La signora Cortis non si riebbe
per tutto quel giorno, malgrado i soccorsi della sua farmacia omeopatica e
qualche bicchierino di rhum, la più sgradita, secondo lei, delle medicine. A
sera tarda si addormentò. Allora Daniele, che aveva appena trovato il tempo di
pranzare e di scrivere un biglietto ad Elena, scese a Lugano. Prima di partire
si fece aprir lo studio dalla Barbara; non v'erano più né la bottiglia, né il
libro, né i sigari.
Ci vien qualcuno a trovarla?
disse Cortis.
Pochi o nessuno rispose la serva.
Viene qualche volta una signora russa.
Chi è?
Credo che sia una donna di
teatro. Ma è vecchia come la padrona, anche lei. Ha scritto il suo nome in un
libro. Ieri era qui, ma adesso non lo vedo più. La padrona l'avrà portato via
iersera.
Cortis guardò uno studio del
monte Rosa, da Pazzallo, e un ritratto d'uomo; le sole tele in lavoro. L'uomo
era un medico luganese che, dopo le prime visite e le prime pose, non s'era più
lasciato vedere.
Lo sapevate, voi disse Cortis
uscendo dallo studio, che la signora mi aveva scritto?
Sì, signore rispose la serva
sottovoce e in aria di mistero, me l'ha raccontato lei l'altro giorno, quando è
arrivato il Suo telegramma. Mi ha raccontato... tante cose; e piangeva che
bisognava vedere.
Cosa vi ha raccontato?
Lo so io? Tante cose. Che lei non
aveva potuto vivere col suo povero marito, e che era andata per il mondo, e che
aveva un figlio signore, per dire come ha detto lei, e che adesso questo figlio
doveva venire a trovarla, e che lei non aveva piacere di essere conosciuta
subito, e che per questo gli aveva scritto così e così. E allora mi ha detto
che anch'io poi, quando sarebbe venuto, se mi avesse domandato, per esempio, di
quest'ammalata, dovevo far mostra di niente e dire che stava sempre lo stesso.
E cosa mi avete detto stamattina?
Che non vi si paga il salario?
Sicuro. Son tre mesi che non
prendo un soldo.
E cosa vi dice la signora?
Che adesso non ne ha, ma che ne
aspetta. Quello che dice a tutti.
Come, a tutti?
Ah signore, caro Lei! L'è una
roba, che se la dura, io scappo, io scappo, io scappo! Tutti i momenti è qui
l'uno, è qui l'altro, un mucchio di gente che vuol essere pagata: il padron di
casa, il macellaio, il pizzicagnolo, il droghiere. E danari non ce n'è; e loro,
si sa, la più parte sono gente senza educazione e ne dicon di tutti i colori.
Io glielo dico, neh, perché certe cose, Le pare? è meglio...
Barbara lasciò la frase a mezzo
per correr via in fretta col lume dietro a Cortis, che curandosi poco delle sue
conclusioni, le aveva voltato le spalle.
Egli tornò al mattino seguente e
trovò sua madre alzata. Non le parlò più del passato; volle solamente sapere
come avesse potuto dirigergli la lettera con tanta sicurezza a Villascura. Ella
non nominò alcuno, ma asserì di aver sempre avute informazioni esatte sul conto
del suo amatissimo figlio; di averlo sempre seguito col pensiero e col cuore.
Gli parlò della contessa Tarquinia e di Villascura. Sapeva che la villa Cortis
era un gran palazzo squallido e aveva pensato tante volte quanto il povero
Daniele vi si dovesse trovar male così soletto. Cortis la condusse a parlare
del suo stato presente, delle sue necessità; ed ella gli raccontò un'iliade di
guai. Ma cos'erano le privazioni, il bisogno, appetto all'angoscia della
solitudine? Soffrire, sì, era giusto e anche gradito per chi aveva commesso,
come lei, una colpa, una sola colpa; una colpa se tutto si sapesse! se tutto si
potesse dire! quasi involontaria; ma soffrire sola, segregata da ogni affetto,
da ogni pietà! Non era più possibile; no, no, non era più possibile.
Ella versò a questo punto un
fiume di lagrime. Cortis taceva.
Stanotte... ho fatto... un sogno
disse la signora lottando con i singhiozzi.
Cortis non fiatò.
Troppo bello mormorò l'altra
socchiudendo gli occhi e lasciando spenzolar un braccio dalla poltrona.
Troppo bello.
Scosse lentamente il capo
inclinato sulla spalla sinistra e sospirò ancora:
Troppo bello.
Cortis non desiderava proprio di
conoscerlo.
V'è un genere di miserie
diss'egli che non deve toccarvi. A questo penserò io.
Ti ringrazio disse la signora, ti
ringrazio.
Aperse la bocca ad altre parole,
le richiamò con violenza al petto.
Prego Dio aggiunse dopo un breve
silenzio che mi accordi il favore d'esserti a carico il meno possibile. È Dio
già che mi ha ispirato di mettermi a Lugano. Ho trovato proprio l'aria che mi
ucciderà presto.
Daniele ebbe un bel dirle e
ridirle che poteva cercarsi fra le Alpi e il mare un'aria più benigna per i
suoi nervi. Ella ripeteva, sempre più compunta, sempre più rassegnata, lo
stesso tragico ritornello.
Se sognava, dopo tante vicende di
tempeste e di sereno, rallegrarsi lo squallido pomeriggio con un raggio di
sole, tramontar dignitosamente e placidamente nelle sale di casa Cortis,
sognava uno stolto sogno, la signora; e metteva pietà quel suo battere e
ribattere di soppiatto, con volgare artificio, a una porta chiusa, sorda e
muta.
Più tardi si parlò d'affari giù
nel salotto terreno. Daniele volle saper l'ammontare dei debiti di sua madre e
non fu così facile, anche perché, secondo lei, neppure un quarto s'era veduto
in casa della roba che i bottegai bugiardi avevano scritta. Intervenne, per
fortuna di costoro, la Barbara, che aveva memoria migliore, e dopo un lungo
battibecco ad ogni partita, ad ogni cifra, tra padrona e serva, Daniele poté
conoscere, presso a poco, la verità.
Rimasto solo con sua madre le
annunciò che sarebbe partito all'indomani e che fra pochi giorni le avrebbe
mandato il danaro e fatto conoscere il modo in cui provvederebbe, per
l'avvenire, alla sua esistenza. La signora Cortis gli chiese quando lo avrebbe
riveduto. Questo, Daniele non lo poteva dire. Dipendeva da tante cose; dal
successo della elezione politica, da altri suoi particolari interessi. Allora
ella cominciò a dire, tutta gemebonda, che Daniele aveva ogni ragione di non
volerle bene, che lei gli andrebbe in casa per serva, per guattera, ma che già
non era degna di star sotto lo stesso tetto; no, no, non era degna.
Non credo diss'egli che convenga
né a voi né a me.
Sua madre tacque un momento e poi
mormorò portandosi il fazzoletto agli occhi lagrimosi:
Offro questo sacrificio alla
Santissima Vergine.
Cortis andò sbuffando a pigliar
aria sulla porta del salotto. Subito una voce flebile gli gemette dietro:
T'ho offeso?
Egli fece le viste di non udire.
Guardava fra i gelsi luccicanti il cancello aperto, la strada piena di sole, e,
di là dal parapetto, il profondo lago sereno, le montagne cenerognole di Val
Colla. Erano un ristoro, quell'aria pura, quel riso di vita innocente. Il treno
di Milano passava allora tuonando, fischiando, sotto le pendici del San Salvatore.
Cortis guardò l'orologio e
domandò a sua madre se sapesse l'ora esatta della prima corsa.
Oh Dio diss'ella, a cosa pensi
mai! Vien qua, Daniele, ti supplico soggiunse dopo un momento. È vero che io
non posso parlarti come una madre; ma pure, tu che sei un angelo, mi
permetterai di chiederti se vi è forse qualche cara e virtuosa fanciulla...
No disse Cortis senza voltarsi.
Ah, ne sarei stata tanto felice!
esclamò la signora sospirando. Ma già non lo speravo.
Perché? domandò Daniele sorpreso.
Oh niente. Così, per l'idea che
non puoi trovarla, no, una donna degna di te!
Cortis saltò giù dalla soglia del
salotto, si cacciò fra i gelsi e il granturco, fuori della vista di sua madre.
Costei strinse nelle pugna i due
capi del fazzoletto bianco che aveva in mano e diede due così rabbiose gomitate
al vento, che strappò la tela.
Già in questo maledetto paese
fremé fra i denti non ci sto di certo.
Detestava Lugano perché si era
innamorata, con i suoi cinquantadue anni, di un giovane medico, e questi,
nauseato di tali affetti, non aveva più voluto saperne di visitarla. Si rizzò
in piedi e, aperto un armadietto a muro, vi cacciò la mano, tracannò qualche
cosa in furia e lo rinchiuse adagio adagio con l'occhio alla porta; poi
brontolò fra sé: Adesso glielo dico, e uscì in cerca di Daniele. Lo incontrò
subito.
Daniele diss'ella, abbi pazienza.
Ho una grazia, una sola grazia a domandarti.
Che cosa?
Un po' più lontano sussurrò la
signora dopo aver guardato su alle finestre aperte.
Entrarono sotto un pergolato a mancina
della casetta. Cortis non pareva niente affatto curioso di sapere che grillo
fosse saltato a sua madre, le camminava accanto guardando giù il treno girar
via sul largo arco dei colli.
Quella Villascura, Daniele!
diss'ella. Quella Villascura! Si fermò e si coperse il volto con le mani.
Cosa, quella Villascura? domandò
Daniele, distratto.
Vien via per amor del cielo!
esclamò sua madre. Sta a Roma, sta a Udine, sta dove vuoi, ma non là!
Perché?
La signora abbassò gli occhi e
rispose sottovoce:
Non è possibile dirtelo.
Allora... fece Daniele, come se
il discorso gli paresse chiuso.
Non mi accontenti? insisté sua
madre.
Daniele non capiva.
Ma come mai? diss'egli.
Guardò l'orologio. Aveva pensato
di scendere, a una cert'ora, all'albergo, per vedere se ci fossero lettere o
telegrammi.
Almeno esclamò con subita
passione la signora Cortis, non andare a casa Carrè!
Cortis aggrottò le sopracciglia:
una vampa di rossore gli salì al viso.
Perché? diss'egli con voce
vibrante di collera. Io andrò sempre a casa Carrè.
Oh Daniele, almeno finché ci sono
i Di Santa Giulia, no! In quel momento il viso e la voce della signora ebbero
un lampo di sincerità.
Va benissimo rispose Cortis
amaramente. Dite al vostro corrispondente, qualunque egli sia, ch'è un bugiardo
e uno stupido, e che quella signora e io siamo troppo al disopra di lui e di
molti altri, perché questo veleno ci possa offendere.
Delle voci maligne n'erano corse
a Villascura. Cortis lo sapeva.
La signora? domandò sua madre con
un lampo negli occhi. Non so niente della signora.
Cortis, che guardava da un'altra
parte, voltò la testa con impeto, le piantò gli occhi in viso, aspettando che
si spiegasse meglio. Ma ella non parlò più.
Dunque? proruppe Cortis.
Niente rispose l'altra con un
gran sospiro.
Cortis insisté.
Cosa mai vi hanno scritto?
diss'egli.
Sua madre gli posò una mano sulla
spalla e con l'altra si batté la fronte, dicendo:
È scritto qui, nessuno mi ha
scritto. È una cosa scritta qui.
Daniele perdette la pazienza.
Parlate chiaro diss'egli. Lì non
so leggere.
S'io parlassi chiaro sussurrò la
signora Cortis mettendogli il viso addosso con tanto d'occhi spalancati e
scotendo in aria l'indice della mano destra tu proveresti un rimorso eterno di
aver stretta la mano scellerata (quell'indice teso andò su su verso il cielo)
di lui!
Cosa ha fatto? disse Daniele
sorpreso.
Ella giunse le mani, mise un
lungo gemito per le labbra strette, e, data una giravolta in fretta, corse via
a capo basso, raccolse, presso lo scalino della porta, le sottane in due
bracciate, e saltò in casa.
Daniele la seguì, ma ella, prima
ancora d'essere interrogata, diede in ismanie, lo supplicò di non chiederle
nulla, promise che in un momento più tranquillo avrebbe parlato. Intanto lui
doveva togliersi da Villascura, andar lontano, ben lontano.
Io spero diss'ella che ti
facciano deputato, che tu ti stabilisca a Roma. Allora ci vengo anch'io a Roma.
Roma è la città dell'anima mia. Oh se potessi morire a Roma! Là ti vedrei
spesso, almeno dalle tribune della Camera. Non è vero, Daniele?
Cosa ha fatto di Santa Giulia?
diss'egli.
Ma, Dio! rispose la signora.
Perché mi vuoi tormentare? Del resto, è impossibile che tuo padre non te ne
abbia mai parlato.
Sì, so che lo ha conosciuto in
Piemonte quando emigrò per entrare nell'Accademia militare, che gli era stato
raccomandato da un medico siciliano, ma che non veniva quasi mai in casa
nostra, che non era un cattivo soldato, che giuocava molto, però, e non
studiava punto.
E l'hanno fatto senatore?
sussurrò la signora parlando a se stessa.
L'hanno fatto senatore subito
dopo il suo collocamento a riposo, perché si voleva un senatore di quella
provincia e lui possedeva un bel nome, un bel grado militare e molti appoggi in
alto. Non sarà mica questo il suo delitto? Mio padre non m'ha detto altro. Cosa
poteva dirmi?
Niente, niente, non poteva dirti
altro.
Cortis si strinse nelle spalle,
tacque un poco, guardò l'ora per la seconda volta e disse:
Vado.
Sua madre non desiderava che la
finisse così liscia.
Parti domattina colla prima, non
è vero? diss'ella. Alle sei?
Sì.
Spero bene che ti fermerai qui un
pezzo ancora.
Sì, sì rispose Cortis, distratto,
cercando il suo cappello.
Allora parleremo stasera.
Parve che queste poche parole
costassero già un doloroso sforzo alla signora Cortis che piegò, nel
pronunciarle, il capo sul petto e chiuse gli occhi.
Daniele si fermò, prima d'uscire,
a considerarla. Adesso che gli occhi falsi non si vedevano, che non si udiva la
voce ingrata, sentì per un momento quanto gli avrebbe potuto essere cara. E
subito un lampo nella memoria gli mostrò suo padre ginocchioni che diceva un requiem
per la povera mamma.
Era meglio! esclamò afferrando e
levando in aria il cappello.
La signora drizzò il capo,
spaventata.
Cosa? diss'ella.
Niente disse Cortis, e corse via
senz'altro.
La Barbara gli aperse il cancello
e gli disse sottovoce:
La padrona non vuol credere, ma
della roba se n'è così consumata, sa! Solo tutte le costolette fresche che si
tien la notte sulla faccia!
All'Hôtel du Panorama era arrivato,
pochi minuti prima di Cortis, questo telegramma dal capoluogo del suo collegio
elettorale:
Daniele Cortis
Lugano - Hôtel du Panorama.
Stampa avversaria pubblica tua
lettera privata accusandoti appartenere partito clericale. Grande impressione.
Domani seguirà qui adunanza elettorale ore una pomeridiana. Vieni o rispondi
telegramma da pubblicarsi. Spedisco giornali.
B.
Il prossimo treno per Milano
partiva fra tre quarti d'ora. Cortis buttò giù precipitosamente un biglietto
alla madre e la seguente risposta telegrafica al signor B.: Sarò costì
domattina alle 11,½
CORTIS.
Quindi raccolse in furia la sua
roba e arrivò alla stazione mentre i viaggiatori salivano in treno.
Fertig! gridò il conduttore.
Cortis non aveva pensato, fino a
quel momento, che a non perdere il treno. Appena entratovi, si vide nella sala
dell'adunanza elettorale, in faccia ad amici atterriti o accigliati, fors'anche
ad avversari beffardi, solo, assalito con armi sue proprie, con parole che non
conosceva ancora ma certo scritte da lui, chi sa dove, chi sa quando, ma certo
sincere, non disposto a nessun sotterfugio mai, a nessuna ritrattazione, a
nessuna viltà, costretto a dar battaglia con una bandiera nuova, in altro tempo
e in altro luogo che non avrebbe voluto. Vide tutto questo e sentì insieme
affluirsi al cervello e al petto un'onda di fuoco vitale, si sentì lo spirito
più potente che mai, e, sdraiandosi con certa noncuranza leonina sul sedile di
velluto rosso, rispose mentalmente al conduttore:
Va bene, pronto!
Passando sul ponte che cavalca la
stradicciuola di Pazzallo, corse un istante col pensiero quella via nota, ma
non arrivò lassù alla casetta del cancello rosso, dove pure avrebbero dovuto,
fra poche ore, spiegarsi delle parole strane, scoppiar delle accuse lanciate in
aria. Il suo pensiero tornò subito alla via di ferro che lo portava alla mèta.
Intanto le acque di levante, nere
di vento, si allargavano, si allungavano fin laggiù alle radici lontane della
nota roccia dolomitica che usciva lentamente dietro agli altri monti e si
scopriva in faccia a Cortis tutta intera, sino alla punta formidabile, come un
esempio di audacia che sta.
|