P. r.
Io stavo mettendo
insieme, l'anno scorso, con certi minuti, vecchi, frusti ciarpami della mia
memoria un libro simile a una bottega di rigattiere2 Ci avevo pure un cencio di tela dipinta raffigurante la
Polizia austriaca in atto di fiutare il delitto politico in una pagina di
musica manoscritta. Alcuni miei amici nati dopo il 1859 giudicarono il ritratto
troppo annerito e inverosimile. Io, naturalmente, protestai. Allora la Polizia
austriaca ebbe l'amabilità di pigliar la parola per dire: «Ma sì? il ritratto
fattomi dal signore mi somiglia. Guardatemi, sono io.» Penso di raccontare
adesso in segno di gratitudine come proprio andò il fatto.
Nel paese che pende
dalle Alpi sull'Italia come un frutto acerbo, bruciò, appunto l'anno scorso,
una borgata. Vi spuntò subito la solita triste ortica delle rovine, il Numero
Unico. Volli regalarle una foglia anch'io, pigliai una pagina del mio libro
inedito e la mandai. V'eran dentro un pezzo di Milano del 1854, una diligenza,
alcune sentinelle austriache, alcune case nere, una filza di passaporti, una
lanterna, un birro e un paio di manette nella nebbia. I gentili signori del
Numero Unico si pigliarono tutta questa robaccia e stavano per ammannirla al
pubblico quando entrò da loro la Polizia.
La Polizia austriaca
si presentò bene. Era elegante, molto incipriata, imbellettata, inguantata,
profumata di sego all'opoponax. Salutò sospirando e disse che soffriva. Era
costretta di recare un dispiacere a quei bravi signori «Che volete, il vostro
Numero Unico è bellissimo, ma la diligenza del signor Fogazzaro non può
assolutamente passare. A rigore la diligenza potrebbe passare; il resto, sopra
tutto le case nere, no, assolutamente no. Buttate questa roba dalla finestra o
il Numero Unico, me ne duole, non uscirà.» I bravi signori allibbiscono. Come
si fa? È troppo tardi, tutto è composto, tutto è legato insieme, impossibile
buttar via questa Milano del 1854 senza buttare anche il resto. Madama insiste,
coloro resistono. Allora Madama, che in fondo è di buona pasta, e lo dico
perchè lo so, tace con gli occhi fissi nel vuoto, si preme sulle labbra il
ventaglio chiuso, poi scatta e dice che le viene un'idea, «1854! Perchè 1854?
Perchè non 1814? Mettete 1814! Ecco che allora Milano non è più nostro, le
sentinelle, le manette, il birro? i passaporti non son più nostri, io lascio
passare anche le brenne e il carrozzone del signor Fogazzaro. Tanto nelle date
l'arte non c'entra. Anzi il signor Fogazzaro vi avrà un obbligo grande, perchè
davvero è una corbelleria la sua di chiamare antico il mondo del 1854 e voi gli
date quarant'anni per metter le cose a posto.
Detto fatto, mi si
ringiovanì Milano di quarant'anni con un tratto di penna. Io, quando vidi
l'ammirabile cifra e riconobbi nella diligenza del 1814 il mio amico Gilardoni
già cotto a perfezione di una signorina nata nel 1827, fui per venir meno.
Persone pietose mi confortarono, mi spiegarono il miracolo, mi fecero apparire sotto
quella cifra, con un reagente chimico, il giallo, adunco naso di Madama, tutto
raggrinzito lì a fiutar le biscrome: lo stesso, stessissimo naso. Allora
chiamai subito i miei amici increduli e lo mostrai loro. Chinarono la fronte,
annientati.
Che dovetti io fare
poi se non mandare a Madama la mia carta di visita con le due lettere che ho
posto in fronte a questo racconto veridico?
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