XLIV.
Da questo momento entrò nella mia passione
un'acre e divorante impazienza. Non credevo provar gelosia di alcuno, ma il
fuoco geloso ardeva tuttora in me e aveva preso quest'altra forma. Feci ogni
prova di affrettare il matrimonio, tentai ancora, ma senza successo, rendere
accetto agli Steele il piano di celebrare il rito religioso a Rüdesheim e il
civile in Italia. Violet l'avrebbe accolto volentieri, ma le dispiaceva di
andar contro la ripugnanza de' nostri ospiti, che la consideravano una figlia;
e mi persuase di rinunciarvi. Così fu stabilito che il matrimonio civile e il
religioso seguissero il 25 agosto, ch'era, per le pratiche richieste, il
termine più breve possibile. Dopo il matrimonio v'era solo questo di fissato:
che a mezzo ottobre si andrebbe a Roma per passarvi almeno l'inverno, salvo a
stabilirvici definitivamente se così ci piacesse dopo la prova di qualche mese.
Dal 25 agosto a mezzo ottobre tutto era incerto. Violet mi parlò una volta
della Selva Nera, d'una casina solitaria su le praterie ondulate, presso
all'azzurro Danubio, fra Willingen e Donaueschingen. Io le proposi Venezia ed
ella accettò subito, non solo per compiacermi, disse, ma anche per civetteria,
perchè in Venezia, grazie alla gondola, mi sarei accorto meno della sua
imperfezione. Soggiunse ch'era contenta di andar meco a Venezia come mia
moglie, altrimenti ne avrebbe avuto paura, tale era l'impressione strana che ne
serbava. Non volle spiegarsi di più; pretese di aver detto anche troppo; poi mi
appoggiò il viso ad una spalla e mormorò che si sarebbe spiegata a Venezia. Più
volte dopo la sua morte ricordando ciò che quelle parole e quel tocco leggero,
quell'alito caldo alla spalla mi avevan fatto sentire, pensai che Iddio
separandoci così presto ne volesse preservare dall'accecamento d'una passione
troppo forte che divorandomi intero, non avrebbe lasciato posto nel mio cuore
ad altra creatura umana nè forse a Dio stesso.
Ma chi sa se sarebbe veramente stata una
passione così, se dopo la violenza dei primi trasporti, la donna mia non
avrebbe saputo dirigermi, senza parere, ad un ordine più ragionevole di
sentimenti? Io che perdevo per un alito il lume degli occhi, ero pure lo stesso
che ad Heidelberg aveva baciato i capelli tepidi e odorosi di lei con un
affetto quasi religioso, pieno di pace. Miseri uomini che siamo, diversi ad
ogni momento da noi stessi e misero orgoglio umano, che s'inalbera di
quest'accusa! Le ore della sera ci piegano alla terra, le ore del mattino ci levano
verso il cielo, non sappiamo amare nè volere un giorno intero allo stesso modo,
checchè la nostra bocca orgogliosa ne dica. È giusto riconoscere che se
talvolta la causa dei nostri oscuramenti di spirito è ignota a noi stessi,
talvolta invece la troviamo in un'ombra di male accolta volontariamente, anche
per un attimo, nel nostro pensiero.
Io avevo sempre amato Violet con tutto me
stesso, ma se ora tacevano, quasi, i miei sentimenti più elevati, e mi dominava
sola una febbre che toglievami sonno e riposo, era per quell'ingiusto movimento
geloso, accolto dalla mia volontà. È vero che avevo detto a Violet «perdonami»
e che anche il perdono umano purifica, ma Violet su questo punto era troppo
umile, non aveva voluto trovar materia di perdono.
Parlando con gli Steele del nostro viaggio di
nozze, ella disse che le rincresceva di lasciar la Germania senz'aver veduta
Colonia. Steele propose subito una gita a Colonia. La proposta mi spiacque,
poichè tutto m'era indifferente tranne Violet, e mi pesava di perdere,
foss'anche per due giorni, le ore deliziose che passavo da solo con lei. Ma
Violet invece si mostrò felice di quest'idea e io fui felicissimo di
sacrificarle il piacere mio più squisito.
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