euganei, che non è piccola bagatella; ma qui non so, è un camminare
diverso: si fa meno strada e più fatica. Cosa volete che vi dica? Da noi anche
i monti hanno più creanza.
Approfittò d'un
momento ch'Edith era uscita di strada per cogliere un ciclamino e disse a
Marina non senza un dispettoso lagno nella voce e nel volto:
E la vostra
risposta?
Presto
diss'ella.
Quando?
Venite
nell'Orrido con me.
Nepo non
parve contento, ma non poté chiedere spiegazioni, perché Marina aveva preso il
braccio di Edith e a lui appena bastava la lena di tener loro dietro.
I
commendatori e il Ferrieri erano seduti presso la porta dell'osteria di C...
sopra una pancaccia addossata al muro, e parlavano a un vecchio calvo,
scamiciato, dalla pelle color mattone, accoccolato sulla soglia dell'osteria
con una lunga pertica fra le gambe ignude; era il navicellaio, il degno Caronte
dell'Orrido.
L'Orrido
sta a poche centinaia di passi dal paese. Il fiume di C... nasce qualche
chilometro più in su, si raccoglie lì tra le caverne immani in cui scendono a
congiungersi due opposte montagne, corre per breve tratto in piano, all'aperto,
poi trabocca sotto il paese di rapida in rapida, di cascata in cascata sino in
fondo della valle, per morire ignobilmente nel lago, là dove approdò la brigata
del Palazzo. Uscendo da C... si trova presto un ponticello di legno che gitta
la sua ombra sopra una luce di sparse spume, di acque verdi, di ghiaiottoli
candidi. Non si passa il ponticello; si piglia invece a sinistra pel letto del
fiume. Colà le acque blande ridono e chiacchierano correndo via tra la gaia
innocenza dei boschi con certi brividi memori di passate paure. Di scogli non
appariscono che striscie oblique a fior di terra, tappezzate di scuri muschi,
di fiocchi d'erba, di ciclami pomposi. Guardandolo in su dalle ghiaie si vedono
a dritta e a manca disegnarsi sul cielo le due sponde come due colossali ondate
di vette fronzute, due alte dighe vive, luccicanti al sole, di roveri, di faggi,
di frassini, di sorbi che si rizzano gli uni dietro gli altri, si curvano in
fuori per veder passare l'onde allegre, agitano le braccia distese, plaudendo.
Presto si giunge a un gomito del fiume. Non più sole, non più verde, non più
riso d'acque: immani fauci di pietra vi si spalancano in viso e vi fermano con
il ruggito sordo che n'esce, con il freddo alito umido che annera là in fondo
la gola mostruosa. Il ruggito vien su dalle viscere profonde; l'acqua passa per
la bocca degli scogli, grossa, cupa, ma silenziosa. Una sdrucita barchetta è lì
incatenata a un anello infisso nella rupe. Porta due persone oltre il
barcaiuolo. Si risale la corrente con quella barchetta che pare non voler
saperne, torce il muso ora a destra ora a sinistra e scapperebbe indietro senza
la pertica di Caronte. Il fragore cresce; la luce manca. Si passa tra due rupi
nere, qua rigonfie come strane vegetazioni, gemme enormi della pietra, là cave
e stillanti come coppe capovolte; tutte rigate ad intervalli eguali, scolpite a
gengive su gengive dal fondo alla cima. In alto, il cielo si restringe via via
tra scoglio e scoglio, e scompare. La barchetta salta in una fessura buia,
piena d'urla, si dibatte, urta a destra, urta a sinistra, folle di spavento,
sotto gli archi echeggianti della pietra che, morsa nelle viscere dal flutto
veloce, si slancia in alto, si contorce. Dal sottilissimo strappo che fende il
manto boscoso di quelle rupi filtra nelle tenebre un verdognolo albore, un
lividore spettrale che macchia cadendo le sporgenze della roccia, vien meno di
sasso in sasso e si perde prima di toccar l'acqua verde cupa; si direbbe un
raggio di luce velata di nuvole, sull'alba.
Da
quell'andito si entra nella sala del trono rotondo tempio infernale con un
macigno nel mezzo, un deforme ambone per la messa nera, ritto fra due fascie
enormi di spuma che gli cingono i fianchi e gli spandono davanti in una gora
larga, tutta bollimenti e spume vagabonde, levando il fracasso di due treni
senza fine che divorino a paro una galleria. È da quel masso che viene alla
caverna il nome di sala del trono. Si pensa ad un re delle ombre, meditabondo
su quel trono, fisi gli sguardi nelle acque profonde, piene di gemiti e di
guai, piene di spiriti dolenti. Per una spaccatura dietro al trono sprizza
nella caverna un getto di luce chiara.
Caronte
staccò la barchetta dall'anello e con un urto poderoso la fe' scorrere dalla
ghiaia nell'acqua. Intanto il Rico saltellava come una cutrettola pe' sassi
sporgenti del torrente e otto o dieci marmocchi s'erano appollaiati dietro la
comitiva a guardar fiso come uccelletti curiosi di un grosso gufo. Il Vezza che
capiva pochino le bellezze naturali, e il Finotti che non le capiva affatto,
ammiravano rumorosamente l'orrida magnificenza del luogo. Il Ferrieri non si
curava di unirsi a' loro entusiasmi e ne parlava tranquillamente a Edith. Le
diceva di sentirsi freddo più del ghiaccio davanti a simili scene, sin da
quando, nella prima giovinezza, si era schiacciato e ucciso dentro al cuore un
poeta, incomodo inquilino; soggiungeva però di dubitare ora, per la prima
volta, che quello spregevole parassita fosse ben morto; gli pareva di sentirlo
a muoversi, di sentire un calore insolito...
Avanti,
signori disse Marina.
Infatti
Caronte aveva terminato di disporre la navicella e accennava alle due signore
di entrarvi.
Mio cugino
ed io disse Marina saremo gli ultimi.
Allora noi
due saremo i primi, signorina Edith.
Così
dicendo il Ferrieri avvolse alle spalle della sua bella compagna lo scialletto
celeste ch'ella portava sul braccio. Edith non se ne avvide, quasi; pareva
affascinata dalla bellezza nera delle rocce spalancate davanti a lei. Entrarono
ambedue nella barchetta e si allontanarono. Era bello veder passare tra quelle
porte infernali la barchetta, lo scialle celeste, il vecchio pittoresco ritto
sulla prora colla sua lunga pertica. Presto scomparvero; prima Caronte, poi lo
scialle celeste, poi la piccola poppa bruna. Dopo una decina di minuti
ricomparvero la pertica ferrata, Caronte, lo scialle celeste. Dunque? Dunque?
gridarono il Vezza e il Finotti.
Nessuno
rispose. Appena nello scendere a terra Edith e il Ferrieri dissero qualche
fredda parola di ammirazione. Edith era triste e grave, l'ingegnere rosso fino
al vertice del cranio; il barcaiuolo attendeva impassibile che si raccogliesse
la seconda spedizione. Edith restò presso Marina e il Ferrieri si allontanò a
capo basso, studiando i ciottoli. Il Finotti e il Vezza partirono insieme, di
mala voglia.
Nepo era
inquieto. Non parlava, ma si moveva di continuo, guardava qua, guardava là,
crollava la testa per iscuoter via l'occhialino che non aveva più; tuffò due o
tre volte i piedi nell'acqua per andare di sasso in sasso in mezzo al torrente
a spiar il ritorno della barchetta. Quando fu discosto, Marina disse sottovoce
a Edith, accennando il Ferrieri:
Anche lui,
eh, con i suoi modi di gentiluomo! Ho capito quando siete usciti di barca.
Tutti eguali.
È una
vergogna, una vergogna! disse la giovinetta fremendo.
È stato
molto audace?
Edith
arrossì. Chi mi manca di rispetto solo per un momento, e con il menomo atto, è
molto audace diss'ella.
Signor
Ferrieri disse Marina ad alta voce.
Il Ferrieri
si voltò. Voleva parere impassibile e non poteva.
Favorisca
di scendere dalla contessa Fosca, che si annoierà molto. La signorina ed io
scenderemo dopo, col ragazzo, probabilmente da un'altra parte.
V'era nella
voce vibrante di Marina il risentimento involontario della donna che coglie un
uomo, anche indifferente, ai piedi di un'altra.
Il Ferrieri
s'inchinò e partì.
Non si usa
fare quello che ho fatto io adesso disse poi Marina a Edith. Appena un vecchio chaperon
lo farebbe. L'ho fatto per Lei, perché Ella non abbia più a trovarsi con quel
calvo Lovelace che Le mette tanto ribrezzo; e perché qualche volta non
m'importa di quello che si usa.
Grazie
rispose Edith.
La
barchetta ritornò con i commendatori.
Conte!
disse Marina.
Nepo fu per
rispondere Contessa! ma non fece che aprire le labbra ed entrò, dopo Marina,
nella barchetta.
E Ferrieri?
chiese il Vezza.
Ci precede
abbasso rispose Marina.
Ma ella era
già a quattro passi dalla riva e le sue parole confuse al ruggito sordo del
fiume non si distinguevano quasi più.
Si strinse
nello scialle, piegò il viso per schermirsi dal vento freddo che la spruzzava
di minute goccioline d'acqua, stillanti dalle rocce. Guardava con occhi vitrei
venirle incontro nell'ombra l'acqua grossa, veemente, senza una voce, senza una
ruga.
La
barchetta si accostava all'andito tenebroso che precede la sala del trono. La
figura del vecchio ritto sulla prora pigliava, tra gli scogli lucidi e neri, un
colore sempre più fosco, i colpi della pertica ferrata sparivano nel fragore
assordante delle cascate interne. Non ci si vedeva quasi più. Nepo si chinò
verso Marina, le prese una mano.
Ah!
diss'ella, come offesa; ma non ritrasse la mano. Nepo la strinse fra le sue,
felice; non sapeva che dire; gli pareva tutto fosse detto; stringeva a più
riprese quella mano fredda, inerte, come se volesse spremerne un concetto, una
frase, una parola. Ebbe un'idea. Tenne con la sinistra la mano di Marina e le
cinse la vita col braccio destro. Marina si strinse in sé e si slanciò avanti.
Fermo,
Cristo! urlò il barcaiuolo. Non ci si udiva, non ci si vedeva più. Il fragore
uniforme metteva nella fronte e nel petto una contrazione penosa.
Nepo
rallentò la sua stretta. Non comprendeva quel guizzo di Marina. Parlò. Gli era
come parlare con la testa tuffata nella corrente; ma egli, sbalordito, parlava
egualmente. E sentì la vita di Marina ribattere indietro al suo braccio.
Trasalì di piacere, allargò avidamente la mano che le cingeva il busto, come
una branca di bestia immonda, fatta audace dalle tenebre; allargò le dita nella
cupidigia di avvinghiare tutta la voluttuosa persona, di trapassar le vesti e
profondarsi nella morbidezza viva. Marina s'era ricacciata indietro con la
cieca bramosìa di stritolare quel braccio che la irritava come una sferza e
s'era volta a insultar Nepo, non udita e non vista. L'acqua, il vento, le
pietre stesse urlavano cento volte più forte, sempre più forte. Schiacciavano
con la loro collera, con la loro angoscia colossale, la piccina collera, le
spregevoli angoscie umane. Schiacciavano, buttavano via sottosopra le parole
come polvere. La brutale natura prepotente voleva parlar sola. Nepo sentiva il
caldo busto di Marina stringersi e dilatarsi ansante sotto la sua mano; gli
pareva di discernere, nel frastuono, una fioca voce umana; immaginava parole
d'amore e porgeva le labbra in cerca delle labbra di lei, fiutando le tenebre,
aspirando un tepore profumato, pieno di vertigini.
Allora un
vigoroso colpo di pertica fece che la barca girasse l'ultima svolta dell'andito
buio saltando in un diffuso chiarore verdognolo che pareva ascendere dall'acqua
trasparente. Nepo non ebbe tempo di veder Marina in viso. Il barcaiuolo ritto
sulla prora si era voltato verso di loro. Nepo lasciò prontamente Marina e
finse di guardare in alto. Il vecchio barcaiuolo aveva addossato lo scafo allo
scoglio puntando la sua pertica alla parete opposta, e, con il braccio libero,
trinciava di gran gesti, mostrava la cavità, le gobbe mostruose della pietra.
Bellissimo!
gridò Nepo.
Caronte si
toccò l'orecchio e fe' con l'indice un segno negativo: indi agitò in su e in
giù la mano distesa, accennando in pari tempo del capo come per promettere
qualche cosa di più bello, e ricominciò a lavorar di pertica.
Marina,
pallida, serrate le labbra, chiusa nello scialle bianco che le stringeva le
spalle, pareva un'anima peccatrice, fuggita nello sdegno alle ombre dei fiumi
infernali, mezz'irritata, mezzo stupefatta.
La sala del
trono si spalancò a prora come una visione verde dorata con la sua gran cupola
informe. il macigno nero nel mezzo, i tonanti fiotti di spuma e i bollimenti
dell'acqua lungo le pareti gibbose; ma la barchetta, invece di entrarvi,
scivolò a destra in un seno cieco di acqua tranquilla e si arenò. Una
gigantesca cortina di pietra cadeva dall'alto a formar quella cala,
schermandola in parte dal fragore dell'acqua. Colà, parlando forte, si poteva
farsi intendere. Il barcaiolo domandò a Marina se l'Orrido le piacesse, e soggiunse,
sorridendo con cert'aria di benigno compatimento, che piaceva a tutti i
signori. Quanto a lui non ci trovava di buono che le trote. Diceva che in quel
posto lì eran frequenti, e volle che Nepo e Marina si voltassero a guardar
nell'acqua, promettendo ne avrebbero visto balenar qualcuna sul fondo.
Nepo,
voltandosi, venne a sfiorar la guancia di Marina. Non mi toccate diss'ella
duramente, senza guardarlo.
Egli
attribuì quelle parole alla luce indiscreta e non se ne commosse che per dire
con mal piglio al barcaiuolo:
Cosa ne
facciamo delle tue trote, imbecille? Andiamo!
I suoi modi
con gl'inferiori, da gentiluomo maleducato, gli avevano già procacciato uno
schiaffo a Torino da un garzone di caffè e potevano procacciargli altrettanto e
peggio da Caronte; ma costui non intese che l'ultima parola, e risospinta
indietro la barca nella corrente, la fece entrare nella caverna grande,
l'addossò al trono, dove l'acqua era più tranquilla, e ricominciò la sua mimica
di cicerone muto. Accennò con la mano che si poteva salire sul macigno e uscir
quindi per la spaccatura della rupe dall'Orrido. Marina si gettò addietro lo
scialle, balzò in piedi sul sedile della barchetta, respinse l'aiuto
dell'attonito barcaiuolo e, posando i piedi sopra i risalti del masso, in due slanci
gli fu sopra. Di là accennò imperiosamente a Nepo di seguirla. Nepo, ritto in
barca, andava tastando il sasso, titubava e guardava di sbieco Caronte. Questi
lo levò di peso e l'appoggiò allo scoglio; come a forza di raspar con mani e
piedi vi si fu appiccicato, lo urtò su, con la palme, alla cima.
L'acqua,
entrando furiosamente, piena di luce, per la fenditura della roccia, si
frangeva, a tergo del trono, in due branche spumose che lo allacciavano. Dal
trono si passava oltre, si usciva all'aperto per una assicella lunga e sottile
gittata sopra i sassi sporgenti dell'acqua. Tenevano quella via i pescatori di
trote.
Marina,
seguita da Nepo, si avviò per l'assicella dopo aver accennato al barcaiuolo che
l'attendesse. All'uscita dell'Orrido si apriva una scena severa che sarebbe
parsa selvaggia a chi non vi fosse salito dalle caverne inferiori. Il torrente
saltava giù allo scoperto per immani scaglioni, brillando al sole come una rete
di fila d'argento, a grandi maglie irregolari, piene di fragore, fra due scogliere
protese in atto di chiudersi una sull'altra, mezzo ignude, mezzo cenciose nei
loro brandelli di bosco. Marina salì presso alcuni tassi rachitici che uscivano
a lambir con le loro frondi nere un pietrone ritto a fianco della bocca
dell'Orrido, ove il terribile fragore era grandemente affiochito. Si
sdrucciolava assai per quel ripido pendìo erboso inzuppato di rugiada nella sua
ombra perpetua. Non v'era sentiero, ma solo qualche forte impronta di passi
nella terra rossastra.
Nepo saliva
a grande stento, abbrancandosi con le mani ai ciuffi d'erba. Sostò a pochi
passi da Marina per pigliar fiato.
Fermatevi
lì diss'ella. Avete più coraggio all'oscuro.
Oh, adesso
poi, disse Nepo non mi fermo certo.
Fermatevi!
Nepo si
fermò, rannuvolato, inquieto. Aveva prima pensato ch'ella volesse procacciargli
un colloquio fuori della vista importuna del barcaiuolo. Ora non comprendeva
più. Si stizziva in cuor suo con Marina; ma gli era pur entrato da pochi minuti
un sentimento o, per meglio dire, una sensazione nuova.
Dalla
piccola mano di velluto, dal busto caldo, ansante che aveva stretti, gli si era
infiltrato nel sangue un turbamento insolito per lui, che usava dire di
sentirsi uomo con le pedine, angelo con le dame.
Tacquero un
momento tutti e due.
Dunque lo
volete? disse Marina.
Ah rispose
Nepo allungando le braccia.
Nuova
pausa.
Perché lo
volete?
Che
domanda, mio Dio!
Non è vero?
diss'ella sorridendo. Avete ragione.
Lo guardò
ben fiso con lo sguardo penetrante che le compariva e scompariva nella pupilla a
suo talento, e disse con voce più forte:
Ma io non
Vi amo!
Oh anima
mia! disse Nepo intendendo male. E si arrampicò fino a lei.
Ella fece
un passo indietro, sorpresa.
Non Vi amo!
ripete.
Nepo
impallidì, ammutolì; poi proruppe a voce bassa, ma concitata:
Non mi
amate? come, non mi amate? E cinque minuti fa in quella barca all'oscuro...
Ah sì? V'è
parso?
Ma, mio
Dio, se quella barca potesse parlare!
Direbbe
male di Voi. Vi siete ingannato; non Vi amo! Nepo la guardava con le
sopracciglia inarcate e le labbra semiaperte.
Però Vi
accetto diss'ella.
Nepo mise
un ah soffocato, si trasfigurò nel viso e stese le mani verso di lei.
Dunque Vi
basta? diss'ella.
Nepo volle
rispondere con un abbraccio, ma ella fu pronta ad appuntargli l'ombrellino al
petto.
Scendete subito
disse. Il barcaiuolo potrebbe andarsene. Io non vengo con Voi; giro l'Orrido di
fuori. No, non ci vengo. Voi, venire con me? Non Vi voglio. Andate. Non siete
contento adesso? Dite alla signorina Steinegge e al ragazzo che mi aspettino al
ponte. Voialtri precedeteci. Non ci aspettate laggiù alla barca. Non
aspettateci neppure a pranzo. Quando sarete a casa parlate pure a Vostra madre
e a mio zio. Subito, prima che io ritorni. Andate.
Egli non ne
voleva sapere di andarsene. Implorò un bacio, non l'ebbe; anche la piccola mano
di velluto, anche un lembo della veste furono negati alle sue labbra.
Afferrò
l'ombrellino e baciò quello, impregnato esso pure dell'odore di lei. Le acque e
le frondi ne risero; ed egli se ne andò contento e malcontento insieme, agitato
dalla torbida poesia de' sensi che non è del tutto abbietta e mette almeno
qualche volta in ogni anima il suo fervor vitale, il suo cupo fiore di un
giorno.
Quando
Marina arrivò al ponte, Edith era là ad attenderla con il Rico. Rifecero in
silenzio la via percorsa il mattino sino ad una vecchia pietra ove era scritto,
con la relativa freccia: Ai monti. Lì presero per una stradicciuola che
accennava ad un collo assai depresso tra la scogliera che è sopra C... e altri
dorsi erbosi.
Erano
presso al collo quando Marina, che precedeva Edith, si fermò e le disse
bruscamente:
Sa? Sono
stata leale.
Edith non
comprese e non rispose. Ella non pose mente alla emozione febbrile che vibrava
nella voce e luceva negli occhi di Marina. L'anima sua era tutta nello spettacolo
della valle che si trasformava salendo, negli orizzonti che si allargavano tra
le ondulazioni delle cime verdi ed altre cime azzurrognole, nella tremula nota
continua delle campanelle vaganti per i pascoli, nelle voci acute e gravi di
acque che passavano cantando sul fondo di riposti valloncelli e fra l'erba dei
prati cadenti, onde saltavano talvolta sulla via per fuggire dall'altra parte.
Ella camminava più lenta, contemplando il cielo così puro al di sopra delle
passioni di tante montagne sfolgorate in fronte dal sole obliquo a cui tutte
parevano guardare, unite in qualche grande pensiero, in qualche sublime
preghiera senza parole. Sospirava e sentiva scendersi al cuore l'aria piena di
questo spirito muto delle montagne. Non comprendeva come si potesse pensare ad
altro, non sentiva più, come al mattino, l'influenza penosa di Marina; era
libera. Giunta sul collo del monte, disse guardando la nuova scena che le si
apriva davanti:
È una
poesia.
Marina non
aperse bocca. Edith vide, accostandosele, che ella aveva gli occhi pieni di
lagrime; si fermò, sorpresa. Marina le prese il braccio con forza, e, accennato
al Rico di andare avanti, uscì con lei di strada, rapidamente, camminando sul
prato; ad un tratto abbracciò la sua compagna e proruppe in singhiozzi disperati.
Singhiozzò, singhiozzò sull'omero sottile di Edith, stringendole convulsa le
braccia, parlando con le labbra impresse nelle sue vesti, scotendo forte, a
ogni tratto, la testa. Edith, commossa, tremava da capo a piedi, si sentiva
vibrare nel petto il rombo di quella voce soffocata e non poteva coglierne
alcun suono distinto; provava nel cuore una pietà grande, come se il cuore
avesse intese le cose singhiozzategli sopra; provava un affannoso bisogno di
trovar parole di conforto, e non sapeva. Ripeteva: Si cheti, si calmi ma senza
frutto, che Marina scoteva allora la testa con maggior violenza. Chinò il volto
e le posò la bocca sui capelli, esitò un momento, lottando con qualche occulto
pensiero, baciò finalmente quella testa altera, così umiliata, e ne provò
consolazione come d'una vittoria. A poco a poco i singhiozzi si chetarono.
Marina alzò lentamente il capo e si staccò da Edith.
È passato
diss'ella grazie.
Mi parli
disse Edith affettuosamente. Se Lei mi vedesse il cuore...
Le ho
parlato rispose Marina. Le ho detto tutto.
Ella ebbe
ancora due o tre singhiozzi convulsi, senza lagrime. Edith voleva che sedesse.
No, no rispose è passato. Si morse il labbro sino a sangue e si affrettò a
ripetere: È passato, è passato. Ella s'era appoggiata a un grosso macigno
bianco intagliato a traforo dai ghiacci, che usciva dal prato fra cespugli di
mugo, come una scapola enorme di qualche mostro fossile mai sepolto. Ci aveva
posate ambedue le spalle, e volto il viso sulla spalla destra, si guardava la
mano rabbiosamente attorta agl'intagli bizzarri del sasso.
Mi dica...
ripeté Edith.
Marina
voltò la testa e strappò il fiore azzurro da un lungo stelo che saliva presso a
lei.
Che fiore
è? diss'ella bruscamente. Pare aconito. E lo porse a Edith.
Questa
prese il fiore senza guardarlo, volle insistere. Marina fu ripresa da un
assalto nervoso violento. Stavolta abbracciò il masso, vi soffocò i singulti.
Pareva sitibonda di entrar nella pietra, di gelarvi, di irrigidirvi per sempre.
E intorno a
lei era tanta pace!
Le campanelle
delle vacche empivano del loro tremolìo i silenzi solenni della montagna,
mettevano voci di vita innocente nei pascoli, nelle selvette compatte,
verde-dorate di giovani faggi, in giro a rade macchie
metalliche d'abbeveratoi stagnanti. Presso quel sasso gli aconiti rizzavano nel
sole fuggente la loro pompa, le felci curvavano le grazie leggere del fogliame
color di aprile, ciclami vanitosi gittavano i lunghi gambi ignudi de' loro
fiori. Tutti circondavano Marina di pace, di dolcezza grave, silenziosa.
Si udì la
voce lontana del Rico che gridava:
Uuh-hup!
Uuh-hup!
Voci di
mandriani rispondevano:
Uuh-hup!
Uuh-hup!
Parean
saluti al sole che aveva levato il suo raggio dall'erba e saettava la cima del
sasso bianco. Il tremolìo diffuso delle campanelle s'avvicinava da tutte le
parti all'alpe di C... accovacciata in un seno erboso sotto le scogliere. Le
vacche vi si avviavano a file, a drappelli, accodandosi le une alle altre sugli
angusti sentieri, trottando giù dai brevi pendii, sbracandosi lente nei prati,
fermandosi di tratto in tratto a levar il muso e muggire.
Il Rico
gridava sempre:
Uuh-hup!
Marina si
scosse, si volse a Edith e le disse:
Andiamo.
Adesso è passato davvero.
Edith la
pregò ancora di parlare, di confidarsi a lei.
Le ho detto
tutto rispose da capo Marina. Non potrei ora ripeter quello che Le ho detto.
Non lo sento più. Metta che vi fosse in me un sentimento ch'io ignoravo. Ad un
tratto ha divampato, mi ha preso alla gola, al cervello, dappertutto. Ma è
stata una vampa sola. Adesso è morto. Non lo sento più. Non so più nemmeno se
fosse dolore o sgomento. Sa, quando si entra in una via sconosciuta viene
sempre questo dubbio: E se sbaglio? Se mi perdo? Non dura, ma viene. Senta; se
in avvenire udrà parlare di me, contro di me, si ricordi questa sera. Allora
capirà, forse.
Spero che
non udrò parlare contro di lei.
Oh!
Tornate sul
sentiero, trovarono il Rico fermo ad aspettarle. Si faceva tardi, era freddo.
Scesero in fretta verso Val... Marina non parlava, seguiva i suoi pensieri.
Solo dopo una mezz'ora di cammino prese il braccio di Edith e le disse:
Glielo
racconti.
A chi?
rispose Edith.
Marina
trasalì, le lasciò andare il braccio e non disse più nulla.
Il sasso
bianco, sgretolato dal gelo, ritto fra il mugo, le felci e gli aconiti sotto il
cielo pallido della sera, sapeva forse per quali angoscie oscure un corpo e
un'anima si fossero dibattuti insieme sopra i suoi fianchi duri, freddi, senza
pietà. Se vi dormiva il torbido spirito, l'insensatum cor della
montagna, poté sognare che un altro core, appena incatenato alla colpa e alla
sventura era corso a palpitar forte, quasi a frangersi addosso a lui, in un
impeto di dolore atroce scoppiatogli su da profondità che oltrepassano la
coscienza; poté sognare quanto si soffra anche fuor del suo carcere cieco,
anche nel mondo sperato dei sensi, del pensiero e dell'amore. Non si udivano
più le campanelle delle vacche, salivano dalle valli fiocchi di nebbia, saliva
dall'Orrido, come un gran pianto, la voce del fiume, e là in alto il sasso
bianco si faceva sempre più triste, sempre più cupo, tra il mugo, le felci e
gli aconiti, sotto il cielo pallido della sera.
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