XXIX.
Dato sesto alle mie faccende per un pezzo, mi dimisi
da un ufficio pubblico cui più avrei mancato e ne ritenni alcuni altri senza
importanza, per non dar luogo a troppi commenti. Partii quindi per Milano e
presi la linea del Gottardo. Fui a Magonza il 21 giugno, avendo in animo di
partirne la mattina del 25 col battello a vapore discendente che tocca
Rüdesheim, sulla destra del Reno, alle nove. Arrivai a Magonza di sera, da
Francoforte. M'ero messo in testa che Violet dovesse passare di là e avevo
pigliato quel giro vizioso per fare, almeno in parte, la stessa via. Giungendo
al ponte di ferro sul Reno, una gran commozione mi prese. Avevo veduto il Reno
molti anni prima, alle radici del Rheinwaldhorn. Ero allora giovanissimo, avevo
la testa piena dei versi di Heine, delle ballate del Wunderhorn e di figure
tedesche, da Criemhilt e Hagen al Trompeter von Säkkingen. Per me le acque del
Reno celavano un tesoro di fantastica poesia oltre a quello dei Nibelunghi; il
suo nome solo m'inebbriava ed era stato il mio sogno di vederlo nel tratto più
glorioso, fra Worms e Colonia. Non so cosa festeggiassero, quella sera, a
Magonza. Il famoso fiume era zeppo di barche, sparso di lumi erranti; vapori
andavano, vapori venivano, lentamente, con musiche o fuochi artificiali a
bordo; la luce argentea di un faro elettrico batteva da lontano e oscillava
sulle case della città, sulle rive gremite di popolo. Non credevo che il Reno
fosse già così ampio a Magonza, e la mia prima impressione fu di stupore; ma
poi dimenticai subito lo spettacolo, pensai solo che quella gran corrente mi
avrebbe portato laggiù, oltre i lumi e le barche, al mistero delle ombre
lontane, a questo ignoto Rüdesheim, a lei.
La sera stessa passeggiai lungo il Reno. Il nero
spaventoso del cielo, i lumi del fiume, la folla silenziosa e ferma sulle rive,
le musiche trionfali cui si mescevano di quando in quando da un vicino
serraglio ruggiti di belve irritate, facevano uno spettacolo festoso e lugubre
a un tempo che mi metteva sinistri pensieri. Me ne partii presto, mi misi a
caso per viuzze deserte e mi trovai improvvisamente a fianco del Duomo
colossale, cinto di silenzio. Mi fermai a contemplare la incerta enormità delle
cupole e delle torri nelle tenebre. Là ritrovai la mia profonda gioia e me ne
ritornai all'albergo.
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