Cortis arrivò a Lugano a sera
inoltrata e scese alla modesta Pension du Panorama, una delle casine che
biancheggiano col nome di Paradiso sull'orlo del lago, in quel curvo seno
lontano dalla città, onde ascendono le subite pendici del San Salvatore. Uscì
tosto dall'albergo e prese la stradicciuola che sale queste pendici sino alla
terra di Pazzallo. L'amica di sua madre, la signora Leonora Fiamma, gli aveva
scritto che abitavano un villino tra il Paradiso e Pazzallo, a sinistra della
strada, poco più su di un'osteria appiattata fra le ombre dense d'un vallone
boscoso. Bisognava suonare al cancello rosso fra due gelsi.
Cortis trovò il cancello e suonò.
S'era fatto precedere da un telegramma; sapeva quindi di essere atteso.
Una cameriera venne ad aprire.
La signora Fiamma? diss'egli.
Sì, signore.
Come sta l'altra signora?
La cameriera esitò un poco.
Lei rispose è ben quel signore
che ha mandato un telegramma?
Sì.
Bene, la signora sta lo stesso.
Male?
Lo stesso.
Intendo che mi rispondiate
replicò aspramente Cortis se sta male o no.
Glielo dirà la mia signora
rispose indispettita colei; e gli aperse con mal garbo l'uscio d'un salottino a
pian terreno.
C'è qui quel signore soggiunse
guardando verso un angolo del salotto.
Cortis entrò. Vide in
quell'angolo e in alto una lampada; sotto la lampada, nell'ombra d'una gran
poltrona, de' lucidi capelli neri, una figura femminile, pure sfiorata qua e là
dalla luce.
La testa lucida accennò
lievemente di sì, e dopo qualche momento di silenzio, una voce non giovanile né
dolce, ma molto languida e triste, disse piano:
È Lei il signor Cortis?
L'accoglienza e la voce
dispiacquero a Cortis, che non rispose direttamente.
La sua amica diss'egli come sta?
Sempre nello stesso triste stato
riprese la signora. Si accomodi. Sarà impossibile che Lei la veda questa sera,
perché il medico non lo crede opportuno. Le domando scusa soggiunse se la mia
accoglienza Le pare fredda, se non esprimo tutta la gratitudine che debbo
sentire e sento per Lei; ma sono anch'io così sofferente!
La signora Fiamma pronunciò
queste ultime parole come se stesse per esalare l'ultimo respiro, e arrovesciò
il capo sulla spalliera della poltrona. Adesso il lume della lanterna le
sfiorava la fronte segnata da sottili rughe e un gran naso tragico. Gli occhi
avevano una espressione appassionata e falsa.
Mise un lungo sospiro, quasi un
gemito; e girò il capo, senza alzarlo dalla spalliera, verso Cortis.
Vede? diss'ella. Non ne posso
più.
Senta osservò Cortis, io stasera,
a ogni modo, non avrei voluto vedere la Sua amica, che nel caso d'una estrema
urgenza. Mi perdonerà, signora, se io Le parlo molto francamente secondo la mia
abitudine. Ho sempre creduto che mia madre fosse morta. Lei mi dice che vive...
Le prove? sospirò la signora
Leonora. Il cuore non Le dice dunque soggiunse con un accento drammatico che
sotto questo tetto...
Lasci stare il mio cuore, signora
interruppe Cortis. Sono appunto le prove che io La pregherei di farmi
conoscere.
Sarà una grande amarezza per la
signora Cortis diss'ella sottovoce, con gli occhi al cielo; ma è giusto, oh è
giusto! Lo abbiamo previsto, sa! Adesso Le farò vedere i documenti della mia
amica.
S'asciugò gli occhi, a più
riprese, con un fazzoletto profumato che poi guardava ogni volta come per
vedere se avesse pianto lagrime di sangue. Pregò Cortis di suonare il
campanello, si fece portare una candela e si rizzò con uno sforzo manifesto.
Era alta e magra, le usciva dal collarino di tulle nero un lungo collo
giallognolo; gli occhi neri e grandi eran pur cinti di giallore. Portava un
abito nero, a coda, di taglio molto elegante; e camminava un po' come Lady
Macbeth quando viene in scena dormendo, col lume in mano.
Uscita che fu, Cortis diede una
rapida occhiata alla stanza, notò due quadretti a olio, una Maddalena e una
santa Cecilia, palesemente copie; le fotografie di una vecchia dama e d'un
vecchio signore coperto di decorazioni, con la dedica sotto, in tedesco; alcuni
libri ascetici, una cestella zeppa di biglietti di visita e un albo di studi
dal vero all'acquarello, che portava scritto sulla prima pagina il nome della
signora Leonora Fiamma, pittrice di camera di S.A.R. il granduca Leopoldo di...
In un angolo del salotto vi era un'arpa polverosa.
La signora rientrò dopo qualche
minuto, posò la candela e un piccolo portafogli sul tavolino ovale che stava
davanti alla poltrona, disse a Cortis che la sua amica in quel momento aveva
bisogno di lei, e che egli era libero di aprire quel portafogli e vedere.
Sarebbe tornata più tardi.
Cortis, rimasto solo, dovette
certo esercitare un violento impero sopra di sé; perché, prima di aprire il
portafogli, si piantò i pugni sulla fronte, gittò via, con uno scoter furioso del
capo, tutte le debolezze che potean turbargli il giudizio. Quando si scoperse
il viso era grave, ma pacato.
Gli venne alle mani, anzitutto,
una lettera del dottore P..., vecchio amico di suo padre. Appariva da questa
lettera che, nel 1857, più di un anno dopo la sua uscita dal tetto coniugale,
la signora Cortis aveva scritto al marito implorandone il perdono. Il dott.
P... le rispondeva, per incarico avutone, che non vi era nessuna disposizione
per accordarlo; aggiungeva poi di suo, a quest'amaro messaggio, una lunga coda
pietosa d'incoraggiamenti, di consigli, di vaghe speranze per l'avvenire. Il
dottor P... era stato collega di Cortis seniore come medico militare in Crimea,
mentre la signora Cortis si lasciava sedurre ad Alessandria. Scoperta infedele dal
marito al suo ritorno, ella aveva accusato un ufficiale di artiglieria morto da
pochi giorni. Il P... le faceva intendere che si credeva ben poco all'ufficiale
d'artiglieria, e che questo sospetto le nuoceva nell'animo del marito.
Mentre Cortis stava leggendo,
gemiti e singhiozzi scoppiarono sopra la sua testa, nel silenzio della casa.
Egli afferrò il lume per accorrere, per vederla; udì un passo, una voce
tranquilla; tutto ritornò muto. Allora depose il lume, compié la lettura,
agitatissimo.
Aperse poi un piccolo medaglione
d'oro e vi trovò i ritratti dei suoi nonni materni, Carlo e Maddalena Zarutti
di Cividale. Da bambino aveva passato due autunni presso di loro a Cividale.
Era il nonno, il buon vecchio nonno che veniva a prenderlo ad Alessandria in settembre
e ve lo riconduceva alla fine d'ottobre. Eccolo lì, tutto sorridente. E anche
la nonna, povera vecchietta, come aveva l'aria felice! Erano morti tutti e due
in un anno, di crepacuore, e ora parevano dire: Caro, siamo noi, i nonni!
Cortis non guardò altro, uscì precipitosamente in cerca della signora. Chiamò,
aperse a caso degli usci, entrò in uno studio di pittore, zeppo di cavalletti e
di sedie, appestato di vernice e di tabacco. Non v'era che una copia di Nanà
fra una bottiglia e dei sigari. Un momento dopo sopraggiunse la cameriera tutta
affannata.
Cosa vuole? diss'ella
stizzosamente. Cosa cerca?
Questa signora Fiamma? rispose
Cortis. Andate a dirle che scenda.
L'accento e il volto suo quando
disse Questa signora Fiamma esprimevano piuttosto fastidio che benevolenza.
La cameriera se n'avvide e si
affrettò di chiuder l'uscio dello studio.
Adesso non può diss'ella.
Allora insisté Cortis andrò io da
lei.
Oh giusto, oh giusto! No, no, c'è
proibizione.
Cortis trasse un biglietto di
visita, vi scrisse due parole a matita, poi lo stracciò.
Andate diss'egli, fatele sapere
che l'aspetto.
E rientrò nel salotto.
La cameriera tornò qualche tempo
dopo con questo scritto della signora Fiamma:
Sua madre è troppo agitata in
questo momento perché io possa scendere. Venga domattina alle otto. Prenda seco
il portafogli.
Santo Dio! esclamò Cortis. Ma
insomma, l'altra signora, non si può sapere come sta, che male ha? Perché non
la si può vedere stasera? E il medico quando viene? Chi è questo medico? Sa che
io la devo vedere? Fuori, parlate, dite qualche cosa. Non siete di casa voi?
Non sapete parlare, non sapete dir niente? Ma in nome di Dio, dunque!
Ssss! fece la cameriera la
malattia è di nervi. Sa, malattie di donne; non c'è mica pericolo, credo io. Ma
se Le ha detto che stasera non può vederla, è inutile. Venga domattina.
Ma il medico, il medico? Come si
chiama? Dove sta?
La cameriera nominò il dottor
M... Soggiunse che era fuori di Lugano e non sarebbe venuto, probabilmente, che
l'indomani sera.
Cortis prese il portafogli.
Riferite diss'egli alla vostra
padrona... Ma ditemi: qual è la vostra padrona?
Come, qual è?
Sì, è la signora Fiamma o
l'altra?
Ah! La signora Fiamma.
E l'altra? Come va che stanno
insieme?
Non so. Io sono in casa da due
mesi soli. Io credo che sieno state sempre insieme.
Da quanto tempo sono a Lugano?
Da tre o quattro mesi.
E l'altra signora, da quando è
malata?
Non sta mai bene. Da quando son
venuta io, è sempre stata sottosopra.
Cortis non poté cavar altro dalla
cameriera.
Riferite dunque concluse alla
vostra padrona, che avrei desiderato molto di rivederla stasera, e che le
restituirò le carte domattina.
La cameriera lo accompagnò col
lume al cancello.
A proposito diss'ella, la mia
padrona vorrebbe sapere dov'è alloggiato.
Al Panorama.
Colei fece una smorfia eloquente
e chiuse il cancello.
Cortis discese a gran passi,
portato da una piena di sensi diversi che non trovavano sfogo se non nella
azione veemente delle membra. Quella pittrice del granduca Leopoldo, che
repulsiva figura! Che profumeria di menzogna, in quella casa, e che nascosto
puzzo!
E sua madre, sua madre! Lo stesso
angoscioso dubbio ispiratogli dalla rettorica scritta della signora Fiamma, gli
si affacciava ora più angoscioso che mai. Amica d'una donna simile! Però il
dottor P... aveva ancora qualche stima e amicizia per lei quando le scriveva.
Ed ella, almeno allora, aveva sofferto, pianto e pregato. C'era da sperare. Ma
pure, tradire un uomo come suo padre!
Quando due opposte induzioni si
urtavano in lui, Cortis si fermava su due piedi, parlava ad alta voce, nella
notte. Quindi, sfogatosi alquanto, guardava i lumicini umili di Lugano,
l'austera passione muta delle montagne che nereggiavano sul cielo, e, più, in
fondo, il mistero del lago di cui non era possibile vedere il principio né la
fine. Ricordava un Lugano di mezzogiorno, pien di sole fra le colline e l'acqua
scintillante; non era questo. Gli pareva nuova perfin la punta dolomitica nello
sfondo di levante, quella minaccia ritta nel cielo; l'altra volta non l'aveva
veduta. Prima di rientrare all'albergo andò, lungo il lago, in città. Tutto era
deserto. I vapori ancorati tacevano in faccia alle case scure. Solo alcuni
forestieri fumavano e parlavano sul terrazzo dell'Hôtel Washington, dove
Cortis aveva alloggiato con suo padre nel settembre del 1868. Si fermò sul
ponte di sbarco dei vapori a guardar il bigio lago immobile e l'alto fantasma
del San Salvatore. Era disceso lì tredici anni prima, con tanta gente allegra,
un giorno di gran sole e di gran vento. Corse via, rientrò spossato, come
desiderava, al Panorama.
Quella notte, nei brevi momenti
in cui poté prender sonno, sognò ch'Elena gli conduceva sua madre per mano e
gli diceva: Confortala. Sua madre era piccina, bionda, aveva gli occhi celesti
e non parlava; non faceva che piangere.
Si alzò prima delle sei e scese
nel giardinetto dell'albergo dove un vecchio stava inaffiando i fiori. Il cielo
era puro, sul lago e sui monti vicini giocavan le luci oblique e le ombre
lunghe del mattino; e, nello sfondo di oriente, la punta dolomitica, circonfusa
di vapori azzurrini, non pareva più minacciosa. Cortis domandò conto al vecchio
giardiniere delle signore che abitavano da tre o quattro mesi un casino presso
Pazzallo. Non le conosceva; aveva conosciuto una signora che si divertiva a
dipingere e doveva abitare da quella parte. Era venuta più volte a far
colazione al Panorama; ora non veniva più perché il padrone, non
essendone stato pagato che i primi giorni, non ce la voleva. Più di così Cortis
non poté saperne. Gli era impossibile aspettar lì e prese la via del monte,
risoluto di raccogliere, prima delle otto, altre notizie. Incontrò dei
contadini che scendevano alla città con erbaggi e frutta, li interrogò; nessuno
gli seppe risponder nulla. Era quasi giunto al cancello rosso quando ne vide
uscire una lattivendola. La fermò, si fece dare un bicchier di latte. La donna
gli domandò sorridendo se volesse salire il San Salvatore. Cortis bevve e non
rispose.
Udite diss'egli. Siete voi che
portate il latte, di solito, a quel casino lì?
Sempre io.
Dunque conoscete le signore che
vi abitano?
Diamine!
E come si chiamano?
Mah! La serva è la signora
Barborina, e alla padrona gli dicono un certo nome che io non l'ho potuto
tenere a mente.
E l'altra signora?
Quale?
L'altra, l'amica della padrona.
Caro Lei disse la donna,
meravigliata, io non la conosco mica.
Ma se stanno insieme?
Ah, signor no, signor no; qui di
padrone non ce n'è che una.
Cosa? diss'egli. Non sapete che
c'è in casa una signora ammalata?
È ben sempre un po' sottosopra
anche quella pittora lì, ma di altre signore non ce n'è. Se però non è
arrivata ieri. L'altro dì sono stata là io tutto il giorno a lavorare
nell'orto.
La donna aveva un'aperta faccia
onesta e la voce della sincerità.
Va bene disse Cortis, pallido.
Andate pure.
Suonò al cancello. L'uscio del
salotto fu aperto a mezzo e richiuso subito. Nessuno comparve.
Cortis suonò una seconda, una
terza volta, sempre più forte, sempre inutilmente.
Un contadino che passava si fermò
a guardare.
Può ben tirar giù il campanello
diss'egli, se non vogliono aprire. Succede sempre così con quei malpaga lì.
Conoscete questa gente? domandò
Cortis.
Colui rispose che conosceva
benissimo la signora che lavorava di pittura. Era sola, aveva l'aria di una
strega e non pagava nessuno.
Cortis suonò per la quarta volta.
Finalmente la cameriera venne ad aprire.
Non son che sett'ore diss'ella:
eravamo a letto.
Egli entrò senza rispondere, e la
guardò in modo tale che colei allibì, e perdette le parole.
La vostra padrona? diss'egli. La
vostra padrona? Su, perché mi guardate? Perché non rispondete? È a letto? Bene,
le debbo parlare. Venite qua esclamò poi che la donna si fu allontanata. Come
sta l'altra signora?
Colei gli lesse negli occhi,
incominciò:
La colpa non è...
Fatemi entrare disse Cortis.
La colpa non è mia riprese
l'altra. Io dico quello che mi comandano.
Cortis le impose di tacere e di
precederlo.
Nell'entrare in salotto la
cameriera gli disse sottovoce:
Sono tre mesi che non ho avuto un
quattrino di salario.
Voi mentite per il vostro
piacere, dunque? rispose Cortis. La signora è in piedi e non a letto.
Qualcuno camminava nella stanza
superiore. In quello stesso momento si udì un tocco di campanello.
Chiama disse la Barbara
avviandosi.
Cortis la fermò.
Un momento diss'egli. Ha proprio
nome Fiamma, o no?
Barbara lo guardò sbalordita.
Ma come? Non ha capito? No no!
Quello lì è un nome così che ha inventato la signora. È proprio la mamma sua di
lei.
E tornava a incamminarsi.
Vado io diss'egli. Dov'è la
scala?
La trovò in fondo a un breve
corridoio dove un lumicino a petrolio ardeva davanti a parecchi santi, a
madonne d'ogni tipo e d'ogni colore. Metteva il piede sull'ultimo scalino
quando l'uscio in faccia si spalancò e la signora Fiamma, scapigliata, con le
vesti in disordine, apparve sulla soglia, gittò un grido.
Ah! lo vedo esclamò il cuore te
l'ha detto!
Giunse le mani, si buttava
ginocchioni quando Cortis l'afferrò alle braccia, la spinse in camera e chiuse
l'uscio dietro a sé. Ella smaniava, lottava per porsi in ginocchio, appuntava
le braccia alle spalle di suo figlio, rovesciando all'indietro e agitando il
capo. Cadde spossata sulla poltrona dove Cortis la spingeva.
Ho mentito diss'ella ansando affannosamente,
ti ho ingannato... non avevo il coraggio... di dirti subito... volevo
vederti... udirti... almeno un'ora... in pace!
Cortis, curvo sopra di lei, la
interruppe alle prime parole, le cacciò le mani sugli occhi, la baciò, con
impeto disperato e si strappò subito dalle braccia che gli si erano chiuse
intorno al collo. Colei restò con le braccia in aria, spaventata nella sua
gioia.
Daniele! diss'ella.
Non lo vide più davanti a lei, ne
udì la voce dietro la poltrona: la maschia voce armoniosa piena di dolore.
Scusate; ho baciato mia madre e
non volevo che voi mi vedeste.
La signora Fiamma tacque un
momento, poi disse sottovoce piangendo:
Non so che cosa tu voglia dire.
Cortis sospirò e non rispose.
Passarono alcuni momenti.
Qui c'è il vostro portafogli
diss'egli freddo.
Oh Daniele, Daniele! gemé la
signora a mani giunte. Non parlarmi così!
E scoppiò in singhiozzi.
Non ti ho ingannato che a metà
diss'ella. Soffro tanto! Ho ancor poco a vivere, sai, Daniele! Se non fosse
così non avrei mai osato scriverti. Dio è pietoso. Mi ha purificata con un
cumulo di dolori, di sventure da non potersi descrivere! Adesso non ne posso
più, non ne posso più. Mi hai fatto la misericordia di venire; cerca nel tuo
cuore una parola che mi lasci morir contenta!
Ma non capisci proruppe Cortis
con la più veemente passione, non capisci che non...
Che non ti credo, voleva dire. La signora aspettava,
livida, con gli occhi sbarrati, questa parola che non venne. La voce gli morì
sulle labbra aperte. Diè di piglio ad una sedia e, fattosi accanto a sua madre,
piantò la sedia a terra con tal impeto, da fracassarne quasi le quattro gambe.
Raccontatemi tutto diss'egli,
cadendovi su di peso. Tutto, sì, tutto da quel giorno in poi. Non lo potete?
esclamò con gli occhi scintillanti perché sua madre tardava a parlare.
Oh lo posso, lo posso rispose la
signora con un gesto drammatico. Sarà uno spasimo, ma lo posso, lo devo e lo
voglio!
Cortis credette riconoscere sua
madre in quel momento, meglio che per le carte del portafogli, meglio che per
una improvvisa memoria degli occhi noti alla sua infanzia. Pensò che nei loro
nervi vi era un po' dello stesso elettrico, benché forse sua madre adoperasse
il proprio per esperimenti da scena, e lui per il lampo ed il fulmine.
Ella gli fece un lungo racconto
sentimentale, bagnando nelle lagrime le sue vecchie frasi perché potessero
parer fresche.
La sua purificazione aveva
cominciato il giorno stesso del meritato castigo. Il dolore, i santi propositi,
la speranza, sì anche la speranza, non l'avean lasciata mai più. Uscendo dal
tetto domestico aveva invocata la compassione di pietosi parenti, n'era stata
raccolta. Ma quella vita era troppo molle di agi e di affetti; così non si
espiava! Per questo aveva abbandonate le care creature cui volesse Iddio rendere
misericordia per misericordia! La signora Cortis insistette molto su questo
particolare, temendo di certa calunniosa voce secondo la quale quelle care
creature l'avrebbero spinta, dopo tre mesi di prova, fuori dei loro agi e dei
loro affetti. Dio le aveva suggerito: Tu sai dipingere. Allora si era rivolta
all'arte e le aveva detto: Salvami!
Era andata a Roma, a copiare
nelle gallerie, per guadagno. Quindi la granduchessa di... l'aveva nominata sua
pittrice di Corte. Altri avrebbe forse detto il granduca, ma lei disse la
granduchessa. Del granduca disse solo ch'era morto pochi anni dopo, e
soggiunse che l'afflitta vedova, perduto l'amore delle belle arti, non aveva
più desiderato pittrici nella sua Corte. Parlava da un'ora, quando giunse a
questo punto. Forse per la stanchezza e la commozione; forse perché nei
racconti l'ultima parte è la più difficile, ella cominciò qui a turbarsi un
poco, a interrompersi con sospiri e gemiti. Lunghi, lunghi anni di patimenti
sfilarono, alquanto in disordine, davanti a Cortis, muto, accigliato. Erano
tutti i guai di una vita errante; mali strani cui nessun medico aveva
conosciuti mai; fatiche e bisogno.
Era venuta a Lugano alquanti mesi
addietro da Düsseldorf, perché i medici le avevano consigliato il clima
d'Italia. Le sue sofferenze, sopite per poco, si erano ridestate più gravi. Il
lavoro le era divenuto quasi impossibile. Allora, sentendosi venir meno nella
lotta durata oltre venticinque anni, vedendo accostarsi in fondo a una tenebra
di miseria l'ultimo suo giorno, aveva chiesto a Dio se il calice amaro non
fosse finalmente vuoto, se prima di morire non potrebbe vedere suo figlio. E
Dio le aveva dato il permesso di scrivergli, ma non il coraggio di farlo. Non
osando dirgli Sono tua madre, temendo non esser creduta o peggio, gli aveva
scritto come un'amica di lei, sotto il nome d'arte; un nome intemerato, quello;
oh sì!
Ella tacque e pianse. Cortis era
più scuro che commosso.
Soccorsi? diss'egli. Mai? Da mio
padre, voglio dire.
Mai. Mai niente; questo no.
Cortis aggrottò le sopracciglia.
Ella aveva detto questo no quasi volesse esprimerne un lamento e non osasse.
Cosa intendete dire? esclamò. Che
avrebbe dovuto soccorrervi?
Oh no, no rispose la signora fra
i singhiozzi.
Mio padre aveva già fatto molto
riprese Cortis. Nell'uscire di casa voi avete riavuta la vostra dote. Non è
vero?
Era ben poco diss'ella.
Una vampa salì al viso di Cortis.
Egli vedeva e sentiva sopra di sé lo sguardo di suo padre; non severo, ma vigile;
e aveva più che mai presenti tutti i dolori, tutte le offese che il giusto e
forte uomo si era proposto di nascondergli.
Mio padre è stato generoso
diss'egli. Del resto, nel vostro racconto vi hanno cose che non so spiegarmi.
Colei fu presa da convulsioni
violente e poi cadde in una spossatezza così profonda che non poteva né
parlare, né udir parola. Cortis l'assisté, insieme alla Barbara, con austero
volto e in silenzio.
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