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Quella sera gli ospiti dell'Hôtel
Astore si ritirarono di buon'ora.
Carlino era molto seccato della scomparsa di sua sorella con Piero dal Covile del
Cinghiale, era seccato che fosse andata fino a Rio Freddo con la nebbia, senza
mantello, senza uno scialle; era seccato che non avesse preso con lui, all'ora
solita, il Kephir, il portentoso farmaco orientale che di lui doveva
fare un Ercole e di lei una Giunone; era seccatissimo che Bassanelli avesse
osato alludere con lui alle imprudenze di sua sorella. Bassanelli, venuto con
la certezza di trovare Jeanne e di non trovare Maironi, era nero. Jeanne, dopo
ritornata all'albergo, non aveva più potuto star sola con Piero se non un
momento prima del pranzo. Allora gli aveva detto in fretta, con un'appassionata
stretta di mano, quasi furtiva: «Non partirà, vero, domani?». E a lui era
mancato il tempo di rispondere, o forse, nel tumulto dell'animo, gli era mancata
la parola. Dopo pranzo, nel salottino dove i Dessalle tenevano conversazione e
offrivano il thè ogni sera, si era conversato poco e non piacevolmente.
Bassanelli aveva condotto il discorso all'elezione di Brescia, andata bene per
il Governo grazie all'attività del candidato ministeriale, non d'altri. Si capì
che voleva alludere a Maironi e questi cominciò a bollire. Certe nebulose frasi
dello stesso Bassanelli, venute poi, gli parvero accennare a un altro aiuto
invocato inutilmente da quel pover uomo del marchese, cui era pur lecito aver
debolezze che tanti hanno. Allora egli scattò, eccitò Bassanelli a parlar
franco, gli negò il diritto di giudicare atti privati di cui non conosceva le
ragioni. Bassanelli lo rimbeccò aspramente: chi gli aveva detto di prendere
quelle parole per sé? Carlino, vedendo sua sorella fremere, tenersi a stento
dal pigliar con impeto le parti di Maironi, troncò il discorso:
«Basta» diss'egli «adesso si
prende il thè.»
Mentre si prese il thè non furono
scambiate che poche parole gelide. Poi tutti si ritirarono.
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