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Arrivò allo Stabilimento poco
dopo le nove. In portineria c'era l'ordine di accompagnarlo dal Direttore. Questi,
avvertito col portavoce, gli venne incontro sulla scala, ripetendo
premurosamente «bravo, bravo, bravo» e alla muta domanda di lui rispose con un
sospiro, con un gesto di dubbio e di sconforto! Era dunque in pericolo? Eh sì,
pur troppo lo era. E la mente? Perfettissima.
«Oh» soggiunse il Direttore con
l'affettuosa deferenza del medico di cuore e insieme con il sorriso sereno
dell'uomo avvezzo: «domanda tanto di Lei, La desidera tanto, poveretta!».
E gli fe' cenno di entrare nel
suo studio. Piero sapeva che quella non era la via.
«Ma come?» diss'egli. «Non
andiamo là?»
«Non subito, se permette» rispose
il Direttore, sorridendo con dolcezza. «Non subito. Le ho fatto preparare qui
nel mio studio da rifocillarsi un po'. È Sua suocera, sa, che ci ha pensato. Oh
che donna, Sua suocera! Che santa!» Piero protestò che non aveva bisogno di
niente, che non voleva prender niente, che voleva vedere sua moglie subito,
subito! E perché l'altro insisteva, cominciò a presentire qualche mistero, a
temere che gli si volesse forse nascondere...
«No, no» fece il Direttore
vivacemente «nemmeno per sogno!» e proseguì con un certo imbarazzo
appoggiandogli le mani alle braccia, fissandolo negli occhi:
«Adesso Le dirò tutto. C'è qui un
vecchio sacerdote desiderato dalla Sua signora, che ci terrebbe a parlare con
Lei prima ch'Ella entrasse in camera. Questa sarebbe pure l'idea della signora
marchesa. Ecco!»
«Va bene.»
Prima di far avvertire don
Giuseppe, il Direttore informò Piero, sommariamente, della malattia. Il
deperimento risaliva al maggio e nelle due ultime settimane si era fatto più
rapido. La notte dal sabato alla domenica era sopraggiunta la febbre. Nel primo
entrare del male l'inferma aveva molto parlato di un bambino, di un suo caro
bambino che aveva portato in casa la pace. Il Direttore si scusò, ripeteva
parole dell'ammalata. Essa ne aveva quindi parlato sempre meno e finalmente non
più. Nel pomeriggio della domenica, con la febbre a 39.5, aveva, dopo un
lunghissimo silenzio, domandato improvvisamente, con intelligenza piena, di
vedere i genitori, il marito e don Giuseppe Flores. «Povera signora, avrebbe
voluto venire fuori dello Stabilimento, in qualche casa vicina, ma io proprio,
considerando il grado della febbre e altre cose, non ho creduto di consentire.
Stamattina è ritornata su questo punto. Bastò, poveretta, che quel sacerdote,
un santo anche lui, le dicesse di offrire il suo desiderio al Signore per i
suoi peccati; ha subito risposto di sì, di sì e che ne ha tanti.»
Piero strinse convulso la mano al
Direttore, che uscì, volle andar egli stesso in cerca di don Giuseppe.
Rimasto solo, il giovine si
sforzò di fare attenzione alle cose esterne per dominarsi. Si accostò a una
finestra. Faceva già caldo, fuori le cicale cantavano nel gran sole, nella gran
tristezza delle campagne deserte. Quando si sentì più sicuro di sé, Piero si
avvicinò all'uscio, lo aperse un poco aspettando il noto passo di don Giuseppe.
Che mai, che mai gli voleva dire
don Giuseppe? Stette in ascolto.
Silenzio.
Voci d'inservienti. Si ritrasse,
si chinò macchinalmente a guardare un libro aperto sulla scrivania del
Direttore. Hamlet, nell'originale inglese: la scena del teatro. Aperse
l'uscio da capo. Dio, quelle cicale! Altre voci; finalmente, la voce del
Direttore, la voce di don Giuseppe. Lo prese un tremito, ritornò alla finestra
per ricomporsi, si voltò ed ecco davanti a lui, solo, con la gran fronte pia,
con gli occhi scuri, solenne e dolce, il vecchio prete. Egli alzò le braccia
senza proferir parola, e senza proferir parola Piero aperse le sue, gli si
avvinghiò al collo. Don Giuseppe si sciolse il primo dall'abbraccio muto, e
tenendo le mani sulle spalle di Piero gli disse a voce bassa che avrebbe
trovato l'inferma in uno stato di spirito da non potersi immaginare, sicura di
morire, piena di gratitudine verso Dio, di tenerezza per i suoi, e così alta
nella espressione di questi sentimenti, così acuta nei riflessi sul suo stato
presente e passato, nei consigli a sua madre e a suo padre, nelle osservazioni
su quanto si diceva e si faceva intorno a lei! Oh! Una cosa! La voce di don
Giuseppe si abbassava così parlando, gli occhi s'ingrandivano, si accendevano,
il gesto commosso accompagnava le parole. Si capiva ch'egli era stupefatto di
aver trovato una Elisa diversa dalla Elisa conosciuta in casa Scremin.
Sedette sul canapè destinato ai
visitatori del Direttore, si fece sedere Maironi accanto, si passò una mano
sugli occhi.
«Senta» diss'egli.
Parve dibattere fra sé con
qualche rotta voce, con qualche scossa del capo, con gli occhi raccolti in
basso le parole da dire o il punto dal quale muovere il discorso.
«Bisogna» riprese finalmente
ritornando al suo gesto familiare della mano alla fronte onde spremeva
stentatamente le parole difficili «che La informi di qualche cosa.»
Trovata la via, continuò, un poco
più sciolto, penetrato però sempre la voce e il viso quasi da un rivivere,
dentro di lui, delle cose passate che narrava.
«Ricevette il viatico» diss'egli
«alle cinque di stamattina, con la serenità di un angioletto, si raccolse per
qualche minuto e pregò i suoi genitori di lasciarla sola con me.»
Qui don Giuseppe cinse con un
braccio il collo di Piero, gli sorrise con gli occhi umidi.
«Mi parlò di Lei» diss'egli.
Piero si celò il viso fra le mani.
«Pare» riprese don Giuseppe
sospirando «che qui o gli assistenti o le infermiere, chi sa, udendola
delirare, non pensando mai che potesse comprendere, abbiano parlato fra loro,
in presenza sua... di cose che la poveretta non avrebbe dovuto sapere. Ha
udito, ha compreso tutto, ricorda tutto, mi ha ripetuto tutto. Si figuri se non
cercai di rimediare, di smentire! Mi troncò la parola in bocca. "Non dica,
non dica, so che è vero. Le leggo negli occhi che è vero.' Volle sapere se
quella signora fosse libera e si afflisse molto che non lo fosse. Mi domandò se
credevo che Lei sarebbe venuto, che avrebbe accolto bene una parola sua di
perdono e di preghiera.
Le risposi che n'ero certo.»
Don Giuseppe tacque. Piero
piangeva.
«Dio mio, don Giuseppe» diss'egli
«non potrebbe Lei evitarle questa pena, dirle che io considero la sua parola
come detta, come udita, dirle a nome mio tutto quello che la può consolare?»
Don Giuseppe gli pose una mano
sulle ginocchia ed ebbe ancora, senza guardarlo, un lievissimo sorriso, un sospiro,
una inarticolata voce sommessa di dubbio, una voce che Piero intese a questo
modo: «Non è meglio, per qualche ragione da tacere, che parli proprio Lei?»
Si bussa all'uscio.
Un'inserviente avverte ch'è giunto il professore chiamato per telegrafo da
Bologna.
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