XVI.
L'indomani mattina brillava il sole. Fui alla
stazione un'ora prima del tempo. Solo allora, passeggiando su e giù per il
piazzale deserto fra la Stazione e la Posta, mi venne in monte che Violet
poteva aver mutato piano, che qualche impedimento poteva essere sopraggiunto.
Torturato dalla fantasia mi rimproverai di non essere corso prima nella
Theresienstrasse a vedere se i balconi dessero qualche segno di una levata
mattutina della famiglia. Avrei voluto corrervi allora, ma tremavo di non
essere in tempo, ed esitai tanto che la cosa divenne impossibile. Cominciarono
ad arrivare le carrozze, e, per fortuna le mie angustie non furono lunghe, il
landau di Violet comparve dal Frauenthor alle sei e mezzo.
Tre signore ed un cavaliere accompagnavano miss
Yves. Ella era così pallida! Sorrideva però. La vidi scendere faticosamente di
carrozza. Appena discesa si guardò attorno come per cercare qualcheduno;
essendo miope non si accorse di me, che m'ero tenuto alquanto discosto. Poi la
vidi entrare colle altre signore nella sala di 2a classe. Pochi
minuti dopo vi entrai io pure. Le compagne di Violet ridevano discorrendo col
loro cavaliere, un uomo maturo, di qualcheduno che si faceva aspettare. A un
tratto si affrettarono tutte, meno Violet, verso l'entrata. In quel momento io
che camminavo su e giù per la sala le passai vicino e fui veduto da lei.
Non feci atto di salutarla, ma la guardai con
volontà che lo sguardo parlasse. Ella trasalì tutta, mi parve che chiudesse gli
occhi, girò subito il capo. Nello stesso tempo entrò alquanto rumorosamente con
l'ombrello nella sinistra e una grossa mazza nella destra, colui ch'era atteso,
il mio amico del Museo germanico.
Egli non mostrò curarsi molto delle altre
signore che lo festeggiavano e andò diritto a stringere la mano di miss Yves.
Violet era accesa in viso; i suoi dolci occhi non potean dirsi scintillanti, ma
pur lucevano d'inusata luce. Il dott. Topler le sedette accanto e una bionda
giovinetta della compagnia esclamò, battendo le mani, con una vocina brillante
di riso: - Oh prego, prego, bitte, bitte, guardate Violet! - Vidi miss
Yves arrossire ancor più e fare un atto d'impazienza, di rimprovero; udii il
Topler prendersi beatamente, scherzando, tutto il merito di quei rossori,
Violet disse certo alla sua giovane amica una parola acerba che non intesi,
perchè la biondina fece un visetto mortificato e tutti tacquero. Io continuavo
a camminare con un tal bollimento interno! Il dott. Topler alzò gli occhi, mi
riconobbe e venne a me salutandomi in latino a braccia distese, come un vecchio
amico. Diedi un'occhiata a Violet; ci fissava, pallida per la sorpresa. Gli
altri pure ci guardavano curiosamente. Topler mi domandò se andassi a Monaco.
Risposi ben chiaro e forte che non andavo a Monaco ma ad Eichstätt.
Esclamazioni del signor Topler, - Allora viaggiamo insieme! - diss'egli. - Misere
cupis abire! Dobbiamo viaggiare insieme! - E mi raccontò che andava ad
Eichstätt anche lui con altri amici. Poi mi voltò le spalle e corse tentennando
sulla sua mazza e il suo ombrello a edificar gli amici sul conto mio. Il giorno
prima non avevo mancato di sfoggiar quanto latino e quanta letteratura tedesca
avevo in testa e m'ero fatto di lui un ammiratore; adesso intesi da' suoi gesti
che stava raccontando a miss Yves grandi cose di me. Miss Yves avea fatto un
viso gelido, pareva ascoltarlo appena. Al momento della partenza l'altro
signore le offerse il braccio, le tre dame o damigelle si avviarono insieme e
Topler volle venire con me. Mi disse che dovevo assolutamente stare con lui,
che aveva tante cose a domandarmi sull'Italia dove intendeva recarsi, per la
terza volta, fra poco. Insomma mi trovai, senza la menoma indiscrezione da
parte mia, in una stessa carrozza con miss Yves che era turbata quanto me, non
volgeva mai il viso dalla mia parte. Pigliammo posto il più lontano possibile
l'uno dall'altro. Le due amiche si guardavano sorridendo e poi guardavano me,
come scusandosi per gli eccentrici modi del loro Schwabe. Mi dicevano
con gli occhi: che ne penserà Lei? Topler non se ne dava per inteso, mi
tempestava di domande sulle novità edilizie di Roma e di Firenze, sui restauri
di Venezia e sulla musica italiana moderna. Rispondevo come potevo, e allora
era un veloce fuoco di commenti vivacissimi; ora la gioia, ora la collera gli
scintillavano dagli occhi e persin dai capelli. Notai però che se parlando di
Roma gli toccavo del Papa e degli ordini nuovi, diventava muto, mi sfuggiva
subito di mano. In musica era un antiwagnerista furibondo, un focoso ammiratore
dei vecchi maestri italiani, specialmente di Clementi. Dapprima si parlava
soli, lui e io; ma poi egli si posò a gittar motti a destra e a sinistra come
uncini, strappando qua un sorriso, lì una parola e gli riuscì di cucire un
dialogo generale. Solo non venne a capo del silenzio di Violet.
Io non parlavo che per lei. Si finì con
discorrere un po' di tutto, d'arte, di natura, d'Italia e di Germania. Era per
Violet che dipingevo Venezia alla giovinetta bionda, curiosa del mare, delle
gondole e dei colombi. Ell'aveva l'aria di non conoscere l'amore, di non
pensarvi mai; e io dissi che il silenzio molle, lo strano aspetto, l'aria
obliosa di Venezia erano per le anime ferite, bisognose di amare dimenticando.
- Allora Venezia non è per me - diss'ella volgendo a Violet il suo visetto
sfavillante di riso, mentre una fiamma correva le guance di questa.
- Silenzio e oblio si trovano anche ad Eichstätt
- osservò il dottor Topler - e adesso vi si trova pure un orribile ponte di
ferro, forse come quelli che avete fatto a Venezia. Non ci sono più Alpi con
questa civiltà. Barbari noi, barbari voi, barbari tutti. - Il signore viene ad
Eichstätt - soggiunse parlando agli altri. - È un italiano molto più ardito di
Cristoforo Colombo. Viene a scoprire Eichstätt.
Tutti si sorpresero che uno straniero
desiderasse vedere Eichstätt, un paese, secondo il Topler, tanto deserto e
triste che persino l'Altmühl, il fiume, ci veniva a malincuore e il più
lentamente possibile. Forse lo disse per pungere le signore, che infatti
protestarono vivacemente. M'accadde di nominare que' miei conoscenti di Monaco
dai quali avevo appresa l'esistenza di Eichstätt. Le signore esclamarono, la
biondina battè le mani. Erano, mi dissero, loro intimi, carissimi amici. Topler
fece - ah, ah, ah! - tutto contento. La biondina non capiva come Violet non
trovasse strana l'avventura. Mentre le altre mi chiedevano di una di quelle persone
che allora si trovava in Italia, ella si mise a interrogare sotto voce miss
Yves e poi ad accarezzarla, a susurrarle non so che all'orecchio, probabilmente
delle dolcezze. Violet un po' negava del capo, un po' sorrideva, un po' pareva
seccata, ma non parlò. Fu il dottor Topler che la vinse.
Egli le lanciava ogni tanto delle occhiate
inquiete, e, poi che vide la biondina parlarle, borbottò a quest'ultima una
domanda cui ella rispose sottovoce - no, dice che non ha niente. - Egli non
parve tuttavia contento.
Correvamo oramai lungo l'Altmühl fra i poggi
boscosi e i prati che ridevano al sole nel mattino vaporoso. Topler mi disse:
- Tutta questa poesia è ben tedesca.
Ciò ne condusse a parlar di letteratura e di
lingua. Io tirai subito in campo l'inglese. Parlandone non guardavo Violet,
temendo tradirmi, destare almeno un sospetto. Dissi che l'amavo molto, che su
certe labbra mi suonava più soave di ogni altra, che talvolta era tanto rapida,
limpida e delicata da somigliare, quanto è possibile, al pensiero.
- Sente, sente, sente? - disse, interrompendomi,
il mio amico Topler a miss Yves, - È contenta?
Violet mormorò qualche parola che non s'intese.
- La signorina è inglese, capisce? - mi disse
Topler. - Io sono un vecchio gufo selvaggio della Selva Nera che adesso vuole
diventare un pappagallo della buona società e farà le presentazioni in regola.
Tutti risero, meno Violet ed io. Topler si pose
a frugare nel suo portafogli.
- Credo di dover principiare da questo signore
che non parla - diss'egli accennando del capo al suo compagno, una faccia buona
e insipida che in fatto non aveva aperto la bocca due volte. - Prima però devo
ricuperare la carta di visita del signore italiano, perchè il suo nome è
bellissimo, ma molto più facile a conservare nel mio taccuino che nella mia
memoria. - Il signor Treuberg - ripresa dopo aver trovata la mia carta - il
signor*** Devo fare esercizio di pronunciare questo nome. Il signor***, la
signora Treuberg, la signorina Tecla von Dobra e la signorina Luise sua
sorella.
Restava Violet. Un lampo sincero degli occhi
suoi mi disse: evitate questa commedia! Ma era troppo tardi.
- Il signor*** - ripetè Topler coscienziosamente
- miss Yves.
Io salutai e Violet non potè a meno di piegare
un poco il capo. Per fortuna il treno entrava allora in una lunga galleria ch'è
tra Pappenheim e Dollnstein; nessuno badò più a noi. Topler era ansioso di
guardare il paesaggio, mi faceva vedere, con grandi esclamazioni, gli scogli
bianchi sparsi per il verde delle praterie. Poi un gran sasso con poche rovine
in testa e poche casupole ai piede, cinto di mura medioevali, lo trasse fuori
di sè.
- Presto siamo ad Eichstätt - osservò la
biondina, la signorina Luise. Allora Topler parve tornare dal cielo in terra. -
Le bottiglie? - diss'egli. - Avete le bottiglie? - Il signore taciturno lo
rassicurò; le bottiglie c'erano. La signora Treuberg, che pareva la più legata
con i miei amici di Monaco, disse una parolina all'orecchio di Topler. Questi
si volse a me tutto esultante:
- Queste signore le fanno un invito - diss'egli.
- Lei sa cos'è il nostro Maiwein?
Confessai che non lo sapevo.
- Lo saprà oggi. Queste signore le offrono di
far colazione con noi nel bosco.
La signora Treuberg confermava sorridendo. Ella
mi spiegò che la città di Eichstätt è lontana dalla stazione e che un sentiero
vi conduce attraverso il bosco, dove si farebbe colazione. Se andavo con loro
avrei potuto raccontare ai comuni amici di aver veduto il Bahnhofswald ch'essi
avevano molto caro.
L'anima mia era tanto presa da un solo pensiero,
era tanto attenta ai menomi casi di ogni momento, che se non l'avessi riveduto
più tardi non ricorderei il quieto verde grembo del Giura di Franconia, dove la
solitaria stazioncina di Eichstätt si affaccia alle rotaie fra colli selvosi e
deserti. Un signore, salutato allegramente da' miei compagni di viaggio, venne
allo sportello ed aiutò Violet a scendere, mentre il dottor Topler agitandogli
incontro le braccia, vociferava non so che cosa a tutta velocità. - Il mio
signor fratello! - mi disse fra una schiamazzata e l'altra: - Toplerus
junior! - Egli ed io scendemmo gli ultimi. Intanto il fidanzato di miss
Yves parlava colle signore stando a fianco di Violet, pallida come una morta.
Se ne scostò un momento per porger la mano a suo fratello e aiutarlo a
discendere. Questi mi presentò; ci scambiammo un cenno di saluto senza
stringerci la mano. Il signor Topler juniore parve non aver capito molto di
questa presentazione e mi guardò tra l'ossequioso e lo sbalordito, fino a che
suo fratello lo spinse via a due mani brontolando e additandogli Violet, che
s'era incamminata verso la stazione senza attendere il suo braccio.
Egli era piccolo e tozzo di statura, mostrava
circa quarantacinque anni. Aveva i capelli bruni, i baffi biondi, corti, una
fisionomia poco intelligente, una simpatica guardatura, piena di timidezza e di
bontà; aveva nell'insieme l'aria dell'uomo più felice e più impacciato di
questo mondo. N'ebbi una impressione inesplicabilmente penosa. Non mi sentii
geloso di lui; lo giudicai alla prima occhiata di coloro che noi uomini
volentieri vantiamo alle donne come degni di essere amati, sapendo che non li
ameranno. Ciò che io provavo somigliava al rimorso, alla improvvisa coscienza
d'una slealtà. Non avrei dovuto io dirgli ch'ero per lui un nemico mortale? La
limpida sincerità del suo sguardo mi strinse il cuore.
Mentre Topler seniore mi guidava a consegnar il
mio bagaglio all'omnibus, udii la dolce voce, ancora più fioca del solito, dire
qualche cosa che suscitava proteste e lamenti, specialmente della signorina
Luise. Pareva che miss Yves proponesse di rinunciare alla colazione nel bosco,
che temesse del tempo o che fosse stanca. La biondina aveva quasi le lagrime
agli occhi e offriva le braccia dei fratelli Topler per portare l'amica sua; il
fidanzato, che aveva certo apparecchiate grandi cose per la refezione, non
osava insistere e guardava mogio mogio ora noi, ora miss Yves, ora le sue
provvigioni; queste ispiravano al flemmatico signor Treuberg una repentina
eloquenza contro la proposta. Topler seniore intervenne con l'usato impeto e
annunciò poi a me, che mi tenevo un poco in disparte, come il maiwein si
sarebbe fatto e bevuto nel bosco. Infatti vidi scintillare il visino della
signorina Luise, che cinse con un braccio la vita di Violet, le baciò una
spalla, corse avanti saltellando, trillando, battendo le mani e poi si voltò
per dirle in faccia, con uno slancio d'effusione, due versi di cui non avrei
mai capito il primo senza l'aiuto del dottor Stephan:
Du, mei flachshaarets Deandl,
I hab di so gern.
Avevamo a fronte le ripide salite ombrose del
Bahnhofswald. Mi parve che miss Yves faticasse molto. Il suo fidanzato le
parlava e le parlava, tutto premuroso e umile; si capiva che ringraziava, si
scusava, che sospirava una parola affettuosa.
Ho davanti a me, in questo momento, alcune
foglioline secche, alcuni anneriti fiori di Waldmeister del bosco di
Eichstätt. È solo nell'immortale pensiero umano che la bellezza e la giovinezza
della natura diventano pure immortali. Se chiudo gli occhi vedo vivo in me il
fiorellino bianco quale Topler seniore e il signor Treuberg me lo fecero
osservare nelle prime frescure dei faggi. Sento il suo mite odore nell'odor
forte e vitale del bosco, odo il cicalìo dei fringuelli e dei tordi, le voci e
le risate delle signorine sparse davanti a noi, nel profondo verde, in cerca di
Waldmeister. Solo non odo nè vedo Violet, che ci segue col suo fidanzato. Le
signore ora compaiono, ora scompaiono sui dorsi e dentro i seni della costa, si
gettano strilli di gioia ad ogni conquista, ci domandano degli sposi.
La signora Treuberg gridò a suo marito di andar
a vedere se miss Yves si sentisse male. Il signor Treuberg, che s'era fermato a
soffiare e a farsi vento col fazzoletto, prese un'aria malinconica e discese.
- Adesso non sarà buono a risalire - mi susurrò
il dottor Topler. - Io La prego di non prendere quest'ottimo signor Treuberg
per un esemplare della nazione tedesca!
Dibattè le mani in aria, scotendo via, a capo
chino, un frettoloso riso muto.
- Prenda me, piuttosto - diss'egli poi - prenda
mio fratello, benchè noi siamo molto diversi!
Guardò in giù. Non si vedeva ancora nessuno.
- I Tedeschi sono spesso buoni e pazienti -
soggiunse - come cammelli; e spesso s'innamorano come non so quale altra bestia
più romantica. Questi due lati del carattere tedesco li ha mio fratello. Voi lo
vedete, pare pieno di birra ed è pieno di chiaro di luna. Quanto a pazienza,
vedrete che adesso verrà su con miss Yves in un braccio e il signor Treuberg
nell'altro. Io sono molto diverso, molto diverso.
Intanto la signorina Luise e sua sorella
litigavano poco lontano per alcuni fiori che la prima aveva colti e che l'altra
diceva non esser vero Waldmeister. Adesso la vocine della biondina
parevano piccoli colpi di becco. Rideva, ma credo che avrebbe pianto volentieri.
Chiamarono il dottor Topler, e poichè con lui riuscirono solo a litigare in
tre, chiamarono poi anche suo fratello e il signor Treuberg, appena
sopraggiunti. Così rimasi solo, per un momento, con miss Yves.
Ella pallidissima, si diede subito a chiamare la
signora Treuberg con la sua voce soave che moriva a due passi.
- Violet - diss'io. Non aggiunsi altro, ma forse
non avrei potuto dir niente di più appassionato e umile. Ella mi guardò,
malgrado sè stessa, un istante. Pareva uno sguardo severo, ma v'era bene in
fondo l'amore. Gli occhi miei ne dovettero brillare, perchè si affrettò a
dirmi:
- Quello che fa, Le pare leale?
Una luce mi balenò in mente e risposi con
impeto:
- Lo dirò.
- Dio, no! - diss'ella.
Non fu possibile parlare, ma io ero felice della
mia e della sua risposta. Era un'acuta dolcezza di sentirsi supplicar da lei
con tanta angoscia, di sentir che non si teneva sicura del suo proposito,
dell'avvenire.
Ci raccogliemmo per la colazione a pochi passi
dal viottolo, presso una tonda macchia di sole che brillava sull'erba tra la
corona dei faggi e degli abeti, sotto un occhio di cielo azzurro. Qualche
tronco mozzo vi nereggiava nel mezzo.
Il signor Treuberg sturò due bottiglie di
Rüdesheimer e le signorine v'introdussero capovolti due mazzolini del bianco Waldmeister,
che doveva morire così, cedendo al vino il suo dolce profumo selvaggio. Mentre
gli altri vi erano attenti come ad un rito sacro, potei guardare Violet. Gli
occhi suoi ebbero ancora quell'angoscioso no; i miei dovettero
rispondere di sì. Era seduta sull'erba e teneva fra le mani l'ombrellino
chiuso. Chinò il capo, le congiunse in atto supplichevole. Io mi misi a parlare
del Maiwein con la signorina Luise.
- Il vino ed il fiore - disse il dottor Topler -
sono diverse espressioni del suolo tedesco e noi ne facciamo una sola poesia.
Non solo nel Maiwein ma in tutta la
silvestre scena vi era una poesia che il segreto dramma mi impediva allora di
gustare, ma che ritorna ora serena nella mia mente. Si stava aspettando che
l'odore del Waldmeister passasse nel vino, e io parlavo con la signora Treuberg
dei nostri amici comuni. Ella ricordava lontani giorni passati con loro nella
piccola città silenziosa, allegre partite in quello stesso bosco, mi descriveva
fanciulli che io avevo poi conosciuti uomini, mi raccontava cose intime della
famiglia, piaceri e dolori cui ella aveva preso parte come amica. Si
ricordavano le idee, i sentimenti di queste persone lontane. Alla signora
parerà impossibile trovarsi lì senza di loro, saperli dispersi nel mondo, non
intendeva come i boschi potessero essere ancora così gai, verdi e odorosi, come
i fringuelli cantassero ancora tanto allegramente quanto in quel tempo della
sua giovinezza. Intanto il fidanzato di miss Yves e il signor Treuberg
toglievano le provvigioni dalla cesta, e il dottor Topler parlava con Violet.
Violet gli faceva delle domande che non intendevo. Mi parve udirgli rispondere
qualche cosa sul Museo germanico e sul quadro di Kaulbach. Gli aveva ella
chiesto come mi conoscesse? Voleva forse parlare prima di me?
Ecco la signorina Luise venir saltando in punta
di piedi con un dito alle labbra, portarsi via, a gesti, i Topler e i Treuberg
per far loro vedere qualche cosa. Rimasi ancora solo con miss Yves.
- Non dica niente - susurrò in fretta - prima di
avere parlato con me. Spero che avrò la forza! - Oh mio Dio! - diss'ella
coprendosi il viso colle mani. Poi riprese: Discorriamo un poco insieme adesso.
Così Lei mi verrà a trovare in casa Treuberg. Non sono sleale, faccio questo
perchè credo che quando saprà non vorrà più...
Non potè proseguire e passò qualche momento
prima che gli altri tornassero. Intanto tacemmo ambedue. Sapevo che niente mi
avrebbe diviso da lei, ma il cenno al suo misterioso passato mi empiva d'un
inesprimibile sgomento amaro. In pari tempo l'idea di avermi presto a trovar
solo con lei, l'idea che forse dopo questo ultimo sforzo ella cederebbe, mi
faceva battere il cuore a precipizio.
- Oh Violet! - gridò la signorina Luise venendo
verso di noi. - Se tu avessi veduto! due scoiattoli così carini! Correvano su e
giù per un albero con le loro codine ritte, si fermavano a guardarci con quei
cari musini, con quei cari occhietti!
Era ben carina anche lei, la signorina Luise. La
sua snella personcina aveva una grazia deliziosa di movenze pronte in cui
l'ultima gaiezza infantile si mesceva alle prime mollezze, al riserbo della
maturità, e il vero vergissmeinnicht tedesco fioriva nei suoi occhi
cerulei. Sedette accanto a miss Yves, si mise ad accarezzarla, a parlarle
sottovoce. Le ero tanto grato di questa tenerezza, essendo vietato a me un solo
sguardo d'amore; pure le sue carezze, per la stessa cagione, mi facevan
soffrire. Violet le strinse la mano, la baciò sui capelli.
Fu lei che mi parlò per la prima. Mi domandò se conoscessi
la Riviera. Si scoperse che aveva passato alcuni giorni a Bordighera mentre io
era a Ospedaletti. Avrei potuto vederla nelle mie passeggiate vespertine,
seduta sugli scogli del Capo di S. Ampelio a contemplare, verso la Francia, il
tramonto. Fui per dirle che una sera, ebbro di quel mare e di quel cielo
congiunti in un fuoco immenso, avevo inciso nel macigno la parola Love.
Era vero, ma mi trattenni. Ella pure non mi disse di avere inciso un nome, non
il mio nome, sopra l'ultimo dei piccoli pini che ombreggiano la via dove,
uscendo da un bosco di palme, sale verso Bordighera vecchia a scoprir la
marina; e che le aveva fatto una profonda impressione di ritrovare quel pino,
due giorni dopo, troncato dalla tempesta. Avevamo passeggiato ambedue fra Ospedaletti
e Bordighera nel cuor di gennaio all'aurora, avevam veduta la luna pendere
smorta a ponente sugli alti uliveti delle colline, e, attraversando l'altra
boscaglia d'ulivi a mezza via avevamo veduto giù tra le frondi ondular in mare
la lunga riga d'oro del sole nascente. Io parlavo con un turbamento profondo.
Violet mi intendeva, la sua voce diventava sempre più sommessa, qualche volta
tremava. Gli altri pendevano dalle nostre labbra. Quando si tacque la signorina
Luise sospirò, annunciò che aveva un gran desiderio di vedere l'Italia,
incominciò a dire i versi di Mignon e s'interruppe a mezzo.
- Dahin, dahin - esclamò il dottor Topler,
brandendo le due bottiglie di Rüdesheimer:
Möcht ich mit dir, o mein Geliebter, ziehn3.
Si rise. Gli occhi di miss Yves s'incontrarono
un momento coi miei. Ah non parlavano prudenti come avean parlato le labbra! Li
volse subito altrove, ma io ne avevo già la dolcezza elettrica nelle ossa.
- Come sarebbe bello di vivere là - disse a
mezza voce la biondina.
- Sì - rispose Violet nello stesso tòno - ma
vorrei morire qui.
- E non vivere? - le disse il suo fidanzato
timidamente, cercando di prenderle una mano. Violet la ritirò in fretta. - Sì,
sì - rispose frettolosa, come per correggere la ripulsa - anche vivere.
Il signor Treuberg prese finalmente parte alla
conversazione, esprimendo il parere che il Maiwein fosse pronto.
Il limpido Rüdesheimer così odorato di bosco e
di primavera era mite, acquoso al palato, ma mi correva come fuoco nel petto,
vi divampava in gioia. Ero ebbro di quell'ultimo sguardo e della speranza di
stringermi un giorno Violet fra le braccia, mia sposa, mio corpo, anima mia per
sempre. Degli altri il solo Treuberg e il dottor Topler bevevano. La signorina
Luise compativa il vino in grazia del Waldmeister e si accontentò di libarlo.
Lo mesceva invece a noi molto generosamente. Quando ne versò a me ed io la ebbi
ringraziata, il dottor Topler4 mi disse che in nessun paese come in
Italia aveva trovato tanta gente pronta a far su due piedi una fila di brindisi
in versi; e che avrei dovuto improvvisarne uno per la signorina von Dobra.
Accettai e mi ritirai un poco in disparte. Subito dopo udii acclamare gli
sposi. - Tocchi dunque! - diceva quindi con voce concitata il dottor Topler: -
beva dunque! - Non potevo vedere a chi parlasse; ma non era difficile
immaginarlo. Dio, come Violet doveva soffrire, com'era doloroso e dolce per me
di sentirlo!
Scrissi presto i versi cui nessuno poteva
intendere tranne lei. Si volle ad ogni modo che io li recitassi; si era curiosi
della loro musica. Fui ascoltato religiosamente dalla brigata grave e composta,
come dai faggi e dagli abeti. Solo il signor Treuberg approfittò dell'occasione
per mangiarsi l'ultimo Würstchen. Tutti gli altri, tranne miss Yves, mi
guardavano a recitare.
A te, bionda fanciulla,
io bevo il vino biondo,
Il riso del tuo sole,
de' colli tuoi l'odor.
Bevo e mi veggo sorgere
dentro al pensier profondo
Il Reno sacro, i clivi,
torri, vigneti e fior.
Bevo ed il vin divampami
nell'estro suo straniero,
Mi batte ed arde un novo
cor di poeta in sen.
Bevo e mi bacia un
alito, un'anima, un mistero
Che dal più dolce fiore
de la foresta vien.
Violet fu richiesta di tradurre a voce le due
strofe, e le tradusse speditamente, facendomi ripetere ciascun verso. Solo gli
ultimi due la fecero esitare. Tradusse mi bacia con ich fühle (io
sento), e provai in questa infedeltà la squisita dolcezza di essere inteso.
Ammirai quindi la sua perfetta disinvoltura
nella parte che si era imposta di parlarmi o farmi parlare con lei. Tanta forza
di volontà e di intelligenza era una rivelazione per me, che n'ebbi uno slancio
d'orgogliosa gioia e compresi forse per la prima volta quanto sarebbe stata
potente la unione delle nostre anime. Solo una volta smarrì, voluttuosamente
per me, la signoria di sè stessa. Si parlava di letteratura. Mi avevano fatto
confessare ch'era la mia occupazione, e il professor Topler, il fidanzato, mi
disse, alludendo al brindisi, che d'allora in poi mi avrebbe ispirato la musa tedesca.
- Oh no! - esclamò Violet.
Tatti la guardarono sorpresi ed ella arrossì
forte. Cara, non voleva ch'io rinnegassi l'arte della mia patria. La ringraziai
cogli occhi, le dissi col pensiero che poteva star tranquilla; e risposi al
fidanzato che, viaggiando in Germania, il Rüdesheimer, il Waldmeister, i
ricordi di grandi e amati poeti potevano bene ispirarmi un momento, ma che mai
non mi sarei legato ad alcuna musa straniera; nemmanco, aggiunsi con
intenzione, alla musa inglese che pure aveva un vero fascino per me.
Topler seniore andava facendo da un pezzo segni
d'impazienza e proruppe a esclamar che suo fratello non capiva niente, che
portare il patriottismo nell'arte non era degno di un tedesco nè, con mio rispetto,
d'un poeta. - Tutta la poesia - diss'egli - ch'è buona solo per voi italiani o
solo per noi tedeschi, eccola! - e buttò a calci una bottiglia vuota giù per la
china del bosco. Il professore cercò di giustificarsi, ma non aveva affatto
inteso la questione. Suo fratello crollava a furia il capo e le spalle e si
volse a me senza dargli più retta. - Geklingel - diss'egli - und
nichts weiter5.
- No, no - disse Violet sorridendo. - Lei è
stato troppo cattivo, credo, con quella povera bottiglia. Credo che vi sarà
stato dentro ancora qualche profumo del Reno e di Waldmeister.
Ella parlò quindi con graziosa semplicità della
poesia puramente nazionale, della poesia popolare così ricca di fragranze
naturali. La sua voce pareva anche più melodiosa del solito. Si dolse
lievemente di non poter cantare alcun Lied, e sorrideva dicendolo; ma le
si vedeva la tristezza amara negli occhi. Forse neppure lei aveva perfettamente
intesa la questione, ma pure fummo tutti d'accordo contro il dott. Topler che
per l'inno alla Campana di Schiller avrebbe dato tutto il Wunderhorn. La
signorina Luise batteva i piedi dal dispetto: Dir male dei suoi cari Lieder!
Così graziosi, so nett! Non aveva dunque affatto cuore il dott. Topler?
Topler juniore la pregò di cantarne uno. - Sì
signore - disse ella - perchè Lei è stato buono - e cantò con un fil di voce ma
con grazia incomparabile, queste strofette in dialetto ch'ebbi più tardi da lei
stessa, manoscritte. Non ne intesi, allora, una sola parola.
Und a gschnippigi
gschnappigi
Dalketi dappigi
Na das is aus
Muasst es hab'n im Haus.
Aber a willigi billigi
Rührigi, gfürigi
Das is a Leb'n
Ko koan lustigers geben.
La cara fanciulla cantava appoggiata al tronco d'un
faggio. Bionda, elegante, col suo bel visetto lucente di gaiezza e di malizia,
pareva bene una piccola fata scherzosa della selva tedesca. Intanto sua sorella
andava silenziosamente cogliendo fiori, la signora Treuberg, alquanto rossa in
viso, guardava spesso i due fidanzati con una curiosità per me incomprensibile,
Violet guardava alla sua volta, sorridendo, il vecchio Topler che seguiva
attentamente la canzonetta con una mimica strana della fisonomia. Quanto allo
sposo, poichè la signorina Luise cantava per lui, egli compieva con ogni
scrupolo il suo dovere di tenerle gli occhi addosso. Non aveva una fisonomia
mobile ed espressiva come quella di suo fratello; mi parve tuttavia vedervi
un'ombra di turbamento. Pure il signor Treuberg gli faceva, ridendo, dei gesti,
malgrado le occhiate di sua moglie, come per dirgli che la canzonetta pareva
fatta apposta per lui. Avrei voluto poter godere a cuore tranquillo della
graziosa scena che pareva tolta da una vecchia vignetta tedesca. Gli abeti
sparsi tra i faggi improntavano di tristezza nordica la poesia del verde, dei
fiori, delle macchiette; quanto al costume non mi era difficile immaginare un
codino dietro all'arguto viso imberbe del vecchio Topler e molta cipria sulla
testa bionda della signorina Luise. Ma col cuore che avevo, l'idea mi venne e
mi passò ad un punto.
Quando la piccola fata ebbe finito il suo Lied,
solo miss Yves le disse - brava. - Tutti gli altri mi parvero imbarazzati, meno
il dottor Topler che taceva e durava a guardare la giovinetta col suo sorriso
acuto. Ero incerto se domandare o no il significato delle strofette misteriose,
quando la signora Treuberg propose di partire, e tutti si alzarono con un'aria
di contentezza. Mi proponevo d'interrogare il mio amico Topler, ma Violet lo
rimproverò dolcemente di averla abbandonata nel primo tratto di via e lo pregò
di non ricadere in fallo. Soggiunse che avrebbe forse avuto bisogno di un
secondo cavaliere. Mi accompagnai alla signora Treuberg e mi arrischiai a
parlarle della canzonetta. - Non era a posto, non era a posto, - mi rispose. -
Erano lodi di una sposina molto allegra e molto svelta. La nostra povera amica
non può essere così. - Vidi che la biondina aveva intesa la propria
storditaggine: per meglio dire, sua sorella gliela aveva fatta intendere. Prima
n'era rimasta tutta mortificata; poi si era messa attorno a Violet, con mille
carezze, con mille premure. - Povera amica! - susurrò la mia compagna. - Oggi
cammina peggio del solito.
Si uscì, dopo brevi passi, all'aperto, sul dorso
quasi piano della collina, dove un viale volge a sinistra verso Eichstätt
invisibile nell'altra valle, e a destra corre via lungo e diritto l'orlo del
bosco. Ricordo il liquido canto, davanti a noi, d'un'allodola perduta nella
immensità serena. Violet si fermò come per ascoltarla. Gli altri discussero
intanto se scendere direttamente ad Eichstätt o prendere a destra e scendere
per il Parkhaus e le Anlagen.
- Temo - disse Violet - di dovermi riposare un
poco al Parkhaus. Sono molto stanca.
Vidi tosto che non si trattava di sola
stanchezza. Il suo fidanzato, mezzo tramortito, guardava lei, guardava suo
fratello, non sapeva che si fare, aveva manifestamente paura di riuscire
importuno per troppo zelo, mentre io subivo il crudele tormento di dovermi
mostrare presso che indifferente. Violet desiderò sedere un poco e poi si
ripose in cammino appoggiandosi alle sorelle von Dobra. Non diceva cosa si
sentisse, ma aveva bisogno di fermarsi a ogni due passi. La signora Treuberg
disse piano al vecchio Topler che sarebbe stato bene far salire un medico al
Parkhaus. Topler alzò gli occhi al cielo.
- Scenderà con lei - mi diss'egli. - Adesso li
accompagniamo sin presso al Parkhaus e poi noi due prendiamo le Anlagen.
Nel congedarmi dalla comitiva, dissi a Violet
che sarei forse rimasto qualche tempo ad Eichstätt, e che speravo rivederla e
in buona salute. Mi rispose ch'era ospite della signora Treuberg. Questa mi
aveva già invitato a casa sua.
Appena fummo soli, Topler cominciò a
brontolarsi, camminando via curvo con gli occhi a terra: - Oh che bestia! Oh
che bestia! Oh che povera stupida bestia!
Non pensavo a domandargli di chi parlasse; ero
nella massima angustia e pensavo solo al modo di procacciarmi presto notizie.
Intanto gli chiesi coll'accento più indifferente che seppi, se la signorina
fosse cagionevole di salute.
- Ma non vede? - mi rispose incollerito come se
l'avessi offeso. - Non s'è accorto? Non ha osservato? Non capisce che non può
camminare? E mio fratello la vuole sposare per forza! Non gli dice stupido?
-
Oh no! - esclamai.
- Come, no? - gridò Topler. - Come, no, se lei
sposerebbe me più volentieri di lui?
Non potei a meno di sorridere.
- È sicuro - riprese l'altro. - Per lui ha
stima, s'intende; non vi sono in tutta la Baviera due caratteri d'oro come mio fratello;
ma per me ha simpatia.
Non mi piaceva entrare in questo argomento. Ero
fermo nel proposito, espresso a Violet, di manifestare le mie intenzioni, ma
non era giunto il tempo: e intanto non stimavo leale giovarmi dell'ignoranza di
Topler per ottenere da lui informazioni di carattere intimo. Lasciai quindi
cadere il discorso e discendemmo in silenzio.
Uscendo da una fitta selvetta di giovani faggi e
scoprendo la quieta valle dell'Altmühl, le prime case di Eichstätt, mi vennero
in mente le parole dettemi da Violet, al Belvedere, sulla piccola città
tedesca, dove la chiamava il destino. Non l'avrei creduta così divisa dal mondo
e dalle sue vie, così mascherata di alture deserte. Quando vidi sotto il brullo
monte opposto la sua cinta turrita, e giù ai miei piedi le torri della
cattedrale, quand'ebbi percorsa quasi tutta la discesa senza incontrar mai
anima viva, senza udire un suono di ruote nè di opere, l'idea di un triste e
solenne destino congiunto a quel luogo risorse in me.
Toccando il fondo della valle, dove colossali
pioppi congiunti da una folta siepe fiancheggiano le chiare acque del fiume,
passando lo stretto ponticello che le cavalca, la solitaria cittadetta mi parve
meno triste, e pensai che vi si potrebbe nasconder bene, secondo il precetto antico,
una vita felice. Mi congedai dal mio compagno sulla porta dell'Aquila Nera,
dove mi aspettava il mio bagaglio. Erano circa le due e Topler mi promise che
mi avrebbe fatto sapere qualche cosa di miss Yves la sera stessa.
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