La dottoressa Pascal
Splendida guardia di
giganti, quella che attornia l'Ortler. Egli stesso, il vecchio re, ha l'aspetto
sereno e augusto di un grande contemplatore del cielo. Invece il gruppo de'
suoi è tragico. Tutte quelle torve faccie di montagne, la Geisterspitze, la
Tuckettspitze, la Suldenspitze e non so quante altre sono torturate da una
duplice passione: la superbia di appartenere al famoso capo, lo sdegno di sottostargli.
Il picco Madatsch
n'è diventato, dalla parte di Trafoi, tutto nero. Solo forse, allato al suo
signore, il gran Zebrù si leva in una degna attitudine regale. Però il gran
Zebrù è un vanitoso. Egli sa che per chi passa tra il valico dello Stelvio e
Franzenshöhe, il più glorioso del colossale gruppo è lui, lassù nello sfondo
dell'immenso vallone bianco che versa un fiume immobile di ghiaccio della valle
di Trafoi, e ascende, all'altro capo, verso le sue torri lontane sul cielo.
Serpeggiano fra i giganti profonde fessure verdi, piccole solitarie valli dove
discendono acque liberate dai ghiacci, correndo, saltando, cantando la loro
storia ai deserti. In una di queste, nella valletta di Sulden, ho trovato
giorni sono la signora che mi permetto di chiamare dottoressa Pascal. La
conobbi l'inverno scorso a Napoli in casa d'una dama slava, amica di amici
miei. Essa è piccola, bionda, elegantissima e fu assai bella. Adesso l'anima
sua ha venticinque anni, la sua mano ne ha trenta, gli occhi assai chiari, quasi
biechi, e il fiero naso lombardo ne hanno quaranta, il mento quarantacinque, le
tempie quarantotto e il collo non si sa quanti ne abbia perchè la vista di
questo antico documento è interamente negata agli eruditi e ai critici. La
signora è rimasta vedova da un anno e mezzo e ha sposato quattro mesi sono un
amico mio che non tocca ancora la trentina.
È intelligente
assai, dissimulatrice e simulatrice finissima. Suo marito, intelligente quanto
lei, più modesto, più mite, quasi timido, l'ama da otto anni. Io lo dissuasi
fortemente da questo matrimonio fino all'ultima ora. Egli non mi diede retta;
però mi convinsi, parlando con la signora, che non le aveva detto nulla delle
mie obbiezioni. Ciò mi fece pensare, a ragione o a torto, che l'anima sua si fosse
un poco rialzata dall'adorazione prona di un tempo, e non versasse più
nell'altr'anima tutti i suoi pensieri. Colei, appena sposata, prese il comando
del suo signore e padrone e lo portò fuori del mondo. Era una moglie e si
propose di parere un'amante, di conservare quanto fosse possibile il delizioso
mistero degli amori passati. Si nascosero prima in un seno del lago di Garda
dove abitavano due minuscole villette, il signore a destra e la signora a
sinistra. Non ricevevano che il curato, non visitavano che poveri e malati,
beneficando largamente. Lo scorso luglio li trovai, molto all'improvviso, a St.
Gertraud, nell'ombra dell'Ortler, un'ombra fresca da conservar bene l'amore
durante l'estate, la stagione più nemica delle bellezze troppo mature. Io venivo
a piedi dall'Hôtel Sulden, la grande scatola nuova posata fra gli abeti di
fronte all'Ortler, una scatola di larice, piena di figurine di noce dai capelli
di canape, dalle scarpe ferrate che portano occhiali, maneggiano grandi
bastoni, mangiano Schnitzel, bevono birra e Vöslauer, cantano
cori solenni. Il sole allegro batteva sul bosco e sui prati in fiore, sulla
nebbiolina dell'erbe alte, fini fini, scompigliate, frugate dal vento. Il verde
monte dell'Ortler, tutto picchiettato di neri abeti diritti sul pendio come
spilli, era ombroso fino allo scollo, alle alte nudità di nevi e di sassi,
terminate dal candor lucente del vertice. Qualche canto tedesco di falciatori,
qualche canto italiano di capineri passava nel silenzio meridiano con l'odore
dell'iva e dell'arnica recise, con la voce dell'acqua rapida dove si raccolgono
i rivi luccicanti per le ghiaie grigie, sotto il ghiacciaio di Sulden nel
grande anfiteatro che chiude la valle.
E l'aria vibrante,
pura, entrava nel petto con l'odor forte delle praterie, metteva in corpo un
fermento di vita, una leggerezza nuova, una gran voglia di gridare insulti a
tutto lo stupido, savio, poltrone mondo basso, di avere a sè poche anime per
farne una pazza, felice anima sola e viver lì per sempre.
A Saint-Gertraud mi cacciai nel bosco per certo sentiero che secondo il
cartello del Club Alpino austriaco, dovrebbe condurre «alla fine del mondo».
Era naturale ch'io incontrassi proprio lì una signora più simile all'ultima Eva
che alla prima.
***
Ella era seduta
sull'erba e guardava davanti a sè con le labbra serrate, battendosi e
ribattendosi pian piano un libro sulle ginocchia. In quel momento aveva quasi
più sessanta che cinquant'anni. Il suo ultimo Adamo era seduto a pochi passi da
lei e si abbracciava le gambe guardando l'erba con una tristezza accasciata,
punto dispettosa.
No, essi non avevano
in quel momento una pazza, felice anima sola. Pensai che v'era stata burrasca,
e quando, accostandomi ad essi, lessi sulla copertina del libro: «Le docteur
Pascal par Emile Zola», mi balenò l'idea che proprio le nuvole fossero uscite
di lì, da quella pittura degli appassionati amori di un vecchio di
cinquantanove anni con una fanciulla di venticinque, il caso inverso, quasi del
caso loro. Nel vedermi, il mio amico arrossì molto, la signora niente. Tutti e
due s'illuminarono troppo nel viso, diventarono troppo allegri, ostentarono
troppo, davanti a me, la loro felicità, insistettero troppo per condurmi a
prendere il tè nello châlet della signora, poco discosto dall'hôtel
Ortler, dove abitava il mio amico, perchè altri châlets vicini non
v'erano. Accettai, e per via la signora, non volendo aver l'aria, com'io
supposi, di evitare quel tema, mi domandò cosa pensassi del Docteur Pascal.
«Non si dovrebbe
parlarne più», risposi di slancio. «Non si dovrebbe parlarne fra queste
montagne sublimi. Emilio Zola è un grande maestro d'arte, si sa, e anche nel Docteur
Pascal sono molte pagine ammirabili. Forse, nello scrivere questo romanzo,
egli ha troppo sentita la gioia di compier con esso un lavoro di venti libri,
che a lui paiono una stretta compagine, un monumento solo. Si capisce che ha
lavorata e posata l'ultima statua su l'ultimo pinnacolo con trepidazione
febbrile, con l'impazienza di aver finito, di dirlo, di mostrare tutto intero
al mondo un grande concetto, un'opera grande. Questo dottore che raccoglie le
biografie dei Rougon onde trarne una teoria generale sull'eredità, che
s'accende di entusiasmo per l'opera propria e per le proprie idee, è riuscito
un fantoccio d'uomo con un uomo vivo in corpo. La faccia è dello scienziato
Pascal, la voce è del poeta Zola. Ciò è contro il vero e contro l'arte. Tutte
insieme le biografie raccolte nell'archivio del dottore, se valgono molto per
la poesia, valgono poco o nulla per la scienza. La scienza avrebbe raccolto
molti documenti di casi identici, o almeno simili, osservati in famiglie
diverse. Lo scienziato Pascal va in collera con sua nipote solo perchè ella
dipinge dei fiori immaginarii ma poi il poeta Zola ch'egli ha in corpo, grida
di voler fare della scienza fantastica e sostiene che nel suo caso è la buona.
Lo scienziato Pascal s'innamora, a cinquantanove anni, della nipote Clotilde
che ne ha venticinque. Egli sa certo, poichè è medico, che da una unione fra
stretti consanguinei e da un padre vecchio, poco di buono può uscire; ma il
poeta del ventre gli dice: «Caro te, non seccare con fisime, la ragazza si
offre; pare impossibile, poichè ti è venuta in casa a sette anni, quando tu ne
contavi quarant'uno, che le sia spuntata quest'idea in testa; ma insomma, si
offre; pigliamola!» - «Bene io la piglio, ma la sposo» si dice Pascal nei
visceri. «Io non voglio che la insultino e ch'essa si vergogni per causa mia.
Cascherà il mondo se la sposo?» - «Non esser così bestia» gli replica il poeta.
«Ti proibisco di pensarvi. Se la sposi, casca peggio che il mondo, casca tutta
l'ultima parte del mio romanzo. Pigliala e non sposarla.» Ecco, parlando sul
serio, come e perchè il carattere di Pascal è fatto, come e perchè lo Zola non
merita fede quando ci vuol far credere che il suo dottore ebbe una gran mente e
un grande animo. Oh no. Del resto il lavoro d'arte, malgrado questa pecca,
resta potente, Ma gli è che ho altre cose da dire. Lo Zola ha qui messo fuori
per bocca del dottor Pascal, forse più compiutamente che altrove, le idee che
la ispirano, una dimostrazione della legge di eredità nelle famiglie umane e
una glorificazione positivista della vita. Ora, la prima non dimostra niente di
nuovo, ed è della seconda che non bisognerebbe parlar qui davanti alle Alpi.
L'Ortler, signora, è un asceta, la Suldeuspitze è suora dell'adorazione
perpetua, il gran Zebrù crede in Dio, e non consiglierei il signor Zola di fare
una professione di materialismo sul Picco degli Spiriti, nè di descrivere le
lascivie d'un vecchio sul ghiacciaio del Cristallo. Ma il signor Zola, malgrado
il suo straordinario ingegno, non capirà mai questo. Egli ignora del tutto
l'ideale religioso e la religione. Non conosce che manie superstiziose o manie
mistiche; non sa cosa si vede sulla terra da una grande altezza e cosa vi si
sente nel cielo. Regno dell'ideale suo son le pianure grasse dove la vita è
nella terra; le magre montagne, dove la vita è nell'aria, sono il regno di un
altro ideale, molto superiore. Qui, il positivismo, del signor Zola non è
solamente uno straniero, è un bandito. Gli stessi corretti, severi, ab-eti,
male sopportano il suo linguaggio e le sue maniere. Signora, mandatelo via.»
Eravamo giunti alla
porta del châlet. La dama non disse parola e mi parve scontenta; il
cavaliere non disse parola e mi parve contento. Si entrò, si parlò d'altro, si
prese il tè. Prima ch'io partissi, l'amico mio parlò di accompagnarmi un tratto
sulla strada di Gomagoi, andò all'hôtel Ortler a pigliarsi un bastone e un
soprabito.
«Del resto» esclamò
subito la signora, che certo ci aveva pensato sempre
«quell'amore di Clotilde così sovrano, così superiore a tutte le convenzioni
umane, è pur bello, è pur grande! Ed è tanto vero, lasci stare!»
«L'amore di Pascal è
più vero» diss'io.
«No» mi rispose
asciutta «quello non lo capisco.»
«Vecchia ipocrita»
pensai.
Suo marito ritornò e
partimmo insieme. Egli pure, appena fummo soli, entrò nell'argomento.
«Del resto» disse
«io capisco perfettamente Pascal. Quella che capisco meno è Clotilde. Mica sai,
per la sproporzione d'età: tutt'altro; ma per il sentimento figliale che doveva
avere, come hai detto tu.»
«Sì, sì» mi
affrettai a rispondere «per il sentimento, per il sentimento, s'intende.»
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