IV1.
Quella notte non dormii affatto e la mattina
seguente fui il primo a entrar nel salottino attiguo alla sala da pranzo dove
gli inglesi scendevano fra le sette e le nove a prendere il thè. Mi era venuto
nella notte il dubbio che la dolce voce appartenesse ad una signora che avevo
veduto per la prima volta il giorno innanzi, e che era discesa a pranzo con
l'altra dal profumo di rose. Quest'ultima venne a prendere il thè, sola, alle
otto e mezzo. Subito dopo qualcuno entrò dall'uscio, cui volgevo le spalle, e
salutò. Era la voce di lei.
Sino a quel momento ero stato agitatissimo, ogni
passo mi aveva fatto palpitare. La voce sua mi chetò sull'atto come un ghiaccio
che colga l'onda. Tutto tacque in me; mi trovai tranquillo, ma senz'altra
coscienza che del momento presente.
La nuova venuta sedette in faccia all'amica sua.
Mostrava un venticinque anni, era alta, bionda, aveva una fine fisonomia
delicata, due occhi quieti che parevano veder poco e somigliavano alla sua voce
per la soavità leggermente fioca, come per l'intima espressione d'intelligenza;
la mano piccola e bianca aveva una simile espressione. Mi colpì un anello
d'oro, liscio, all'anulare della mano sinistra.
Ella non mi guardò neppure e si mise a parlare
con l'altra signora. Sorrideva deliziosamente, e, quando sorrideva, era una
musica così tenera! Intesi che domandò notizie di un disastro avvenuto la notte
sul lago. Io solo ne avevo. Era infatti scoppiato, dopo la mezzanotte, un
temporale furioso, e un comball carico di sabbia si era sommerso con
gl'infelici barcaiuoli. Colsi la buona occasione e tentai di raccontare la cosa
in inglese. Ella mi guardò un po' sorpresa e mi rispose qualche parola nel più
puro italiano, mortificandomi così alquanto; poi fece atto di ringraziarmi con
un leggero cenno del capo, con uno sguardo serio e benevolo; e riprese il suo
dialogo con l'amica. Allora uscii, contento di quello sguardo, non senza, però,
una penosa trepidazione, un dubbio nuovo. Mi pareva di amare già e che ella non
somigliasse a nessun'altra donna; che la sua bellezza, quasi chiusa agli altri,
dovesse riuscire squisitamente singolare e varia per un amante; che anche
l'anima sua avesse un tal velo, un tal segreto. Ma era libera? Mi potrebbe
amare? Questo era il dubbio nuovo e l'affanno. Mi succedeva come quando
immagino una composizione artistica e me ne innamoro nella fantasia, che poi
trovandomi la penna in mano e un foglio bianco davanti, mi assalgono mille
dubbi e scoramenti.
La rividi più tardi sotto gl'ippocastani dove
stava sola, leggendo. Io guardavo, a due passi da lei, con l'eccellente
cannocchiale dell'albergo, ora le torri del mio scoglio, ora gl'imi paeselli,
ora un vapore che pareva immobile sull'acqua verde, ora la città di Lugano,
dove si potevano distinguere le persona sui quais. Guardavo solo per
starle vicino, pensando sempre come le potrei parlare. Ella chiuse un momento
il libro. Allora le offersi, stavolta in italiano, d'indicarle il posto ov'era
affondata la barca di sabbia. Accettò molto cortesemente e, posato il libro, si
alzò, venne alla ringhiera che cinge quella specie di bastione coronato dagli ippocastani.
Osservai che il suo passo era un poco incerto; che la sua gamba sinistra era un
poco intorpidita. Forse anche il braccio sinistro non aveva il vigore
dell'altro. Me ne sentii a un tratto il cuore tanto più tenero per lei; e non
voglio cercare perchè me ne sia venuta insieme una gioia di speranza. Ella
intese prontamente che conoscevo i luoghi, e aveva incominciato a domandarmi
nomi di paesi e di montagne, quando un cameriere dell'albergo venne a dirle:
- Il signore La desidera subito.
Trasalii. Sul suo viso passò, malgrado lei,
un'ombra fugace di malcontento, e poi, quando se n'avvide, un lieve rossore. Si
scusò con una parola gentile e partì, lasciandomi più felice e più turbato che
non posso dire. Il signore! Chi era questo signore? Qualche cosa d'indefinibile
nell'aspetto, nei modi di lei, l'anello, i pendenti di piccoli brillanti, mi
lasciavano poca speranza che fosse libera.
Aveva dimenticato lì il suo libro. Vidi con
molta meraviglia le poesie di Leopardi. Sul frontespizio era scritto per isbieco
questo nome:
[Illustration:
Violet Yves]
Sperai che ritornasse, ma invece venne il
cameriere a prendere il libro. Seppi da lui che la signora era arrivata da una
settimana con suo marito e che questi si era ammalato subito. Però stava già
meglio. Benchè mi aspettassi la parola «suo marito,» n'ebbi un colpo di dolore.
Mi mancarono la voglia e la forza di fare a colui altre domande.
Mi tenevo sicuro, nella mia fervida fantasia,
che la signora Yves non fosse felice. La sua pronta cortesia verso di me; la
compiacenza quasi evidente con la quale si era trattenuta meco, mi dicevano che
non era innamorata d'alcuno. Ciò temperava la mia amarezza. Avrei voluto sapere
l'età e l'aspetto di questo marito, ma tuttavia mi astenni dal chiederne, non
tanto per timore di tradirmi quanto perchè mi pareva, con tali domande, di
offender lei e di abbassare me.
Ella non discese a pranzo. Alla sera si fece
musica. Io andavo e venivo dalla sala aspettandomi ad ogni momento di vederla
comparire. Non venne; verso le dieci me n'andai sconfortato a sedere sotto
gl'ippocastani. Era una notte incantevole; e la luna, sorgendo alle nostre
spalle, lasciava nell'ombra noi, il pendio ruinoso della montagna fino al
fondo, una curva lista di lago lungo le prode; al di là, tutto, dall'acque al
cielo, dalle prossime guglie di levante alle nevi remote di ponente, luceva in
una luce d'argento. Mi affacciai alla ringhiera sospirando.
- Molto bello, non è vero?
Mi sfuggì un'esclamazione di sorpresa. Era la signora
Yves che aveva detto così, a pochi passi da me.
- Lei? - dissi.
Forse vi era nella mia voce troppo più senso che
nella mia parola. Ella non rispose.
- È troppo bello qui - soggiunsi. - Fa persino
male.
Essa lasciò cadere anche questa frase.
- Stamattina - disse - volevo domandarle il nome
di quello scoglio là in faccia che mi piace tanto.
- Non lo so - risposi. - Non credo che abbia
nome.
Dopo brevi momenti di silenzio la dolce voce
riprese più sommessa, quasi timida: - Dovrebbe mettergli un nome Lei ch'è
poeta.
- Lei lo sa? - esclamai. - Lei mi conosce?
- Sì signore - rispose. - Ho letto una sua
novella in versi, Luisa.
- Ha letto Luisa?
Tacemmo ambedue per un buon tratto.
Una profonda, deliziosa commozione impediva a me
di parlare; ed ella era rimasta sorpresa di sentir così commossa la mia voce.
- Vede che lo conosco molto - riprese
finalmente. - Luisa mi ha fatto pianger tanto. Non potevo credere che l'autore
fosse un uomo. Ho saputo oggi da un signore italiano ch'era proprio Lei.
Credevo che fosse una fanciulla, una Luisa. Oh come desideravo di conoscerla!
- Anch'io desideravo di conoscer Lei.
Queste parole mi sfuggirono e tacqui subito. Non
sapevo se dovessi spiegarle; intanto ella osservò che era tardi e si ritirò.
Qualche cosa nel suo saluto mi fece male e passai una notte inquietissima,
pensando ch'ella mi era stata molto vicina per un momento e che poi si era
allontanata da me. Certo aveva trovate stupide o troppo ardite le mie ultime
parole. Ne soffrivo e ne godevo insieme, parendomi aver veduto un poco del suo
sentimento. Com'era fine, come era elevato! Adesso bisognava toglier l'equivoco
subito. Mi addormentai verso la mattina, sognai che spiegavo tutto a Mrs. Yves,
che la dolcissima voce mormorava: lo sapevo, lo sapevo; ma che il viso era triste.
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