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La camera di Piero metteva sul
largo andito centrale dell'albergo in faccia a quella di Jeanne. Accanto a
Piero dormiva Bassanelli e le due camere erano divise da un semplice assito. Il
geloso Bassanelli uscì dal salotto Dessalle, appena uscito Piero, volendo
sapere dove questi dormisse e non piacendogli di domandarlo, né a lui né ad
altri. Trattenuto un momento sull'angusta scala da una cameriera che scendeva,
non vide in quale camera fosse entrato e finse di sbagliare, aperse più di un
uscio prima del buono, e brontolata una scusa, entrò rumorosamente nella camera
propria. Quell'appartarsi replicato di Piero e di Jeanne la mattina, e a pranzo
un che d'inquieto, di febbrile negli occhi loro, certi sguardi scambiati, certe
distrazioni dell'una e dell'altro, gli avevano ispirato amarissimi sospetti da
vecchio conoscitore d'intrighi notturni. Era fermo di vegliare, di spiare,
d'impedire.
Piero si buttò in un seggiolone
davanti alla finestra aperta, alle stelle tremolanti là in faccia sopra un nero
culmine di bosco, immaginando la cosa detta senza parole da labbro a labbro,
sentita sull'orlo degli abissi di Rio Freddo, nello stesso sfuggirgli di Jeanne
dalle braccia e poi nei suoi silenzi, nel turbamento del suo sguardo, quando lo
incontrava, nelle strette di mano, nell'ultima, sopra tutto, così lunga,
parlante. La cosa era fatale, forse; era diritto e volontà ineluttabile della
natura. Il suo sangue acceso, pieno di violento impeto, si sottometteva la sua
ragione, le faceva dire così. Intanto al pianterreno dell'albergo le voci
andavano spegnendosi. La porta di strada fu chiusa, passi pesanti suonarono
sulle scale di legno, poi sopra il suo capo. Finalmente la casa si addormentò.
Piero spense la candela. Non senza rifiutare ascolto ai deboli richiami della
coscienza, non senza un oscuro disprezzo di se stesso, si stese a terra per
vedere, prima di aprir l'uscio, se fra l'uscio e il pavimento entrasse lume, se
la lampada a petrolio del corridoio ardesse ancora. Era spenta. Si rialzò
palpitando. A misura che si preparava così, l'idea che Jeanne vegliasse, che
immaginasse, che stesse in ascolto palpitando come lui, lo guadagnava sempre
più. Nell'alzarsi da terra fece scricchiolar lievemente l'impiantito. Tosto udì
rumore nella camera di Bassanelli. Ascoltò trattenendo il respiro; Bassanelli
si era messo a camminare su e giù, dall'uscio alla finestra, senza riguardi.
Alla fine si chetò. Quando Piero, dopo avere lungamente aspettato, si mosse
ancora, quegli ricominciò il passeggio, si fece ad aprire il suo uscio, a
camminare anche nell'andito. Piero sapeva della sua passione per Jeanne e non
dubitò di una intenzione gelosa, di un avvertimento diretto a lui. Si buttò a
giacere sul letto e, benché avesse cura di non muoversi affatto, Bassanelli
continuò a dare segni, di tempo in tempo, della sua insonnia.
Fra il tocco e le due, Piero si
lasciò prendere da un sopor lieve, da un'ombra di sogno. Gli parve che venisse
lei, che toccasse il suo uscio con un dito e scese affannoso dal letto per
aprirle, per dirle che Bassanelli spiava. Appena ebbe i piedi a terra dubitò di
aver sognato.
Ecco invece due colpettini secchi
all'uscio. Trasalì, aperse pian piano senza domandare chi fosse. Vide il
padrone dell'albergo, vestito a metà, con un lume in una mano e una lettera
nell'altra. Trasognato, tardò molto a capire che la lettera era per lui, che
l'aveva portata un vetturino, il quale gli faceva dire di esser pronto a
scendere, se il signore lo desiderasse, anche subito.
Lesse, spalancando gli occhi, il
brevissimo scritto, rimase interdetto, immobile. L'altro attese un poco e poi
gli domandò se avesse ordini. Piero si scosse, rispose che ci avrebbe pensato,
che intanto il vetturale aspettasse; e si fece accendere il lume.
Uscito l'albergatore, rilesse.
Scriveva la marchesa, così:
Domenica ore 7 p.
Carissimo Piero,
il direttore telegrafa a papà:
- Condizioni fisiche aggravate. Ora, perfettamente lucida, chiede vedere
genitori, marito, don Giuseppe Flores - Noi partiamo subito. Don Giuseppe ci
raggiungerà questa notte. Prega!
La mamma
Piero si strinse i pugni sugli
occhi, tanto forte che le braccia gli tremarono. Dopo due minuti scostò e alzò
lentamente i pugni, fissando il lume, ansando. Poi, come per uno scatto
improvviso di volontà, raccolse le sue robe a precipizio, a precipizio discese,
chiamò il vetturale, commise all'albergatore di scusarlo presso i signori
Dessalle, dicendo che un richiamo dalla città lo aveva costretto a partire
così. E saltò nella carrozzella pronta davanti alla porta dell'albergo.
Giù giù nelle tenebre, al trotto
di una brenna, sopra un biroccino sconquassato, accanto a un compagno muto;
spariscono in alto per sempre i boschi, i pascoli con i sentieri, le macchie e
le fontane che tanto sanno, sparisce Picco Astore; giù, giù sotto le stelle
pure, per una costa ignuda, per nere strette di capanne; sparisce in alto, per
sempre, la casa dove dorme Jeanne, inconsapevole; giù, giù, al trotto stanco
della brenna, per un fitto di faggi addormentati, per avanguardie di radi abeti
veglianti, per orli di baratri; giù, giù, da destra a sinistra e da sinistra a
destra, con l'orrore di aver cupidamente pensato al tradimento mentre la
poveretta fedele lo chiamava al suo letto, con il senso di una potenza oscura
che lui cieco fosse andata lentamente avvolgendo nelle sue fila e ora lo
afferrasse violenta, con l'amaro ineffabile di quella vana parola: prega;
giù, giù, dal vento freddo delle alture nell'aria sempre più afosa, con la
visione di tutta la triste sua vita, della lugubre meta; giù, giù, da sinistra
a destra, da destra a sinistra, senza fine, al trotto stanco della brenna, col
biroccino sconquassato, accanto al compagno muto; giù, giù, sino al fondo, al
suono di ombrose correnti, a una prima sosta.
Quante ora ancora?
Sei ore.
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