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Partirono verso le sei, col cielo coperto e un venticello fresco, fragrante
di bosco e di montagna, vivo di vocine allegre di uccelli, purificatore anche
dell’anima. Ai bagni di Nerone presero la mulattiera ch’entra nella stretta
gola verde risalendo la destra dell’Aniene. Si lasciarono a sinistra, in alto,
Santa Scolastica, il Sacro Speco, la Casa del Beato Lorenzo, bianca sotto lo
scoglio ferrigno. Si lasciarono a destra il ponte della Scalilla, una trave
gettata alla sinistra sponda selvaggia del turbolento fiumicello. Parlarono
molto, per la via, di questo strano Santo. Giovanni si stupiva che don Clemente
non gli avesse detto nulla, in passato, della qualità di quel garzone ortolano.
Gli piaceva il discorsino in piazza. Eran cose di cui aveva parlato con don
Clemente, mostrandogli come quella parola di Gesù non sia affatto praticata né
insegnata a dovere, come i cristiani migliori non l’applichino che all’uso dei
sacramenti, come se i fedeli sapessero di non poter entrare in chiesa
senz’avere il cuore puro, il popolo cristiano sarebbe veramente di esempio al
mondo e non si oserebbe affermare che la moralità è presso a poco la stessa
dappertutto e non dipende dalle credenze.
Gli piaceva molto anche il «Padre nostro» recitato in chiesa così. Non gli
piacevano invece i miracoli; dubitava di una debolezza dell’uomo che non
sapesse romperla risolutamente con la superstizione popolare a lui lusinghiera.
Che poteva dire Noemi del carattere di quest’uomo? Quale concetto se n’era
fatto per le confidenze di Jeanne? Noemi s’imbarazzò. Tutto quello che ne aveva
udito da Jeanne la persuadeva che Maironi si fosse condotto male con essa, che
non l’avesse veramente amata mai; e le suggeriva in pari tempo una curiosità
intellettuale che, combattuta, ritornava sempre: la curiosità di sapere se
quell’uomo avrebbe amato lei meglio di Jeanne. Rispose che il carattere di
Maironi era per lei un enigma. E l’intelligenza? E la cultura?
Dell’intelligenza né della cultura non poteva dir nulla; però, se una donna
come Jeanne Dessalle lo aveva tanto amato, doveva essere intelligente e colto.
E le sue idee religiose di una volta? A quest’ultima domanda Noemi rispose che
da certi fatti di cui le aveva parlato Jeanne, dalla influenza decisiva che le
tradizioni religiose di famiglia avevano esercitato sopra di lui, secondo
Jeanne, in una crisi del loro amore, ell’arguiva che fosse allora un cattolico
della vecchia scuola, non un cattolico… Qui, Noemi s’interruppe, arrossì e
sorrise. Sorrise anche Giovanni. Invece Maria si oscurò un poco. Il discorso
cadde.
Camminarono per alquanto tempo in silenzio, solo scambiando un saluto con
qualche montanaro che scendeva ai mulini di Subiaco sul mulo carico di grano.
Sostarono a riposare sul prato di S. Giovanni che parte quel di Subiaco da
quel di Jenne. Il Beato Lorenzo, bianco sotto lo scoglio ferrigno, li guardava
alle spalle oramai, dall’alto. Lumi di sole, rotte le nuvole, doravano i monti,
e la piccola compagnia, pensando alla costa bruciata di Jenne, si rimetteva in
cammino quando la incontrò il medico di Jenne che riconobbe Maria per averla
veduta, tempo addietro, in casa di un collega di Subiaco. Salutò, trattenne la
sua mula, sorridendo.
«Loro signori vanno a Jenne? Vanno a vedere il Santo? Troveranno gran gente,
oggi.»
Gran gente? Noemi è seccata
perché teme di non poter vedere Maironi a suo agio, i Selva son curiosi di
sapere. Perché, gran gente? Perché vogliono il Santo a Filettino, lo vogliono a
Vallepietra, a Trevi, e le donne di Jenne intendono averlo per sé.
«Tutto per farmi riposare!» soggiunse il medico. «E anche per far riposare
il farmacista. Oggi il medico è il benedettino e la farmacia è la sua tonaca.»
E raccontò che quel giorno doveva venir gente da Filettino, gente da
Vallepietra, gente da Trevi per parlamentare con Jenne, venire a un accordo e
dividersi il Santo. «Chi sa se non si bastoneranno!» Intanto a Jenne c’erano
già i carabinieri.
«Anche lei lo chiama «il Santo»?» disse Maria.
«Eh!» rispose il medico, ridendo. «Così lo chiaman tutti. Meno però chi lo
chiama il Diavolo, perché adesso a Jenne c’è anche di questi.»
Sorpresa. Questa era nuova. Chi lo chiamava il Diavolo? E perché?
«Eh!» Il medico fece il viso del furbo che la sa lunga e non la vuole dire
tutta. «Ma!» diss’egli «ci sono due preti di Roma che villeggiano a Jenne; due
preti, due preti…! Son fini di molto. Cosa pensino del Santo a me non l’hanno
detto, ma intanto l’arciprete s’è tirato molto indietro e qualche altro pure.
Quella è gente che lavora. Non si vede ma lavora. Sono insetti… non per dirne
male! Anzi, forse, in questo caso, per dirne bene!...Sono insetti che quando si
mettono ad ammazzare una pianta non toccano i frutti, non toccano i fiori, non
toccano le foglie, sto per dire non toccano neanche le radici perché un
beveraggio li arriverebbe, un colpo di zappa li scoprirebbe e loro non vogliono
essere arrivati, non vogliono essere veduti. Si ficcano nel midollo. Ora ci
stanno, nel midollo. Andrà un mese, andranno due, la pianta deve seccare e
seccherà.»
«Ma Lei» domandò Maria «cosa ne pensa? Quest’uomo si spaccia proprio per un
santo? È contento che della gente superstiziosa se lo disputi così? È vero che
ha guarito degli ammalati?»
Mentr’ella parlava il medico rideva sempre.
«Io rido» rispose. «È un caso di psicopatia mistica contagiosa. Scusino,
devo trovarmi a Subiaco alle otto. Buon divertimento!»
Dato il colpo del suo malanimo, scosse le redini al mulo, e se n’andò per
paura di dover mostrare come colpissero le sue ragioni.
Noemi, la più commossa dei tre per l’atteso incontro con l’uomo amato da
Jeanne, incominciava a sentirsi stanca. Una seconda sosta si fece a piedi della
costa di Jenne, sulle ghiaie rigate dai sottili rivoletti che vanno al fiume
dalla grotta dell’Infernillo. Ecco sopraggiungere qualcuno alle loro spalle.
Che sorpresa e che gioia! Don Clemente! Anche il bel volto del padre si accese.
Egli amava e riveriva Giovanni Selva come un grande cristiano, aveva talvolta a
difendersi contro la tentazione di giudicar il suo superiore, l’Abate, che gli
aveva interdetto di visitarlo, contro la tentazione di appellarsi dall’Abate a
Qualcuno maggiore degli Abati e anche dei Pontefici, interno all’anima sua. Ora
Questi gli disse nell’anima: «l’incontro è mio dono» e il monaco si unì lieto
agli amici. Maria lo presentò a Noemi ed egli arrossì ancora nel riconoscere la
persona che aveva scambiato per la persecutrice di Benedetto.
«E la sua amica?» diss’egli, tremando di apprendere che fosse lì presso.
Rassicurato, lampeggiò di sollievo nel viso. Noemi ne sorrise ed egli,
avvedutosene, rimase confuso. Sorrisero anche gli altri ma nessuno parlò. Il
primo a rompere il silenzio fu Giovanni. Certo don Clemente andava a Jenne come
loro? E forse ci andava per lo stesso scopo, per vedere la stessa persona,
l’ortolano, eh, l’ortolano di quella sera? Ah don Clemente, don Clemente! Sì,
don Clemente andava pure a Jenne, ci andava per vedere Benedetto. E quanto
all’ortolano, si scusò. Inganno non c’era stato, c’era stato il desiderio che
le due anime si avvicinassero senza violenza, nel modo più spontaneo, senza
raccomandazioni e informazioni preventive.
Preso a salire insieme la costa, parlarono di Benedetto.
Noemi, dimentica della stanchezza, pendeva dalle labbra del padre, e il
padre, appunto per questo, parlava così poco e così circospetto ch’ella ne
fremeva d’impazienza, e in breve si sentì stanca da capo. Prese il braccio di
Maria, lasciò che don Clemente si dilungasse con suo cognato. Allora don
Clemente confidò a Giovanni che aveva una missione penosa. Pareva che qualcuno
avesse scritto a Roma da Jenne in modo ostile a Benedetto, accusandolo di
tenere discorsi non perfettamente ortodossi, di spacciarsi per taumaturgo e di
vestire senza diritto un abito religioso che rendeva gravissimo lo scandalo.
Certo da Roma era stato scritto all’Abate e l’Abate aveva dato l’incarico a
lui, don Clemente, di recarsi a Jenne e di chiedere a Benedetto la restituzione
dell’abito. Don Clemente aveva cercato invano dissuadere il vecchio Abate che
se l’era cavata con una barzelletta: «leggete il Vangelo, la Passione secondo
S. Marco: chi segue Cristo quando tutti lo abbandonano bisogna che ci rimetta
l’abito. È un segno di santità.» E poiché qualcuno doveva portare questo
messaggio a Jenne, don Clemente preferì di portarlo egli. Aveva poi anche
ricevuto una strana lettera dell’arciprete di Jenne. L’arciprete, brav’uomo ma
timido, gli aveva scritto che Benedetto, a suo avviso, era veramente un pio
cristiano ma che discorreva troppo di religione alla gente e che i suoi
discorsi avevano qualche volta un certo sapore di quietismo e di razionalismo;
che lo si accusava di esercitare a profitto delle sue idee non tanto ortodosse
un potere diabolico; che l’accusa era sicuramente falsa ma ch’egli non aveva
potuto, per prudenza, tenerlo ancora presso di sé, che forse il miglior partito
sarebbe per lui di andarsene in qualche paese dove non fosse conosciuto e
viverci quieto.
Il dialogo fu interrotto da una chiamata di Maria. Noemi, spossata dal sole
ardente, presa da palpitazione, aveva bisogno di un’altra sosta. Le signore si
erano sedute all’ombra di un sasso.
Don Clemente si congedò. Si sarebbero riveduti a Jenne! Maria era molto
angustiata per sua sorella, si rimproverava in cuor suo di non essersi opposta
a che venisse a piedi. Lei e Giovanni tacevano guardando Noemi che sorrideva
loro, pallida. In quel deserto di montagne senza bellezza, su quei sassi
bruciati dal sole, il silenzio pesava di un peso mortale. Fu per tutti e tre un
sollievo di udire voci di viandanti che salivano. Erano sei o sette persone,
avevano seco due muli e salivano cantando il rosario. Quando furono vicini si
videro sui muli una giovinetta e un uomo, sparuti ambedue, quasi cadaverici. La
giovinetta, visti i Selva, spalancò gli occhi; l’uomo li teneva chiusi. Gli
altri guardarono con certe facce compunte, continuando le preghiere. La nenia
monotona si dilungò insieme al calpestio dei muli, si perdette nell’alto. Poco
dopo la triste processione sopraggiunse dal basso una brigata allegra di
giovinotti borghesi che ridevano parlando di Quiriti a caccia piuttosto di
Sabine che di Santi. Al vedere Giovanni e le due signore ammutolirono. Passati,
ripresero a ridere e a scherzare; scherzarono su Giovanni che forse era il
Santo fra le tentatrici.
Una grande nube dagli orli di argento, la prima di una flotta che veleggiava
verso ponente, oscurò il sole; e Noemi, alquanto rinfrancata, propose di
approfittare dell’ombra per rimettersi in via. Pochi passi sotto la croce
sognata, secondo quel Torquato, dall’arciprete, incontrarono un borghese
vestito di nero che scendeva sul mulo.
«Scusino» diss’egli alle signore, trattenendo il mulo, «una di Loro è Sua
Eccellenza la duchessa di Civitella?»
Udita la risposta, si scusò dicendo che un senatore suo amico gli aveva
raccomandata questa duchessa, da lui non conosciuta, che doveva capitare a
Jenne per vedere il Santo.
«Già» diss’egli sorridendo. «Forse anche Loro. Tutti adesso. Una volta ci
venivano a vedere un Papa. Sicuro. A Jenne c’era un Papa. Alessandro IV.
Vedranno l’iscrizione. «Calores aestivos vitandi caussa.» Adesso ci
vengono per un Santo. Dovrebb’essere più che un Papa. Ho paura che sia meno!
Hanno visto i due malati? Hanno visto gli studenti di Roma? Eh, vedranno altro,
vedranno altro! Ma ho paura che sia meno. Buon viaggio a Loro signori!»
Oltrepassata la croce, montarono in faccia al cielo aperto, fra i dorsi
verdi pendenti alla conca romita di Jenne, incoronata là di fronte dalla povera
greggia di casupole che il campanile governa. Giovanni era stato a Jenne altre
volte e non gli parve diversa perché ora vi dimorasse un Santo e vi si
operassero miracoli. Sua moglie, che ci veniva per la prima volta, ebbe
l’impressione di un luogo spirante raccoglimento religioso per quel senso di
altezza non suggerito da vedute lontane, per quel cielo profondo dietro il
villaggio, per la solitudine, per il silenzio. Noemi pensò con pietà profonda
alla povera lontana Jeanne.
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