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L'indomani mattina, prima di
uscire con la messa, don Giuseppe domandò se il signor Maironi fosse in chiesa,
e, udito che no, attese, così parato, alquanto. Finalmente, tardando ancora Maironi
a venire, uscì. Rientrato in sagrestia vi trovò il custode il quale aspettò a
mala pena che finisse il ringraziamento per dirgli con voce tremante e con
faccia turbata di venire a casa subito subito. Cosa era mai successo? Il
custode non rispose che quando ebbe chiuso dietro di sé l'uscio di casa. La
risposta fu uno scoppio di pianto.
«Ma santo cielo, cosa c'è?»
esclamò don Giuseppe, «parlate!»
Impossibile; il pover uomo non
riusciva, fra i singhiozzi, a spiegarsi.
«Guardi qua!» diss'egli a stento.
E gli porse un biglietto.
Don Giuseppe lo lesse, comprese,
non mostrò meraviglia, si fece accompagnare nella camera dove Piero aveva
dormito.
Era una cameretta dell'ultimo
piano, con due finestre, una a mezzogiorno, sopra il tetto della sala, verso
monte Bisgnago, l'altra a ponente, sopra il giardinetto pensile, in faccia allo
specchio lungo e stretto delle acque, che va sino a Gandria e al San Salvatore.
Ambedue le finestre erano aperte, la pace del lago e delle montagne entrava
nella camera vuota. Una valigetta e un soprabito di Piero erano sul cassettone,
l'ombrello e il bastone in un angolo, onde a prima giunta don Giuseppe,
sorpreso, esclamò:
«Se la sua roba è qui!»
Ma poi trovò sulla scrivania una
lettera con questa soprascritta:
Per Lei, don Giuseppe, e Iddio
Le renda il bene che mi ha fatto.
Il letto era intatto, don
Giuseppe domandò al custode se non avesse udito alcuno scender le scale durante
la notte, aprir la porta di casa. No, non aveva udito. In fatto alle sette e
mezzo la porta era ancora chiusa. Invece don Giuseppe, alle sei e mezzo, aveva
trovato aperto il cancello del giardinetto. Piero doveva essere uscito di là.
Don Giuseppe lesse la sua lettera; non vi erano che le istruzioni promesse, la
conferma delle intelligenze prese a voce e una busta suggellata, con la
scritta: Da aprirsi dopo la morte di Piero Maironi. Il biglietto al
custode conteneva un affettuoso saluto di commiato, una lode, un ringraziamento
e l'ordine di considerare don Giuseppe Flores come suo padrone. Il custode non
sapeva, non capiva niente, temeva un atto disperato per la morte della signora,
parlava di far subito ricerche a Porlezza e a Lugano.
«No no» gli disse don Giuseppe,
«non temete disgrazie. È il Signore che lo conduce. Se il Signore vorrà, lo
rivedremo. Egli desidera intanto nascondersi al mondo. Rispettiamo il suo
desiderio.»
In quel momento il fedele custode
tacque, ma poi non si tenne dall'andar cercando le tracce del padrone. Mai non
gli fu possibile di trovarne alcuna. Nessuno lo aveva incontrato, nessuno lo aveva
veduto, nessuno ne aveva udito i passi. Se mai sia per venire il giorno in cui
la occulta via dell'uomo scomparso si riveli, in cui ci si apprenda il perché
di tanto mistero, solo Chi lo ha chiamato alle proprie battaglie lo sa.
FINE
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