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Antonio Fogazzaro
Il santo

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      • 7. Nel turbine del mondo.
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L’orologio di San Pietro suonò le otto. Benedetto lasciò un piccolo gruppo di persone allo sbocco della via di Porta Angelica, entrò solo nel colonnato del Bernini, si avviò lentamente verso il Portone di bronzo, sostò ad ascoltar il rumore delle fontane, a guardar i grappoli di fiamme dei quattro candelabri intorno all’obelisco, e tremolo, opaco sul volto della luna, il sommo getto della fontana di sinistra. Fra cinque, fra dieci minuti, forse fra un quarto d’ora egli si sarebbe trovato alla presenza del Papa. Il suo pensiero era fermo e vibrante in questo apice come nell’apice suo la saliente acqua viva della fontana. La piazza era vuota. Nessuno lo avrebbe visto entrare in Vaticano fuorché la corona spettrale dei Santi, ritti in faccia sopra il giro dell’altro colonnato. I Santi e le fontane gli dicevano insieme che a lui pareva di vivere un’ora solenne ma che questo atomo del tempo ed egli stesso ed il Pontefice passerebbero in breve, si perderebbero per sempre nel regno dell’oblio, continuando le fontane il loro monotono lamento e i Santi la loro tacita contemplazione. Egli sentiva invece che la parola della Verità è parola di vita eterna; e raccolto un’ultima volta in sé stesso, chiusi gli occhi, pregò intensamente, come da due giorni pregava, che lo Spirito gliela suscitasse, davanti al Papa, nel petto, gliela portasse alle labbra.

Egli aspettava qualcuno, fra le otto e le otto e un quarto. Le otto e un quarto erano suonate ma nessuno compariva. Si voltò a guardar il Portone di bronzo. Non n’era aperto che uno sportello e si vedeva luce nell’interno. Vi entravano di tempo in tempo, come spensierati moscerini nelle fauci di un leone, gruppetti di genterella minuta. Finalmente vi si affacciò dal di dentro un prete, accennando. Benedetto si avvicinò. Quegli disse:

«Lei viene per Sant’Anselmo

Era la domanda convenuta. Come Benedetto gli ebbe risposto di sì, il prete gli fece segno di entrare.

«Favorisca» diss’egli.

Benedetto lo seguì. Passarono fra le guardie pontificie che salutarono militarmente il prete. Svoltarono a destra, salirono la Scala Pia. All’entrata del Cortile di San Damaso altre guardie, altri saluti, un ordine del prete, dato sottovoce; Benedetto non lo intese. Attraversarono il Cortile lasciando a sinistra la porta della Biblioteca, a destra la porta per la quale si accede alle stanze del Papa. In alto, le vetrate delle logge sfavillavano alla luna. Benedetto, che ricordava un’udienza, avuta dal Pontefice defunto, si meravigliò della strana via che gli si faceva prendere. Attraversato il cortile in linea retta, il prete si avviò per l’andito stretto che conduce alla scaletta dei Mosaici, e si fermò davanti all’uscio che si apre a destra, ove scende la scala del Triangolo.

«Lei conosce il Vaticanodiss’egli.

«Conosco i musei e le logge» rispose Benedetto «e sono stato ricevuto dal predecessore del Pontefice attuale nel suo appartamento. Altro non conosco

«Qui non è stato mai?»

«Mai.»

Il prete si mise primo per la scaletta debolmente illuminata da lampadine elettriche. A un tratto, dove la prima branca della scaletta monta sur un pianerottolo, le lampadine si spensero. Benedetto, fermatosi con un piede sul pianerottolo, udì la sua guida salir di corsa una scala, a destra. Poi non udì più nulla. Pensò che la luce fosse mancata per caso, che il prete fosse salito per farla riaccendere. Attese. Nessun lume, nessun passo, nessuna voce. Montò sul pianerottolo; sentì a sinistra, tentando l’aria buia, una parete; procedette verso destra, sempre a tentoni; si accorse, urtandovi il piede, di due diverse branche di scala che salivano dal pianerottolo. Attese ancora, non dubitò che il prete non avesse a ritornare.

Ma cinque, dieci minuti passarono e il prete non ritornava. Che poteva essere accaduto? Si era voluto ingannarlo, deriderlo? Ma perché? Benedetto s’interdisse un sospetto inutile a discutere. Pensò invece al partito da prendere. Aspettare ancora non gli parve ragionevole. Era da ridiscendere? Era da salire? In quest’ultimo caso, per quale delle due vie? Si raccolse in sé stesso interrogando l’Onnipresente.

 Ridiscendere, no. Gli ripugnava. Salì a caso una delle scale, quella che conduce alle camere dei domestici. Era corta, Benedetto trovò subito un altro pianerottolo. Ora egli aveva udito il prete salir di corsa e di seguito molti scalini, il rumore de’ suoi passi si era perduto molto in alto. Ridiscese, tentò l’altra scala. Era più lunga. Il prete doveva avere salito quella. Decise di seguire il prete.

Giunto alla sommità, sbucò da una porticina in una loggia illuminata dalla luna. Si guardò attorno. A destra, quasi immediatamente, una cancellata partiva quella dalla loggia. Le due vi s’incontravano ad angolo retto. A sinistra la loggia terminava, alquanto lontano, a una porta chiusa. La luna piena batteva per le grandi vetrate sul pavimento, mostrava i fianchi del Cortile di San Damaso e nello sfondo, tra le due grandi ali scure del Palazzo, umili tetti, gli alberi di villa Celsi, le alture di Sant’Onofrio. Tanto la porta di sinistra quanto la cancellata di destra parevano chiuse. Benedetto guardò, guardò, a destra e a sinistra. Impronte antiche gli venivano ricomparendo poco a poco nella memoria. Sì, in quella loggia egli era stato ancora, aveva veduto quella cancellata recandosi con un suo conoscente, lettore della Vaticana, a visitare la Galleria delle lapidi, la via Appia del Vaticano. Ecco, sì, adesso ricordava bene. La porta di sinistra, in fondo alla loggia, doveva mettere agli appartamenti del cardinale segretario di Stato. La loggia oltre la cancellata era la loggia di Giovanni da Udine, le grandi finestre colle inferriate che mettevano nella loggia di Giovanni da Udine erano le finestre dell’appartamento Borgia, l’entrata della Galleria delle lapidi doveva aprirsi proprio nell’angolo. Allora presso la cancellata ci stava uno svizzero. Adesso non c’era nessuno. Tutto era deserto, a destra e a sinistra, tutto era silenzio.

A tentar la porta del cardinale segretario di Stato non era da pensare. Benedetto spinse la cancellata. Era aperta. Sostò, si trovò davanti all’entrata della Galleria delle lapidi. Stette ancora in ascolto. Silenzio profondo. Gli parve che una voce interna gli dicesse: «Sali, entraSalì, franco, i cinque gradini.

La via Appia del Vaticano, larga forse quanto l’antica, non aveva una lampada. Fiochi chiarori ne rigavano il pavimento, a intervalli, dalle finestre che fra le lapidi e i cippi e i sarcofaghi pagani guardano Roma. Da quelle della parete cristiana, che guardano il cortile del Belvedere, non entrava lume. Il fondo lontano, verso il museo Chiaramonti, si perdeva nelle tenebre più nere. Allora, sentendosi nel tacito cuore del Vaticano immenso, Benedetto ebbe un assalto di terrore sacro. Si accostò a una grande finestra onde si vedeva Castel Sant’Angelo, infiniti dispersi lumi nel piano, e all’orizzonte, più alti, più splendenti, quelli del Quirinale. La vista, non di Roma illuminata, ma di una panca bassa e sottile, coperta di tela verde, che correva lungo i cippi e i sarcofaghi, gli quietò lo spirito. Intravvide poi nell’ombra un padiglione mezzo disfatto. Che poteva essere? Anche lungo la parete opposta correva una panca eguale all’altra. Procedendo, urtò in qualche cosa che trovò essere un seggiolone a bracciuoli. Adesso al terrore era sottentrato un proposito sicuro. La interna voce imperiosa che gli aveva prima detto di entrare, ora gli diceva: «procedi». Glielo disse così chiaro, così forte, che un subito bagliore gl’illuminò la memoria.

Si percosse la fronte. Nella Visione egli si era visto a colloquio col Papa. Questo non lo aveva potuto dimenticare mai. Bensì aveva dimenticato, e adesso glienera ritornata la memoria in un lampo, che lo guidava per il Vaticano al Papa uno spirito. Procedette lungo la parete di sinistra presso la quale aveva urtato nel seggiolone. Si teneva sicuro che giunto al fondo della Galleria avrebbe trovato un’uscita e, finalmente, luce. Che nel fondo ci fosse il cancello del museo Chiaramonti non ricordava. Procedeva appoggiando spesso la mano alla parete, alle lapidi. A un tratto sentì che non toccava più né marmomuro. Batté leggermente la parete col pugno. Era legno, una porta. Si fermò involontariamente, sospeso. Un passo suonò dall’interno, una chiave girò nella toppa, una lama di luce fendette di sghembo la Galleria, si allargò; comparve una figura nera, il prete che aveva abbandonato Benedetto sulla scala. Egli uscì con un atto rapido, richiuse la porta, disse a Benedetto come se niente fosse stato:

«Lei sta per trovarsi alla presenza di Sua Santità

Lo fece entrare e chiuse la porta daccapo, rimanendo fuori.

Benedetto, entrando, non vide che un tavolino, una lucernetta col paralume verde, una figura bianca seduta in faccia a lui, dietro il tavolino. Cadde ginocchioni.

La Figura Bianca stese un braccio e disse:

«Alzati. Come sei venuto?»

Il viso incorniciato di capelli grigi, singolarmente dolce, aveva una espressione di stupore. La voce, dall’accento meridionale, era commossa.

Benedetto si alzò e rispose:

«Dal Portone di bronzo fino a un luogo che non so indicare sono venuto col sacerdote che stava presso Vostra Santità; poi sono venuto solo.»

«Conoscevi il Vaticano? Ti hanno detto che mi avresti trovato qui?»

Quando Benedetto gli ebbe risposto che aveva visitato anni prima i musei vaticani, le logge e la Galleria lapidaria una sola volta, che alla logge non era salito dal Cortile di San Damaso, che non sapeva affatto dove avrebbe trovato il Sommo Pontefice, questi tacque un momento, pensoso; poi disse benignamente, affettuosamente, indicandogli una sedia in faccia a lui:

«Siedi, figlio mio.»

Se Benedetto non fosse stato assorto nel volto ascetico e benigno del Papa, avrebbe, mentre il suo angusto interlocutore stava raccogliendo alcune carte sparse sul tavolino, girato lo sguardo non senza meraviglia per quella strana sala di ricevimento, un polveroso caos di vecchi quadri, di vecchi libri, di vecchi mobili, un’anticamera, si sarebbe detto, di qualche biblioteca, di qualche museo dove si fossero intraprese opere di riordino. Ma egli era assorto nel volto del Papa, nel magro, cereo volto che aveva una espressione ineffabile di purezza e di bontà. Si avvicinò, piegò il ginocchio, baciò la mano che il Santo Padre gli stese dicendo con gravità soave:

«Non mihi, sed Petro.»

Quindi sedette. Il Papa gli porse un foglio, gli avvicinò la lucernetta.

«Guarda» diss’egli. «Conosci la scrittura

Benedetto guardò, trasalì, non poté frenare un’esclamazione di mesta riverenza.

«Sì» rispose «è la scrittura di un santo prete che ho molto amato, che è morto e si chiamava don Giuseppe Flores

Sua Santità riprese:

«Adesso leggi. Ad alta voce

Benedetto lesse.

 

«Monsignore

 

Affido al mio Vescovo il plico suggellato, chiuso insieme a questo foglietto in una busta recante l’indirizzo a Lei. Lo lasciò a me per essere aperto dopo la sua morte, come sopra vi è scritto, il signor Piero Maironi, ben conosciuto da Lei, prima di scomparire dal mondo. S’egli ancora viva o sia passato di vitaso né ho modo di sapere. Il plico deve contenere il racconto di una visione di carattere soprannaturale che il Maironi ebbe nel ritornare a Dio dal fuoco di una passione colpevole. Sperai allora che Iddio lo avesse veramente eletto per ministro di qualche singolare opera Sua. Sperai che la santità dell’opera verrebbe confermata dopo la morte del Maironi dalla lettura di questo documento, che se ne rivelerebbe un carattere profetico. Lo sperai benché mi fossi studiato, per prudenza di nascondere al Maironi stesso la mie speranze segrete.

Due anni sono trascorsi dal giorno in cui egli scomparve e nulla si è mai saputo di lui. Quando Monsignore, ella starà leggendo quello che adesso io scrivo, sarò scomparso anch’io. La prego di volersi sostituire a me in questa custodia religiosa. Ella ne disporrà secondo la coscienza Sua come crederà meglio.

E preghi per l’anima del

Suo povero

don Giuseppe Flores

 

Benedetto depose lo scritto e guardò il Pontefice in viso, aspettando.

«Sei tu Pietro Maironidisse questi.

«Sì, Santità

Il Pontefice sorrise con bontà.

«Intanto» diss’egli «mi rallegro che vivi. Quel Vescovo ti suppose morto, aperse il plico e credette di doverlo rimettere al Vicario di Cristo. Questo avvenne circa sei mesi sono, vivendo il mio santo Predecessore che ne parlò ad alcuni cardinali e anche a me. Poi si è saputo che vivevi, e dove e come. Ora ti devo movere alcune domande. Ti esorto a rispondermi la esatta verità

Il Pontefice fermò gli occhi gravi negli occhi di Benedetto che piegò lievemente il capo.

«Qui hai scritto»diss’egli «che stando in quella piccola chiesa veneta ti sei visto in Vaticano a colloquio col Papa. Cosa ricordi di questa parte della tua visione

«La mia visione» rispose Benedetto «nel tempo che passai a Santa Scolastica, circa tre anni, mi si venne spezzando nelle memoria, anche perché il mio maestro spirituale di Santa Scolastica, come il povero don Giuseppe Flores, mi ha sempre consigliato di non tenerne conto. Alcune parti ne restano nette, altre si oscurarono. Che mi ero veduto in Vaticano a fronte del Sommo Pontefice, mi restò sempre fisso nella mente; ma non più di così. Invece, pochi momenti sono, nella galleria buia dalla quale sono entrato qua, mi risovvenni improvvisamente che nella Visione io ero guidato al Pontefice da uno spirito. Me ne risovvenni quando trovandomi solo, di notte, al buio, in un luogo ignoto o quasi ignoto perché c’ero stato una volta sola molti anni addietro, senz’avere un’idea della direzione che avrei dovuto tenere, fui per ritornare sui miei passi e una voce interna, molto chiara, molto forte, mi disse di andare avanti.»

«E quando hai bussato alla porta» chiese il Papa «sapevi di trovarmi qui? Sapevi di bussare alla porta della Biblioteca

«No, Santità. Non intendevo neppure di bussare. Ero al buio, non vedevo niente, intendevo di saggiare colla mano la parete

Il Papa stette alquanto sopra pensiero e poi osservò che nel manoscritto ci stava pure: «prima mi guidava un uomo vestito di nero.» Di questo, Benedetto non aveva memoria.

«Sai» riprese il Papa «che il profetare non è, per sé solo, sufficiente prova di santità. Sai che si possono avere, che si sono avute visioni profetiche, non dico per opera di spiriti maligni, noi ne sappiamo troppo poco per poterlo dire, ma insomma per effetto di forze occulte, forze insite alla natura umana, le quali, a ogni modo, non hanno che fare colla santità. Puoi dirmi le disposizioni dell’anima tua quando hai avuto la Visione

«Sentivo» rispose Benedetto «un amarissimo dolore di essermi allontanato da Dio, di averne respinto i richiami, una gratitudine infinita per la Sua paziente bontà, un infinito desiderio di Cristo. Mi ero appena viste nella mente, proprio viste, proprio distinte, bianche sopra un fondo nero, queste parole del Vangelo che prima, nel tempo buono, mi erano state tanto care: «Magister adest et vocat teDon Giuseppe Flores celebrava e la Messa era presso alla fine quando, stando in preghiera, con gli occhi coperti dalle mani, ebbi la Visione; ma istantanea, fulminea

Benedetto ansava nel ritorno violento delle memorie.

«Ha potuto essere un’illusione» diss’egli «Opera di spiriti maligni, no.»

«Gli spiriti maligni» disse il Pontefice «possono trasfigurarsi in angeli di luce. Possono avere operato allora contro lo spirito buono ch’era in te. Ti sei inorgoglito poi, di questa visione

Benedetto piegò il capo e pensò alquanto.

«Forse una volta» diss’egli «per un momento, a Santa Scolastica, quando il mio maestro, a nome dell’Abate, mi offerse una veste di converso, la veste che poi mi fu tolta a Jenne. Allora pensai per un momento che questa offerta inattesa confermasse l’ultima parte della Visione e n’ebbi un moto di compiacenza, mi stimai oggetto di una predilezione divina. Ne domandai subito perdono a Dio e adesso ne domando perdono a Vostra Santità

Il Pontefice non parlò, ma la sua mano si alzò spiegata e ridiscese in un atto di indulgenza. Egli si diede poi a maneggiare le carte diverse che aveva sul tavolino, parve consultarne attentamente più d’una. Quindi le posò, le raccolse, le fece da banda, riprese a parlare.

«Figlio mio» diss’egli «ti devo domandare altre cose. Hai nominato Jenne. Io neppure non sapevo che esistesse, questo Jenne. Me lo hanno descritto. Diciamo il vero, non si capisce perché tu ti sia andato a cacciare a Jenne

Benedetto sorrise lievemente ma non volle discolparsi, interrompere il Papa, il quale continuò:

«È stata un’idea disgraziata, perché chi può dir bene cosa succede a Jenne? Sai di aver avuto lassù della gente che ti vedeva di mal occhio

Benedetto pregò semplicemente Sua Santità che lo dispensasse dal rispondere.

«Ti capisco» rispose il Papa «e debbo dire che la tua preghiera è cristiana. Tu non dirai niente ma io non posso tacere che sei stato accusato di molte cose. Lo sai

Benedetto sapeva di un’accusa sola o almeno ne dubitava. Il Papa aveva l’aria più imbarazzata di lui. Egli era sereno.

«Ti accusano» ripigliò il Papa «di esserti spacciato, a Jenne, per un taumaturgo e di essere stato causa, per questi tuoi vanti, che un disgraziato morisse in casa tua. Si arriva persino a dire ch’egli è morto per certi beveraggi che gli hai dati. Ti accusano di aver predicato al popolo piuttosto da protestante che da cattolico e anche...»

Il Santo Padre esitò. Al suo pudore verginale ripugnava persino accennare a certe cose.

«Di relazioni non lecite» disse «con la maestra del paese. Cosa rispondi, figlio mio?»

«Santo Padre» rispose Benedetto, tranquillo, «lo Spirito risponde per me nel Suo cuore

Il Pontefice lo guardò, attonito, ma non solamente attonito; anche un poco turbato, come se Benedetto gli avesse letto nell’anima. Il viso gli si dipinse di un lieve rossore.

«Spiegati» diss’egli.

«Iddio mi dona di leggere nel Suo cuore che Lei non crede ad alcuna di quelle accuse

A queste parole di Benedetto il Papa contrasse lievemente le sopracciglia.

«Adesso» riprese Benedetto «Vostra Santità pensa che io mi attribuisca una chiaroveggenza miracolosa. No, è una cosa che vedo nel Suo viso, che sento nella Sua voce, da povero uomo comune quale sono.»

«Forse tu sai» esclamò il Papa«chi è stato in questi giorni da me!»

Egli aveva fatto chiamare a Roma l’arciprete di Jenne, lo aveva interrogato su Benedetto. L’arciprete, trovato un Papa di suo genio, un Papa ben diverso dai due zelanti che lo avevano intimorito a Jenne, non aveva perduta l’occasione di mettersi facilmente in pace colla propria coscienza, aveva dato sfogo ai rimorsi lodando e rilodando. Benedetto non ne sapeva niente.

«No» rispose «non lo so

Il Pontefice tacque, ma il suo viso, le mani, la intera persona, tradivano una viva inquietudine. Egli si abbandonò finalmente sulla spalliera della seggiola, chinò il capo sul petto, stese le braccia al tavolino e appoggiatevi le mani, una presso all’altra, pensò.

Mentre pensava, immobile, fissi gli occhi nel vuoto, la fiamma della lucernina a petrolio salì fumigando, rossa, nel tubo. Egli non se n’avvide subito. Quando se n’avvide la regolò e poi ruppe il silenzio.

«Credi tu» diss’egli «avere veramente una missione

Benedetto rispose, con una espressione di fervore umile:

«Sì, lo credo

«E perché lo credi

«Santità, perché ciascuno viene al mondo con una missione scritta nella sua natura. Quand’anche non avessi avuto visioni né altri segni straordinari, la mia natura ch’è religiosa mi imporrebbe il dovere di un’azione religiosa. Come posso dirlo? Ecco, lo dirò...» Qui la voce di Benedetto tremò di emozione «...come non l’ho detto a nessuno. Io credo, io so che Dio è il nostro Padre di tutti, ma io sento nella mia natura la Sua paternità. Quasi non è un dovere il mio, è un sentimento di figlio

«E credi avere il còmpito di esercitarla qui, adesso, un’azione religiosa

Benedetto giunse le mani come se implorasse già di venire ascoltato.

«Sì» diss’egli «anche qui, anche adesso

Ciò detto, pose un ginocchio a terra tenendo sempre giunte le mani.

«Alzati» disse il Santo Padre. «Di’ liberamente quello che lo Spirito ti consiglia

Benedetto non si alzò.

«Mi perdoni» diss’egli «io devo parlare al solo Pontefice e qui non mi ascolta il solo Pontefice

Il Papa trasalì, lo interrogò con gli occhi, severo.

Benedetto porse un poco il mento, inarcando le sopracciglia, verso una porta grande alle spalle del Papa.

Questi prese un campanello di argento che stava sul tavolino, accennò imperiosamente a Benedetto di alzarsi e suonò. Ricomparve dalla porta della Galleria il prete di prima. Il Papa gli ordinò di far venire in Galleria don Teofilo, il cameriere fedele che aveva portato con sé dalla sua sede arcivescovile del Mezzogiorno. Venuto don Teofilo, egli andrebbe ad attendere Sua Santità nelle sale della Biblioteca.

«Ripasserai di qua» diss’egli.

Parecchi minuti trascorsero nell’attesa silenziosa che colui rientrasse. Il Pontefice, pensoso, non alzò mai gli occhi dal tavolino. Benedetto, in piedi, teneva chiusi i suoi. Li aperse quando rientrò il prete. Uscito che fu costui per la porta sospetta, il Papa accennò con la mano e Benedetto parlò, a voce bassa. Il Pontefice lo ascoltava stringendo i bracciuoli della sedia, pôrta in avanti la persona e chino il viso.

«Santo Padre» disse Benedetto «la Chiesa è inferma. Quattro spiriti maligni sono entrati nel suo corpo per farvi guerra allo Spirito Santo. Uno è lo spirito di menzogna. Anche lo spirito di menzogna si trasfigura in angelo di luce e molti pastori, molti maestri della Chiesa, molti fedeli buoni e pii ascoltano devotamente lo spirito di menzogna credendo ascoltare un angelo. Cristo ha detto: «io sono la Verità» e molti nella Chiesa, anche buoni, anche pii, scindono la Verità nel loro cuore, non hanno riverenza per la Verità che non chiamano religiosa, temono che la verità distrugga la verità, pongono Dio contro Dio, preferiscono le tenebre alla luce e così ammaestrano gli uomini. Si dicono fedeli e non comprendono quanto scarsa e codarda è la loro fede, quanto è loro straniero lo spirito dell’apostolo che tutto scruta. Adoratori della lettera, vogliono costringere gli adulti a un cibo d’infanti che gli adulti respingono, non comprendono che se Dio è infinito e immutabile, l’uomo però se ne fa un’idea sempre più grande di secolo in secolo e che di tutta la Verità Divina si può dire così. Essi sono causa di una funesta perversione della Fede, che corrompe tutta la vita religiosa; perché il cristiano che con uno sforzo si è piegato ad accettare quello ch’essi accettano e a respingere quello che respingono, crede aver già fatto il più per servire Iddio, mentre ha fatto meno che niente e gli resta di vivere la fede nella parola di Cristo, nella dottrina di Cristo, gli resta di vivere il fiat voluntas tua, che è tutto. Santo Padre, oggi pochi cristiani sanno che la religione non è principalmente adesione dell’intelletto a formole di verità ma che è principalmente azione e vita secondo questa verità, e che alla fede vera non rispondono solamente doveri religiosi negativi e obblighi verso l’autorità ecclesiastica. E quelli che lo sanno, quelli che non scindono la Verità nel loro cuore, quelli che hanno il culto supremo di Dio verità, che ardono di una fede impavida in Cristo, nella Chiesa e nella Verità, ne conosco, Santo Padre!, quelli sono combattuti acremente, sono diffamati come eretici, sono costretti al silenzio, tutto per opera dello Spirito di menzogna, che lavora da secoli nella Chiesa una tradizione d’inganno per la quale coloro che oggi lo servono si credono di servire Iddio, come lo credettero i primi persecutori dei cristiani. Santità...»

Qui Benedetto pose un ginocchio a terra. Il Papa non si mosse. Pareva aver abbassato il capo ancora di più. Il zucchetto bianco era quasi tutto nel lume della lucernina.

«...io ho letto proprio oggi grandi parole di Lei ai Suoi diocesani antichi, sulla molteplice rivelazione di Dio Verità nella Fede e nella Scienza, e anche direttamente, misteriosamente, nell’anima umana. Santo Padre, molti, moltissimi cuori di sacerdoti e di laici appartengono allo Spirito Santo; la Spirito di menzogna non ha potuto entrarvi neppure sotto una veste angelica. Dica una parola, Santo Padre, faccia un atto che rialzi questi cuori devoti alla Santa Sede del Pontefice romano! Onori davanti a tutta la Chiesa qualcuno di questi uomini, di questi sacerdoti che sono combattuti dallo Spirito di menzogna, ne sollevi qualcuno all’episcopato, ne sollevi qualcuno al Sacro Collegio! Anche questo, Santo Padre! Consigli esegeti e teologi, se è necessario, a camminare prudenti poiché la scienza non progredisce che a patto di essere prudente; ma non lasci colpire dall’Indice né dal Sant’Uffizio per qualche soverchio ardimento uomini che sono l’onore della Chiesa, che hanno la mente piena di Verità e il cuore pieno di Cristo, che combattono per difesa della fede cattolica! E poiché Vostra Santità ha detto che Iddio rivela le sue verità anche nel segreto delle anime, non lasci moltiplicare le divozioni esterne, che bastano, raccomandi ai Pastori la pratica e l’insegnamento della preghiera interiore

Benedetto tacque un momento, spossato. Il Papa alzò il viso, guardò l’uomo inginocchiato che lo fissava con occhi dolorosi, luminosi sotto le sopracciglie contratte, vibrando nelle mani giunte dove si appuntava lo sforzo dello spirito. Il viso del Papa tradiva una commozione intensa. Egli voleva dire a Benedetto che si alzasse, che sedesse; e non parlò per timore di tradire la commozione anche nella voce. Insistette a cenni, tanto che Benedetto si alzò e presa la sua seggiola, appoggiatevi alla spalliera le mani ancora giunte, ricominciò a parlare.

«Se il clero insegna poco al popolo la preghiera interiore che risana l’anima quanto certe superstizioni la corrompono, è per causa del secondo spirito maligno che infesta la Chiesa trasfigurato in angelo di luce. Questo è lo spirito di dominazione del clero. A quei sacerdoti che hanno lo spirito di dominazione non piace che le anime comunichino direttamente e normalmente con Dio per domandarne consiglio e direzione. A buon fine! Il Maligno inganna, così la loro coscienza; a buon fine! Ma le vogliono dirigere essi in qualità di mediatori e queste anime diventano fiacche, timide, servili. Non saranno molte, forse; i peggiori maleficî dello spirito di dominazione sono diversi. Egli ha soppressa l’antica santa libertà cattolica. Egli cerca fare all’obbedienza, anche quando non è dovuta per legge, la prima delle virtù. Egli vorrebbe imporre sottomissioni non obbligatorie, ritrattazioni contro coscienza, dovunque un gruppo d’uomini si associa per un’opera buona prenderne il comando, e, se declinano il comando, rifiutar loro l’aiuto. Egli tende a portare l’autorità religiosa anche fuori del campo religioso. Lo sa l’Italia, Santo Padre. Ma cosa è l’Italia? Non è per essa che io parlo, è per tutto il mondo cattolico. Santo padre, Ella forse non lo avrà provato ancora, ma lo spirito di dominazione vorrà esercitarsi anche sopra di Lei. Non ceda, Santo Padre! Ella è il Governatore della Chiesa, non permetta che altri governi Lei, non sia il Suo potere un guanto per invisibili mani altrui. Abbia consiglieri pubblici e siano i vescovi raccolti spesso nei Concilii nazionali e faccia partecipare il popolo alla elezione dei vescovi scegliendo uomini amati e riveriti dal popolo, e i vescovi si mescolino al popolo non solamente per passare sotto archi di trionfo e farsi salutare dal suono delle campane ma per conoscere le turbe e per edificarle a imitazione di Cristo, invece di starsene chiusi da principi orientali negli episcopii, come tanti fanno. E lasci loro tutta l’autorità che è compatibile con quella di Pietro!

Santità, posso parlare ancora?»

Il Papa, che da quando Benedetto aveva ricominciato a parlare gli teneva gli occhi in viso, rispose con un lieve abbassar del capo.

«Il terzo spirito maligno» riprese Benedetto «che corrompe la Chiesa, non si trasfigura in angelo di luce perché saprebbe di non poter ingannare, si accontenta di vestire una comune onestà umana. È lo spirito di avarizia. Il Vicario di Cristo vive in questa reggia come visse nel suo episcopio, con un cuore puro di povero. Molti Pastori venerandi vivono nella Chiesa con eguale cuore, ma lo spirito di povertà non vi è bastantemente insegnato come Cristo lo insegnò, le labbra dei ministri di Cristo sono troppo spesso compiacenti ai cupidi dell’avere. Quale di essi piega la fronte con ossequio a chi ha molto solamente perché ha molto, quale lusinga con la lingua chi agogna molto, e il godere la pompa e gli onori della ricchezza, l’aderire con l’anima alle comodità della ricchezza pare lecito a troppi predicatori della parola e degli esempî di Cristo. Santo padre, richiami il clero a meglio usare verso i cupidi dell’avere, sieno ricchi, sieno poveri, la carità che ammonisce, che minaccia, che rampogna. Santo Padre

Benedetto tacque, fissando il Papa con una espressione intensa di appello.

«Ebbene?» mormorò il Papa.

Benedetto allargò le braccia e riprese:

«Lo Spirito mi sforza a dire di più. Non è opera di un giorno ma si prepari il giorno e non si lasci questo còmpito ai nemici di Dio e della Chiesa, si prepari il giorno in cui i sacerdoti di Cristo dieno l’esempio della effettiva povertà, vivano poveri per obbligo come per obbligo vivono casti, e servano loro di norma per questo le parole di Cristo ai Settantadue. Il Signore circonderà gli ultimi fra loro di tale onore, di tale riverenza quale ora non è nel cuore della gente intorno ai Principi della Chiesa. Saranno pochi ma la luce del mondo. Santo Padre, lo sono essi oggi? Qualcuno lo è; i più non sono né lucetenebre

Qui, per la prima volta, il Pontefice assentì del capo mestamente.

«Il quarto spirito maligno» proseguì Benedetto «è lo spirito d’immobilità. Questo si trasfigura in angelo di luce. Anche i cattolici, ecclesiastici e laici, dominati dallo spirito d’immobilità credono piacere a Dio come gli ebrei zelanti che fecero crocifiggere Cristo. Tutti i clericali, Santità, anzi tutti gli uomini religiosi che oggi avversano il cattolicismo progressista, avrebbero fatto crocifiggere Cristo in buona fede, nel nome di Mosè. Sono idolatri del passato, tutto vorrebbero immutabile nella Chiesa, sino alle forme del linguaggio pontificio, sino ai flabelli che ripugnano al cuore sacerdotale di Vostra Santità, sino alle tradizioni stolte per le quali non è lecito a un cardinale di uscire a piedi e sarebbe scandaloso che visitasse i poveri nelle loro case. È lo spirito d’immobilità che volendo conservare cose impossibili a conservare ci attira le derisioni degl’increduli; colpa grave davanti a Dio

Il petrolio veniva mancando nella lucerna, il cerchio delle tenebre si stringeva, si addensava intorno e sopra la breve sfera di luce in cui si disegnavano, l’una in faccia all’altra, la bianca figura del Pontefice seduto e la bruna di Benedetto in piedi.

«Contro lo spirito d’immobilità» disse questi «io la supplico di non permettere che sieno posti all’Indice i libri di Giovanni Selva

Quindi, posta la seggiola da banda, s’inginocchiò nuovamente, stese le mani al Pontefice, parlò più trepido e più acceso:

«Vicario di Cristo, io La scongiuro di un’altra cosa. Sono un peccatore indegno di venire paragonato ai Santi ma lo Spirito di Dio può parlare anche per la bocca più vile. Se una donna ha potuto scongiurare un Papa di venire a Roma, io scongiuro Vostra santità di uscire dal Vaticano. Uscite, Santo Padre; ma la prima volta, almeno la prima volta, uscite per un’opera del vostro ministero! Lazzaro soffre e muore ogni giorno, andate a vedere Lazzaro. Cristo chiama soccorso in tutte le povere creature umane che soffrono. Ho vista dalla Galleria delle lapidi i lumi che fronteggiano un altro palazzo di Roma. Se il dolore umano chiama in nome di Cristo, si risponderà forse: «no» ma si va. Dal Vaticano si risponde «sì» a Cristo, ma non si va. Che dirà Cristo, Santo Padre, nell’ora terribile? Queste parole mie, se fossero conosciute dal mondo, mi frutterebbero vituperî da chi più si professa devoto al Vaticano; ma per vituperi e fulmini che mi si scagliassero non griderei io fino alla morte: che dirà Cristo? Che dirà Cristo? A Lui mi appello

La fiammella della lucerna mancava, mancava; nella breve sfera di luce fioca che le tenebre premevano non si vedeva quasi più di Benedetto che le mani stese, non si vedeva quasi più del Papa che la destra posata sul campanello d’argento. Appena Benedetto tacque, il Santo Padre gli ordinò di alzarsi, poi scosse il campanello due volte. La porta della Galleria si aperse, entrò il fido cameriere già popolare in Vaticano col nome di don Teofilo.

«Teofilo» disse il Papa, «in Galleria, è riaccesa la luce

«Sì, Santità

«Allora passa in Biblioteca dove troverai monsignore. Digli che venga qua, che mi aspetti. E tu provvedigli un’altra lucerna

Ciò detto, Sua Santità si alzò. Era piccolo di statura e tuttavia un po’ curvo. Mosse verso la porta della Galleria accennando a Benedetto di seguirlo. Don Teofilo uscì dalla parte opposta. Triste presagio, nella buia sala dov’eran corse tante fiammelle di parole accese dallo Spirito, non rimase che la piccola lucernina morente.

 

 

La Galleria delle lapidi, dove il Papa e Benedetto vi entrarono, era semibuia. Ma nel fondo una grande lampada a riflettore illuminava l’iscrizione commemorativa a destra della porta che mette nella loggia di Giovanni da Udine. Fra le grandi ali di lapidi schierate da capo a fondo della Galleria, che guardavano l’oscuro dibattito delle due anime viventi come testimoni muti che già conoscessero i misteri di oltre tomba e del giudizio divino, il Papa si avanzava lento, silenzioso, seguito, un passo indietro e a sinistra, da Benedetto. Sostò un momento presso il torso del fiume Oronte, guardò dalla finestra. Benedetto si domandò se guardasse i lumi del Quirinale, palpitò, attendendo una parola. La parola non venne. Il Papa riprese, tacendo sempre, il suo lento andare, con le mani congiunte dietro il dorso, e il mento appoggiato al petto. Sostò presso al fondo, nella luce della grande lampada; parve incerto se ritornare o procedere. A sinistra della lampada la porta della Galleria si apriva sopra uno sfondo di notte, di luna, di colonne, di vetri, di pavimento marmoreo. Il Papa si avviò a quella volta, scese i cinque gradini. La luna batteva per isghembo sul pavimento rigato dalle ombre nere delle colonne, tagliato in fondo alla loggia dall’obliquo profilo dell’ombra piena, dentro la quale mal si discerneva il busto di Giovanni.

Il Papa percorse la loggia fino a quell’ombra, vi entrò, vi si trattenne. Intanto Benedetto, fermatosi molti passi indietro per non avere l’aria di premere irriverentemente nel desiderio di una risposta, mirava l’astro veleggiante fra nuvole grandi su Roma. Mirando l’astro, domandò a sé, a qualche Invisibile che gli fosse vicino, quasi anche allo stesso volto severo e triste della luna, se avesse troppo osato, male osato. Si pentì subito del suo dubbio. Aveva forse parlato egli? Oh no, le parole gli erano venute alle labbra senza meditazione, aveva parlato lo Spirito. Chiuse gli occhi in uno sforzo di preghiera mentale ancora levando la faccia verso l’astro, come un cieco che porgesse il viso avido al divinato splendore di argento.

Una mano lo toccò lievemente sulla spalla. Trasalì e aperse gli occhi. Era il Papa e il suo viso diceva come avesse finalmente maturate nel pensiero parole che lo appagavano. Benedetto chinò il capo rispettosamente ad ascoltarlo.

«Figlio mio» disse Sua Santità «alcune di queste cose il Signore le ha dette da gran tempo anche nel cuore mio. Tu, Dio ti benedica, te la intendi col Signore solo; io devo intendermela anche cogli uomini che il Signore ha posto intorno a me perché io mi governi con essi secondo carità e prudenza; e devo sovratutto misurare i miei consigli, i miei comandi, alle capacità diverse, alle mentalità diverse di tanti milioni di uomini. Io sono un povero maestro di scuola che di settanta scolari ne ha venti meno che mediocri, quaranta mediocri e dieci soli buoni. Egli non può governare la scuola per i soli dieci buoni e io non posso governare la Chiesa soltanto per te e per quelli che somigliano a te. Vedi, per esempio; Cristo ha pagato il tributo allo Stato e io, non come Pontefice ma come cittadino, pagherei volentieri il mio tributo di omaggio in quel palazzo di cui hai veduto i lumi, se non temessi di offendere così i sessanta scolari, di perdere anche una sola delle loro anime che mi sono preziose come le altre. E così sarebbe se io facessi togliere certi libri dall’Indice, se chiamassi nel Sacro Collegio certi uomini che hanno fama di non essere rigidamente ortodossi, se, scoppiando un’epidemia, andassi, ex abrupto, a visitare gli ospedali di Roma

«Oh Santitàesclamò Benedetto «mi perdoni ma non è sicuro che queste anime disposte a scandolezzarsi del Vicario di Cristo per ragioni simili poi si salvino, e invece è sicuro che si acquisterebbero tante altre anime le quali non si acquistano

«E poi» continuò il Papa come se non avesse udito «sono vecchio, sono stanco, i cardinali non sanno chi hanno messo qui, non volevo. Sono anche ammalato, ho certi segni di dover presto comparire davanti al mio Giudice. Sento, figlio mio, che tu hai lo spirito buono ma il Signore non può volere da un poveruomo come me le cose che tu dici, cose a cui non basterebbe neppure un Pontefice giovine e valido. Però vi sono cose che anch’io, con il Suo aiuto, potrò fare; se non le cose grandi, almeno altre cose. Le cose grandi preghiamo il Signore che susciti chi a loro tempo le sappia fare e chi sappia bene aiutare a farle. Figlio mio, se io mi metto da stasera a trasformare il Vaticano, a riedificarlo, dove trovo poi Raffaello che lo dipinga? E neppure questo Giovanni? Non dico però di non fare niente.»

Benedetto era per replicare. Il Pontefice, forse per non volersi spiegare di più, non gliene lasciò né il modo né il tempo, gli fece una domanda gradita.

«Tu conosci Selva» diss’egli. «Privatamente, che uomo è?»

«È un giusto» si affrettò a rispondere Benedetto. «Un gran giusto. I suoi libri sono stati denunciati alla Congregazione dell’Indice. Forse vi si troveranno alcune opinioni ardite ma non vi è confronto fra la religiosità calda e profonda dei libri di Selva e il formalismo freddo, misero di altri libri che corrono, più del Vangelo, per le mani del clero. Santo Padre, la condanna di Selva sarebbe un colpo alle energie più vive e più vitali del Cattolicismo. La Chiesa tollera migliaia di libri ascetici stupidi che rimpiccioliscono indegnamente l’idea di Dio nello spirito umano; non condanni questi che la ingrandiscono

Le ore suonarono da lontano. Nove e mezzo. Sua Santità prese tacendo una mano di Benedetto, la chiuse fra le sue, gli fece intendere con quella muta stretta sensi e consensi trattenuti dalla bocca prudente. La strinse, la scosse, l’accarezzò, la strinse ancora, disse finalmente con voce soffocata:

«Prega per me, prega che il Signore m’illumini

Due lagrime brillavano nei belli occhi soavi di vecchio che mai non si macchiò di un volontario pensiero impuro, di vecchio tutto dolcezza di carità. Benedetto non riuscì, per la commozione, a parlare.

«Vieni ancora» disse il Papa. «Dobbiamo discorrere ancora.»

«Quando, Santità

«Presto. Ti farò avvertire

Intanto l’ombra, avanzando, aveva inghiottito la Figura bianca e la Figura nera. Sua Santità pose una mano sulla spalla di Benedetto, gli domandò sommessamente, quasi esitante:

«Ricordi la fine della tua visione

Benedetto rispose, pure sottovoce, abbassando il viso:

«Nescio diem neque horam.»

«Non sono nel manoscritto» riprese Sua Santità. «Ma ricordi

Benedetto mormorò:

«In abito benedettino, sulla nuda terra, all’ombra di un albero

«Se così sarà» riprese il Santo Padre, dolcemente «ti voglio benedire per quel momento. Allora sarò ad aspettarti in cielo

Benedetto s’inginocchiò. La voce del Papa suonò solenne nell’ombra:

«Benedico te in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.»

Il Papa risalì rapidamente i cinque gradini, scomparve.

Benedetto rimase ginocchioni, assorto in quella benedizione che gli era parsa venire da Cristo. Si alzò al suono di un passo nella Galleria. Pochi momenti dopo egli scendeva, accompagnato da don Teofilo, al Portone di bronzo.





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