Ah Dio, Silla, che orrore! disse la signora De
Bella entrando come un nembo di seta in cui due piedini nervosi tempestavano a
colpi sordi. Buona sera. È un pezzo che mi aspetta? come va? Ella gittò sulla
spalliera d'una poltrona la sua pelliccia bianca e porse a Silla una manina
nuda, luccicante d'anelli. Anche la sua bocca ridente, i suoi occhi celesti
scintillavano. Ella era in tulle nero e sott'abito di seta azzurra, scoperte le
spalle e le braccia che aveva bellissime, senza un braccialetto, né un
medaglione, con due grandi anelli di turchesi e perle agli orecchi, un fiore
azzurro in seno, un altro nei capelli biondi, molto incipriati, raccolti sopra
la nuca come un gruppo di grossi serpenti. Aveva un profumo tepido di veloutine
che parlava della sua pelle morbida.
Silla
s'inchinò.
Come va?
Che bravo Silla! Non si pentirà d'esser venuto, sa? Ho tante cosettine carine
carine a dirle. Sieda! Ma che orrore, neh! Come, non era in teatro Lei? Ah, non
c'era. Senta bene. Adesso verrà qualcuno. Sa, dopo teatro ho dei buoni amici
che vengono a prendere il thè. Stasera ci sarà M... che, quando viene, fa
sempre un po' di temporale sul mio piano. Lo conosce? Non ha niente del
pianista tipo, ma suona bene. Lei prenderà un posticino vicino a me: vicino
vicino. - Cara! (Si ricordi, parleremo).
Ella si
alzò e andò incontro a una signora annunciata in quel momento, che al primo
entrare artigliò Silla con una occhiata fredda e poi si rivolse sorridendo a
salutar la padrona di casa.
Che orrore,
eh? disse donna Giulia.
Presentò
Silla e riprese:
Che orrore,
cara te!
Io lo
sapevo prima. Hai visto la Mirellina?
Euh, euh!
Doveva venir qua stasera. Ma come hai fatto a saperlo?
Il
cameriere tornò ad annunciare. Entrarono quasi di seguito parecchie signore e
parecchi cavalieri. Le signore cinsero Giulia di un grazioso cicalio di
salutini, di risatine discrete, di parolette sfumate morbidamente. Le curve
spalle bianche raccolte in mezzo alla sala parata di raso azzurro, sotto la
opaca luce aurea che si spandeva dai globi smerigliati delle lampade, parevano
petali caduti là da un'alta invisibile magnolia grandiflora. Degli occhialetti
scintillanti di curiosità oblique, delle sgraziate braccia nere s'insinuavano
nel gruppo cercando un sorriso, una stretta di mano di Giulia. La sua testolina
bionda oscillava, come la testa di un uccellino vispo. Il gruppo si sciolse, si
disperse nella sala.
Silla aveva
incontrata quella gente in altre case, tempo addietro, quando soleva
frequentare la società molto più che non facesse ora. Le signore appartenevano
alla nobiltà di secondo ordine e alla alta borghesia. Giovani e belle quasi
tutte, avevano in gran parte l'aura di nascosti amori passati e presenti, di
cui la gente sapeva quel tanto che basta ad accendere le fantasie sensuali, a
mostrar loro negli occhi d'una donna certi languori, certi ardori che forse non
ci sono. Tre o quattro di quei giovani stessi che prima attorniavano le dame e
poi s'erano aggruppati intorno all'una e all'altra di esse, venivan creduti
amanti felici di altrettante signore presenti. Nessuno l'avrebbe indovinato al
loro contegno, salvo forse a qualche rapido sguardo di sospetto geloso,
saettato di quando in quando da un capo all'altro della sala. La meno prudente
era una nobile signora sui quarant'anni, scollata sino a mezzo il dorso,
sfoggiatamente elegante. Ell'era venuta dopo le altre, sola, un momento prima
del suo amante, un giovane ufficiale d'artiglieria. Quando l'infelice parlava a
qualche signora, colei lo mordeva cogli occhi.
Faceva
caldo là dentro, benché fossero aperte due larghe porte che mettevano in due
altre sale illuminate: la sala dei grandi ricevimenti, gialla, grandissima,
zeppa di suppellettili e quadri antichi: e la sala da musica,
rosso-cupa, dove s'intravvedeva la voluttuosa Baiadera di
C..., in marmo di Carrara. Nella sala azzurra v'era un tepore profumato di
bellezza viva, segretamente disposta ad amare. Quei vapori salivano al cervello
di Silla e, sopravvenendo dopo lunghi mesi di vita solitaria e studiosa, glielo
offuscavano, gli dicevano quale fosse la felicità intensa, la vera, la sola,
sia pur fugace, che è offerta all'uomo, sia pur da un cattivo genio; essere
follemente amato da una di quelle donne altere con lo squisito condimento di
tutte le eleganze e della colpa.
La
Mirellina non si vede disse qualcuno.
Era la
terza volta che si ripeteva questo discorso, ma la nobile signora venuta per
l'ultima non l'aveva inteso.
Che orrore,
neh, Laura? le disse la padrona di casa.
Cara...
rispose donna Laura che badava ad altro. Giboyer, neh?
Oh giusto!
rispose Giulia ridendo. Non parlo mica della commedia.
Laura non
poteva vedere osservò un'altra signora.
Ah, sicuro,
perché ci stai sopra.
Ora
capisco! esclamò donna Laura. Altro che orrore. Me l'ha detto mio marito. Vi
vedevo tutti guardare e non capivo il perché. Vedevo un ciuffo de' capelli
rossi di don Pippo e un braccio nudo dall'altra parte.
Io però
osservò un'altra signora dopo aver dato un leggero colpo di ventaglio al suo
vicino che le sussurrava qualche cosa all'orecchio io trovo che la Mirellina ha
avuto torto di andar via.
Si è
tradita da sé soggiunse un giovane elegante che afferrava sempre l'occasione di
tradurre le frasi degli altri, tanto per parlare.
Ne seguì un
dialogo animato fra tutti. Chi biasimava, chi scusava questa Mirellina ch'era
partita dal teatro perché il suo amante v'era comparso con una signorina di
ventura. Si parlava molto ma evitando ogni espressione troppo viva riguardo
alla dama, velando e smorzando le parole per non offendere, senza volerlo,
alcuni dei presenti di quelli che avevano simili intrighi.
È stato un
capriccio di Pippo disse un giovinotto. Ella ne ha perdonati tanti a suo
marito; dunque?...
Ci fu un
breve silenzio, come quando taluno dice cose poco opportune.
E lei, chi
è, propriamente? chiese la signora che non aveva capito bene.
Parecchie
voci le risposero; qui non c'eran più riguardi. Era una russa, no, un'inglese,
no, un'americana. Ciascuno degli uomini pretendeva essere informato meglio. Si
chiamava Sacha Ferline. Nome falso. Era venuta a Milano a studiare il canto,
stava all'Hôtel de la Ville, e spendeva moltissimo: in questo eran tutti
d'accordo. Don Pippo n'era innamorato. Tutt'altro! Alcuni parlavano di certe
attrattive, sorridendo misteriosamente. Le signore pigliavano un'aria seria, si
parlavano tra loro con gli occhi maliziosi.
Il
cameriere annunciò la signora Mirelli.
Fu un
soffio agghiacciato. Giulia, che stava preparando il thè, corse rossa rossa
incontro a donna Milla Mirelli, una bella piccina, rotonda, pallida, con gli
occhi neri.
Oh, cara,
cara! diss'ella. Non ti speravo più.
Che vuoi?
Mio marito ha mandato a chiamarmi a teatro per Max. Sai com'è mio marito. Max
aveva tossito una volta, non era niente. Intanto io mi son tutta rimescolata...
Buona sera, Laura... E son venuta a compensarmi da te... Buona sera, Emilia...
Ho fatto bene? Buona sera, buona sera. Tutti si erano ricomposti, facevano
ressa intorno a donna Mina per salutarla, con un fervore insolito. Giulia tornò
al suo thè. Dame e cavalieri rimasero in piedi, conversando di certe cose,
della commedia, del principe di Piemonte che vi assisteva, di madamigella
Desclée a cui le signore facevano qualche piccola censura. Gli uomini
approvavano per cortigianeria; in cuor loro andavano tutti pazzi della Desclée.
Silla che l'aveva udita una volta sola, ne prese la difesa; parlò del suo
sguardo magnetico, del sorriso, della voce intelligente, di quel je t'aime
dolce e grave che faceva pensare alla voce della regina Yseult nel verso di
Maria di Francia:
La voix
douce et bas li tons.
Non era
corretto, in quella riunione, il calore del suo parlare. Molti ne sorrisero;
pure, a taluna, questo giovane che ragionava con tanto fuoco della grazia e
della bellezza non dispiacque. Lo punsero con qualche epigramma a fior di
labbro, accentato di freddezza beffarda; ma poi più d'una gli rivolse la parola
chiedendogli a bruciapelo, indiscretamente, delle sue opinioni e dei suoi
gusti. La contessa Antonietta V..., una brutta sentimentale, amante di Heine e
di Schumann, se lo trasse vicino per dirgli in segreto che lo approvava, che la
Desclée era la donna da lei più invidiata sulla terra, che quella gente lì non
capiva niente. Disse che avrebbe voluto sapere da lui se andassero d'accordo in
tante altre cose, lo invitò ai suoi lunedì e finì porgendogli, con un sorriso,
la sua tazza di thè vuota.
Guarda
l'Antonietta disse una signora a donna Mina.
Adesso
comincia a parlar d'amicizia. Non credi?
Ma lui, chi
è? rispose donna Mina, distratta.
Un certo
Silla, nipote di filandieri, credo, che fila dei libri clandestini.
Giulia
gittò due parole nell'orecchio a un giovane, che andò quindi spargendole qua e
là, sottovoce, e poi s'accostò sorridendo al maestro M... che sorseggiava il
suo thè in disparte. Il giovane pareva domandare qualche cosa e il maestro
schermirsi. Più persone gli si strinsero attorno insistendo con la voce e il gesto.
Donna Giulia gli mandò senza muoversi una delle sue vocine toccanti. Allora
colui si arrese e mosse, tra i bravo sommessi, verso la sala da musica,
gemendo:
Ma... non
saprei... veramente.
Giulia
gittò altre due parole nell'orecchio del suo primo ministro e, passando presso
a Silla, gli disse piano e rapidamente, senza guardarlo:
Lei resti
qui con me.
Tutti si
avviarono nella sala da musica.
Cosa
suonerò? disse il maestro, seduto davanti a un magnifico Érard, con le mani sulle
ginocchia, guardando la candela di sinistra.
Ci suoni Frühlingsnacht
gli sussurrò con la sua voce timida la contessa Antonietta, che suonava ella
pure stupendamente.
Oh, troppo
poco disse l'agente segreto di donna Giulia. Ci vuole un gran pezzo di concerto.
A quel
tempo regnava ancora Thalberg. Qualcuno propose la sua fantasia sulla Sonnambula.
Ecco il
temporale disse donna Giulia a Silla, mentre il maestro tuonava sulla tastiera
per isgranchirsi le dita, come un Giove invecchiato.
Ella si
gittò in una poltrona dove non potevano vederla dall'altra sala. I suoi capelli
biondi, le spalle ignude spiccavano mirabilmente sul raso azzurro. Batté con la
punta del ventaglio di madreperla e pizzo una scranna vicina. Silla obbedì.
C'è una
signorina diss'ella che s'interessa molto di Lei.
Di me?
Di Lei. La
prego, Silla, non faccia il modesto. Non mi piacciono gli uomini modesti. Di
lei, sicuro. Una signorina molto bella, molto nobile, molto elegante, di molto
spirito, molto amica mia insomma. Faccia un inchino. Questa signorina ha letto
il suo Sogno anonimo e le è piaciuto molto, pare, come è piaciuto a me.
Silla fece
un secondo inchino.
E questa
signorina diss'egli sorridendo si chiama...?
Oh come
corre, come corre! rispose donna Giulia con una risatina sottovoce. Questa
signorina non si può sapere come si chiama. Questa signorina non conosce Lei.
Sa appena il suo nome, perché gliel'ho fatto sapere io l'anno scorso dopo quel
giorno che ci siamo incontrati in via San Giuseppe. Me lo aveva chiesto pochi
giorni prima, ma se non era il nostro amico di Berlino e un po' così... (Donna
Giulia si fece scintillare sulla fronte, con un atto grazioso della mano, gli
anelli) non l'avrei saputo certo. Convien dire che il nome le sia andato molto
a genio perché le ha messa attorno una curiosità, un interesse, una cosa
insomma! Sa? Voleva conoscere la Sua vita, le Sue abitudini, le Sue relazioni,
tante cosettine a cui ci teniamo noi donne. Io le avevo promesso un monte di
informazioni, sperando che quest'inverno Lei si sarebbe lasciato vedere un po'
di frequente. Ma Lei ha fatto l'orso. Dio, Silla, come ha fatto l'orso! Dunque
senta; adesso deve venire spesso, spesso, spesso e lasciarsi studiare un po'.
Ella gli
stese la mano sorridendo e trattenne quella di Silla.
Donna
Giulia aveva una bella riputazione di civetta.
Si diceva
però ch'ell'era una farfallina d'amianto.
La
definizione era attribuita a suo marito che non le si vedeva mai accanto né in
casa, né fuori, e che avrebbe giustificato a questo modo, in un colloquio
intimo, la sua fiducia indolente. Silla lo sapeva; gli balenò che la signorina
ignota fosse una ispirazione poetica, ma egli presumeva troppo poco di sé per
affermare risolutamente quest'idea.
Verrò certo
diss'egli ma non per una x così nebulosa...
No, no, no
lo interuppe Giulia. Non complimenti. Dio, ne sento tanti, Silla! Dica che
verrà molto per la x e un pochino anche per me, non è vero? o per mia
cugina Antonietta soggiunse con un malizioso sorriso La conosceva?
L'ho vista
una volta in casa B...
Ah, va
dalla B..., Lei? Senta, non cerchi mica la x fra le mie amiche, sa! Non
sta a Milano.
Non sta a
Milano? disse Silla trasalendo.
No. Zitto
adesso. Come è bello questo.
Il piano
cantava:
Ah non
credea mirarti.
La lenta
melodia saliva saliva affannosamente una via dolorosa, cadeva spossata,
rilanciavasi avanti, ricadeva con la sua divina grazia di movenze.
Dio, come
pesta disse Giulia. Capisco niente soggiunse in milanese sospirando. Senta
adesso se non pare una canzone napoletana:
Piangeva
sempre ca dormiva sola.
Ella si
commoveva, il suo petto, le spalle si sollevavano, tradivano un flutto interno.
Alla ripresa della melodia mormorò:
Questo lo
fa bene.
Infatti
M... eseguiva la variazione del trillo perfettamente. Pareva un tremito
melodioso di due ali prigioniere, folli di dolore.
Non sta a
Milano riprese Giulia, tranquillissima, quando ricominciò più furiosa che mai
la tempesta degli accordi. Oh, sta in una cornice romantica. Si figuri un
laghetto perduto tra le montagne, un castello nero nero seduto sulla riva verde,
un castellano nerissimo, insomma un'occhiata di Scozia. Io non ci sono stata,
sa, ma me lo figuro così. Ci devono essere dei grandi cipressi. D'un solitario
poi! Il lago è impossibile, senza ville tranne questa. Se non fa lui un po' di causerie
quando c'è vento, silenzio profondo sempre sempre. La mia amica ha una
barchettina e gira sola, magari la notte, come una dea selvaggia. Sa, un
magnifico posto per un capriccio, per passarvi un quindici giorni in buona
compagnia, dormant peu, rêvant beaucoup, leggendo qualche libro amico,
dolce e tranquillo, erborizzando sulle montagne, facendo musica la sera, sul
lago; non di questa, però! Povera Sonnambula, che eccidio, quel
Thalberg! Ma lei, la mia amica, ci fu relegata sola, con uno zio tiranno...
Giulia balzò
in piedi, interrompendosi, e corse nell'altra sala, mentre M... rosso, sudato,
coi capelli cadenti sugli occhi, schiacciava gli ultimi accordi. Ella batté,
piano, le mani.
Perfetto
disse.
Vi fu
qualche altro sommesso applauso e molti benissimo detti più o meno forte
secondo la riconosciuta autorità del giudice. Quelli che non capivano affatto
si sussurravano fra loro:
Benissimo,
eh?
Perfettamente.
La contessa
Antonietta cercava Silla con gli occhi. Egli comparve qualche momento dopo,
pallido, trasognato. Andò a contemplare la Baiadera di marmo.
Che le pare
di questa musica? gli sussurrò a fianco la vocina morbida di donna Antonietta.
Egli si
voltò bruscamente, come sorpreso; credette che la signora gli avesse parlato
della statua, e rispose a caso:
Bellissima!
Oh, anche
Lei! No no, è un orrore. Voglio rifarla io la Sua educazione musicale.
Antonietta!
disse donna Giulia. Mi accompagni un po' di Schumann?
Certo cara.
Lei stia attento disse donna Antonietta a Silla, sottovoce; e andò al piano,
levandosi i guanti, fra un fuoco vivo di complimenti.
Allora
l'ufficiale d'artiglieria, un piemontese, piccolo, snello, con due occhi
sfavillanti di brio diabolico, venne a stringere la mano a Silla.
Tu qui!
diss'egli.
Conoscenti
d'Università, si erano poi riveduti, ma di rado.
Sediamo qui
in un angolo soggiunse l'ufficiale e chiacchieriamo un po' mentre
quegl'imbecilli si rompono la testa col loro Schumann. Come va che ti trovo in
società? In tre mesi che sono a Milano non ti ho veduto mai. Qual è la tua?..
La mia?
Eh, Cr...,
sì la tua maîtresse? Sai qual è la mia? È quel pezzo là in bianco e mauve
(malva) con quel monte Rosa di spalle. La conosci? È contessa, baronessa,
marchesa, che so io, il diavolo che la porti. Cambio presto, è troppo gelosa.
Un pezzo da quaranta suonati. Ma è ancora bella donna. Cr... se è bella donna!
E come sente! La tua non sarà mica quel gambero che suona, eh!
Sei pazzo,
taci rispose Silla.
È forse
la... la... è inutile, io dimentico tutti i nomi; quella bruna in rosa,
insomma? Ah no no! quella lì è di B... La padrona di casa, canaglia?
Ma no, via,
taci.
Bravo, a
quella lì ci voglio far la corte io. Toujours de l'audace. Ma è
impossibile che non ci abbi anche la tua. Cosa si viene a far qui se non si
viene a fare all'amore? Guarda che gruppo di belle donne! Posson dar dei punti,
per forme, a quel pezzo di marmo lì, ci scommetto; almeno la mia certo; e sono
di marmo caldo. Vedi la bruna, che magnifiche occhiate a B.... Guarda tre passi
a destra, gira gira adagio finché trova gli occhi di lui, vi getta dentro un
bacio e finisce piano piano il suo quarto di giro.
Intanto
donna Giulia cantava con poca voce ma con molta arte un'appassionata musica
scritta da Schumann su parole di Reine. Ella usava questa inelegante versione fatta
per lei da un poetucolo giovinetto che palpitava presso il piano, guardando la
dolce bocca onde uscivano, ebbri di amore, i suoi versi.
Ho pianto
in sogno, ho pianto:
Giacevi
nell'avel.
Balzai dal
sonno; il pianto
Spandeami
a' cigli un vel.
Ho pianto
in sogno, ho pianto:
Ero tradito
e sol.
Balzai dal
sonno, e tanto
Piansi
d'amaro duol.
Ho pianto
in sogno, ho pianto:
M'eri
fedele ancor.
Balzai dal sonno; il pianto
Pioveami a
fiumi ognor.
Lasciami
ascoltare disse Silla, e andò all'angolo opposto della sala. Si trovò presso
alla signora Mirelli ch'era pallidissima e aveva le lagrime agli occhi. Donna
Giulia cantava:
Ho pianto
in sogno, ho pianto:
Ero tradito
e sol.
Pareva
veramente una musica mista a qualche triste sogno, con le sue prime note insistenti
dolorose. Diceva a Silla come la piova in casa di Edith: Piangi, il tuo sogno è
finito. Ma egli, sbalordito, credeva di sognarne un altro, amaro anche questo.
L'amica di donna Giulia era Marina. Marina avea tanto pensato a lui! Ah, quello
sguardo sorpreso al chiaro dei lampi! Forse lo aveva amato. Sperarlo adesso
quando egli avrebbe avuto bisogno di dimenticare il mondo e l'anima nelle
braccia di una donna, ed ella viaggiava, novella sposa, chi sa per dove!
Derisione, derisione! Gli altri erano felici! Gli altri avevano l'amore
voluttuoso di cui respirava il profumo, l'amore appassionato di cui ascoltava
lo slancio nella musica che mirava su verso il cielo, spossata, in un grido:
Balzai dal
sonno; il pianto
Pioveami a
fiumi ognor.
Gli altri,
gli uomini come quell'ufficiale!
Gli
applausi, assai caldi stavolta, lo scossero. Si avvicinò al piano, con la
febbre addosso.
Tutti
lodavano la musica e le esecutrici che invocarono una parola di lode per il poetucolo,
rosso rosso. Egli ebbe da donna Giulia uno special sorriso a cui parve tenesse
molto.
Dunque?
chiese donna Antonietta a Silla, riassettando i guanti alle sue dita
affusolate. Ha pianto?
No, perché
non piango mai; ma ho sognato di piangere.
Malheur
à qui n'est pas ému diss'ella. Lunedì le faremo sentir qualche altra cosa.
Ella andò
quindi ad abbracciare Giulia.
Addio, cara
disse.
Così
presto?
Fu il
segnale dello scioglimento. Tutte le carrozze erano state annunziate. Baci,
sorrisi, paroline affettuose, ringraziamenti. Silla fu degli ultimi che vennero
a stringer la mano a donna Giulia. Ella gliela rifiutò.
Aspetti lì
disse. La sequestro per due minuti ancora.
Si voltò
quindi al prigioniero. Pensare diss'ella che io ho fatto una brutta parte per
Lei, prima di conoscerla! Non mi domandi niente, non voglio essere indiscreta.
Dica un poco, Silla, non piglia fuoco per le mie rivelazioni di stasera? Ne
aggiungerò un'altra; quest'inverno la signorina voleva il Suo ritratto. Io ho
detto: no, carina, si va troppo avanti. Adesso poi, se ha pigliato fuoco,
spengo. La signorina dev'essersi fatta sposa ier sera ed è felice. Lo porti a
me, il ritratto. Sempre il venerdì, sa bene, tra le quattro e le sei.
Ma...
Non c'è ma.
Vada, vada che non facciamo dire cattiverie. Venerdì!
Egli
discese le scale dietro la Mirelli, ch'era con donna Laura. Pareva che avessero
lasciato in sala il loro viso amabile e presone uno brusco nell'anticamera. La
Mirelli parlava piano, in fretta, guardando in basso.
Silla non
intese che queste parole:
Ho capito
benissimo.
C'erano
cavalli nell'atrio che si impennavano, scalpitavano, facevano il fracasso d'uno
squadrone. Gli staffieri chiamavano le carrozze. Silla scivolò in mezzo a
quella confusione e uscì solo.
Stava per
mettere la chiave nella toppa della sua porta, quando fu accostato da un
fattorino del telegrafo.
Di grazia
disse questi, un certo signor Corrado Silla la sta in quella porta lì?
Sono io.
Tanto
meglio. Telegramma urgente. Vuole un lapis?
Silla
scrisse la ricevuta sotto un fanale vicino. L'altro se ne andò. Silla aperse il
telegramma e lesse:
Il conte Cesare, gravemente
infermo, desidera che Ella venga al Palazzo. M. di Malombra, ne La prega.
Domani alle 10 ant. Vi sarà un calesse alla stazione.
Cecilia
Egli partì
alla mattina.
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