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Nel corso della giornata si
manifestò un lieve miglioramento. Il professore di Bologna aveva
necessariamente stancata l'inferma con gl'interrogatori e le auscultazioni; le
aveva quindi prescritto il più assoluto riposo. La diagnosi era stata conforme
a quella dei due medici curanti, la prognosi meno pessimista. Il pericolo era
che al cader della febbre l'ammalata si spegnesse per esaurimento, ma il
professore confidava nelle risorse di un organismo giovane e anche nei mezzi
dell'arte. Egli aveva tenuto il suo discorso nel salottino attiguo alla camera
dell'ammalata, rivolgendosi particolarmente alla persona che gli era stata
presentata come il marito. Riuscì duro a Piero di sostenere quello sguardo, di
accettare quella preferenza immeritata. Avrebbe voluto dire: "Parli a sua
madre, io non son degno'. Neppure si credeva degno di mostrare la sua
commozione vera; ne vergognava quasi come d'una ipocrisia. Il professore non
intendeva ripartire prima di sera. In città si era subito saputo della sua
venuta e tre o quattro richieste di consulti erano arrivate allo Stabilimento
prima di lui. Piero desiderava che ritornasse da sua moglie, e uscì con esso
dal salotto per dirglielo fuori, da solo a solo, con tutto quel fuoco d'affanno
che sentiva in sé, che non avrebbe voluto mostrare agli altri. E lo supplicò di
aprirgli la verità intera. Il professore l'aveva detta, non poteva che
confermare le sue parole precedenti. «Speriamo, speriamo» diss'egli. «Vedo che
lo meritano tanto tutti e due, poveretti.» Piero strinse e scosse le mani,
senza parlare, a quell'uomo buono che sempre più si persuase del proprio
intuito, della diagnosi morale improvvisata così sui due piedi.
Verso le quattro del pomeriggio
l'inferma dormiva, vegliata da sua madre. Nel salottino don Giuseppe stava
leggendo il breviario e Zaneto, molto confortato, parlava sottovoce a Piero,
rimescolava certi suoi vecchi ricordi del luogo, d'una sua zia che vi era stata
curata in gioventù. Egli mise poi il discorso sull'asilo campestre che sua
moglie era venuta disponendo per la figliuola, sulla opportunità di passarvi
l'autunno, sul soggiorno da scegliere per l'inverno. Quando ebbe sparse tutte
queste rose sull'entrata d'un discorso spinoso, si arrischiò a mettervi un
piede.
«Mi è stato parlato» diss'egli
«di dubbi che avresti circa la provenienza della tua sostanza, dubbi che ti
impedirebbero un atto di assoluta proprietà. Non lo dico per niente, sai! Non
lo dico per niente! Te ne parlo per il puro tuo interesse. Si tratta di una
questione che conosco. Ne ho udito discorrere in casa mia da giovinetto, più
volte, e anche poi, da uomo. È una questione che non è questione. Si tratta di
un testamento annullato per non so quale difetto, se di data, se di forma, se
d'altro. Ora questo considerar poco i difetti di forma sarà generoso ma non è
giusto. Il difetto di forma riflette sempre un dubbio sulla sostanza! Domanda a
qualunque direttore di coscienza...»
"Nessuno di costoro farà mai
per me' pensò Piero; notò in pari tempo che l'ascetico suocero e la scettica
Jeanne venivano per vie diverse a incontrarsi con l'egoismo sulla stessa
cattedra di consiglio.
La marchesa Nene porse il capo
dall'uscio e chiamò Piero. L'Elisa si era svegliata, lo voleva. Mentre il
genero entrava ella uscì, gli disse sorridendo con un'aria di compiacenza quasi
affettata che l'Elisa la cacciava di camera. E soggiunse piano: «Poco, poco,
poco!».
La suora era uscita prima.
L'inferma accennò al marito di sedere presso il letto, dal lato opposto alla
finestra, gli sorrise, gli stese la mano. Egli baciò la piccola mano di avorio,
arida, calda, e la tenne fra le sue.
«Meglio, non è vero, cara?»
Ella porse le labbra nel disegno
di un bacio e mormorò come se non avesse udito:
«Mi rincresce tanto, adesso, di
non avere avuto un bambino.»
Piero protestò. Perché parlava
così? Non sapeva che guarirebbe? Che i medici n'erano sicuri? L'inferma non rispose,
gli accarezzò le mani, guardandole, e dopo un momento disse con voce appena
intelligibile:
«Domani sera...»
«Cosa, domani sera?»
«Fra le sette e le nove»
diss'ella.
Piero ebbe una stretta al cuore.
Forse la mente di lei si oscurava da capo? La richiamò:
«Elisa!»
Allora ella lo guardò un momento
in viso e gli ridiscese quindi con gli occhi alle mani continuando l'amoroso
moto delle sue, aperse le labbra. Piero non intese, si chinò, raccolse, durando
ella sempre, grave in viso, a guardargli e accarezzargli le mani, questo alito:
«Domani sera, fra le sette e le
nove, vi lascio.»
Egli si sentì gelare il sangue,
pensò alla divinazione dei morenti, non seppe lì per lì articolar parola. Poi
la contraddisse appassionatamente. Ella gli fe' segno, col dito alle labbra, di
tacere, come s'egli alzasse la voce contro Dio che voleva così. Poi mosse un
po' il capo su per il guanciale, gli abbandonò la mano sul braccio, lo guardò
affannata, supplichevole. Non gli pareva che Dio fosse stato abbastanza buono
con lei?
«Una grazia grande, sai, del
Signore, avermi svegliata, avermi chiamata così. Una grazia grande avervi qui
tutti, anche quel santo don Giuseppe che mi aiuta. Zitto, caro, zitto.»
Ella tacque, lo trasse a sé, fece
un visino afflitto, gli bisbigliò senza guardarlo:
«Non sono stata una buona moglie
- zitto caro, zitto - no, ti volevo tanto bene, tanto tanto e non ho saputo
dimostrarlo, devi avermi creduta fredda, è stato un gran male, adesso lo
capisco.»
Gli cinse il collo con ambe le
braccia, gli mormorò all'orecchio:
«Caro, vuoi che ci perdoniamo
tutto? Proprio tutto, tutto? Anche quello che tu non sai di me? Anche quello
che io non so di te?»
Egli si staccò dolcemente dal
collo, piangendo, le sottili braccia, s'inginocchiò, si strinse sulle labbra
una mano di lei che pure lacrimava. In quel momento la marchesa, impaziente
della lunga dimora di Piero, aperse l'uscio per richiamarlo. Vide, tacque, si
ritirò. Don Giuseppe alzò gli occhi dal breviario a lei, credette che uscisse
dalla camera dell'inferma, le domandò notizie. Ella rispose col suo solito
sorriso: «Non so, vedo che non mi vogliono». E anche a lei caddero due dolci
lagrime.
Intanto l'inferma fece alzare suo
marito, gli parlò ancora:
«Sei tanto giovane, non hai
nessuno, col tempo...»
Si commosse, non poté compiere la
frase. Finalmente gli cinse un'altra volta le braccia al collo, gli disse
ansando:
«Ti ricorderai di me, vero?
Pregherai per me anche allora? Preghi come una volta, caro?»
Piero non rispondeva.
«Non preghi più come una volta?»
Nessuna risposta.
«Non preghi più? Hai perduto la
religione?»
Egli non poté mentire, benché ne
fosse tentato.
«Perdonami!» supplicò accorato.
«Perdonami!»
Solo udì, nel silenzio mortale,
l'affannoso respiro dell'inferma. Ella giunse alfine le mani dicendo piano:
«Oh Piero!»
Alzò gli occhi pieni di angoscia,
pregò dal fondo dell'anima, ineffabilmente, offerse per lui le pene sue
presenti e quelle attese della purificazione futura.
"Signore, Signore' pensò
"non lasciatemi morire così!' E subito ebbe un momento quasi di rimorso,
si affrettò a soggiungere dentro di sé: "Però sia fatta la Vostra santa
Volontà'.
Poi chiamò con voce fievole:
«Caro.»
Chiese il fazzoletto. Avutolo,
cercò di recarselo agli occhi e la mano le ricadde sulle lenzuola.
«Non ho più la forza» diss'ella.
E aperse la mano.
Allora, tremante, straziato,
volendo pur dire una parola consolatrice e non riuscendovi, egli le terse col
fazzoletto gli occhi lagrimosi. La poveretta poté appena dirgli:
«Grazie. Chiamami la mamma.»
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