Alle nove e un quarto gli amici
fumavano e chiacchieravano intorno a Cortis, che andava dall'uno all'altro,
acceso in volto, con gli occhi scintillanti, parlando, scherzando, come se
Elena, suo marito, la signora Cortis non fossero esistiti mai, se tante
angustie si fossero dileguate dal suo cuore per sempre. V'erano dei giovani
deputati in cravatta bianca, disposti a fare lì un po' di politica e a riderne
più tardi in qualche veglia elegante; v'eran dei senatori serii e un po' a
disagio nella compagnia di quei primi; v'era un paio di giovani ancora più
serii che tornavano dall'aver studiato scienze sociali in Germania; v'eran due
o tre poderosi signori dell'alta Italia che aiutavan di borsa, largamente, a
fondare il giornale. Cortis aperse la seduta annunziando che tutto poteva
considerarsi pronto per la pubblicazione di questo. Si aveva un capitale
sottoscritto di 450.000 lire; la tipografia era pronta, locale, macchine e
persone; pronta la redazione e i principali corrispondenti esteri; gl'italiani
si troverebbero subito. Cortis prometteva l'assidua opera propria, almeno sino
all'apertura della Camera nuova. Ora occorreva intendersi sul miglior momento
d'uscire. Cortis era risoluto, come gli amici sapevano, di pigliar occasione da
una protesta dei suoi elettori per pronunciare un discorso l'indomani, ultima
seduta avanti le vacanze pasquali, e dimettersi. Avrebbe esposta molto
esplicitamente la sua fede politica, appellandosi dagli elettori attuali ai
futuri. Poiché egli avrebbe in seguito diretto il giornale, si credeva in
dovere di comunicare agli amici le idee che intendeva svolgere alla Camera,
benché certo non potessero riuscir nuove ad alcuno di essi. Se piacessero, se
il discorso trovasse qualche eco nel paese, diventerebbe forse opportuno
annunciare al pubblico il nuovo giornale come sorto da questo impulso, e uscire
con esso né così tardi che il discorso fosse dimenticato, né così presto che la
connessione dei due fatti apparisse premeditata.
Ciò posto, Cortis incominciò a
esporre brevemente quello che si proponeva dire, con maggior diffusione, alla
Camera. Egli parlava in piedi, con le spalle alla scrivania cui appoggiava la
persona e puntava le mani, fissando or l'uno ora l'altro di coloro che lo
ascoltavano, quale seduto contegnosamente, quale sdraiato sul canapè, quale
ritto nel vano d'una finestra, fumando.
L'ordine e la forma non importano
diss'egli. La sostanza sarà questa.
L'onorevole deputato che fumava alla
finestra, venne a piantarglisi di fronte, a cavalcioni d'una sedia.
Degli elettori proseguì Cortis
protestano contro di me perché ho espresso alla Camera delle opinioni
clericali. Io nego che questi signori conoscano il colore delle opinioni, e ho
fondati dubbi che ignorino il senso delle parole; pure intendo cedere e
rassegnare le mie dimissioni da deputato con qualche commento.
L'amico disse qualcuno non ti
lascerà parlare.
Perché? In ogni caso deciderà la
Camera. Quanto a censure e richiami è quello che desidero. Dirò dunque che
sebbene io sia grato ai miei colleghi per le prove di considerazione avutene,
sento attualmente nella Camera un'aria così viziata da poterne uscire senza
dolore. E qui, se mi lasciano continuare, dirò che coloro i quali credono
vicina la scomparsa, non dei vecchi partiti, ma addirittura del regime
parlamentare, possono venir qua a fiutare il puzzo della sua corruzione.
Soggiungerò che uscendo dalla Camera ne darò le notizie, molto forte e su tutti
i toni, ai nuovi elettori, e non andrò sicuramente a predicare la
trasformazione dei caratteri e delle opinioni per costituire una maggioranza
molto estesa e poco vitale. Ho udito parlare più volte nella Camera di un
partito nuovo che tutti desiderano e cui nessuno vuole appartenere; io mi
compiacerò di far sapere a' miei colleghi che mi sacrifico al pubblico bene ed
esco appunto per andare in traccia d'un partito nuovo e ritornare, se sarà
possibile, con esso.
Hm! Hm! fecero alcuni scettici.
Signori esclamò Cortis, se non
avete fede, perché vi mettete all'impresa?
Avanti, avanti! dissero quegli
stessi scettici.
Sarò meno baldanzoso proseguì
Cortis. Studierò le espressioni. Sapete, è un discorso che sarà probabilmente
molto interrotto e perciò dovrò fare a dritta e a sinistra molte scappate che
ora non posso prevedere, ma l'importante è qui, questo nuovo partito. Io
lascerò dunque la Camera augurando che vi entrino presto degli uomini sciolti
dalle superstizioni e dalle ignoranze di un certo individualismo liberale che
si crede alla testa dell'umanità, e non si accorge di passare alla coda; non si
accorge di aver lavorato utilmente, sì, a distruggere tante cose, ma di aver
lavorato non per sé, sibbene per uno molto più forte, molto più potente, che
ora, trovando le vie sgombere, arriva e se lo piglia lui il mondo e lascerà
forse a simili liberali qualche prato d'Arcadia e poche pecore. Questi uomini
penetrati dal futuro, questa gente positiva, verrà alla Camera, convinta, a
differenza di altri retori e mitologi, che nel lungo lavoro di rinnovamento
sociale cui le forme moderne della produzione impongono, il migliore strumento
sarà una monarchia forte, sciolta da qualunque legame con qualunque chiesa, ma
profondamente rispettosa del sentimento religioso. Questi uomini saranno
ispirati dal più ardente patriottismo e non faranno mai, per un solo palmo non
nostro di terra italiana, dichiarazioni né abili, né oneste.
Ecco proseguì Cortis, dopo un
momento di silenzio, io svolgerò, presso a poco, questi concetti. Adesso
voialtri dovete dirmi francamente la vostra opinione.
Nessuno parlò. Cortis andò a
buttarsi sul canapè, si mise a guardare il soffitto, aspettando.
Ardito sussurrò il senatore C...
Un discorso molto ardito.
Questo si sa esclamò Cortis con
un gesto di noncuranza. Tanto ardito che forse non lo potrò fare.
Quel deputato che stava a
cavalcioni della sedia, si scosse a un tratto, picchiò forte col pugno sulla
spalliera.
Non guardo questo, io diss'egli,
alzandosi. Non guardo l'arditezza della forma, guardo l'arditezza delle idee.
Soggiunse che, giudicando da una
esposizione così concisa, le idee gli parevano più radicali di quelle nelle
quali tutti i presenti si erano accordati nel trattare per la fondazione del
giornale. Si era parlato, sì, e molto, di riforme sociali; ma questo era un mettere
avanti troppo apertamente il socialismo di stato con pericolo di spaventare il
pubblico. Adesso non voleva discutere il principio, ma certo in Italia gli
mancava la conveniente preparazione, certo non era abbastanza divulgato per
chiamar gente intorno a una bandiera nuova. L'onorevole deputato non approvava
poi che si parlasse con dispregio della trasformazione vagheggiata da tanti
nella Camera e fuori. Si poteva essere scettici su questo punto, ma non
conveniva mai, in politica, offendere alcuno senza necessità.
Un giovine siciliano, reduce da
Berlino, fervido fautore del socialismo cristiano, prese focosamente le parti
di Cortis; disse che altro era un programma di governo, altro un programma di
partito. Il riserbo e le cautele vengono col potere. Quando s'intende creare un
movimento dal di sotto all'insù, ci vuole franchezza e ardimento. Chi non parla
di riforme sociali? Bisogna anche dire come deve farsi questo grande lavoro:
con la monarchia forte, il Reich; con l'associazione, con il sentimento
religioso.
L'onorevole deputato replicò;
altri intervennero nella discussione, appoggiando il consiglio più prudente.
Cortis fremeva, si agitava sul canapè, volendo tacere, lasciar liberi i suoi
amici di deliberare a lor posta; ma non fu padrone, quella sera, de' suoi nervi
malati, e ruppe a un tratto in una sfuriata contro i timidi e gl'incerti,
investì i suoi contradditori con tale amara veemenza, da muoverli a stupore più
che a risentimento. Quand'egli ebbe finito nessuno aperse la bocca per un
pezzo: tutti si guardavano attoniti. Finalmente il senatore T... prese la
parola e la tenne a lungo, navigando con gran precauzione, ammirando
l'ardimento degli uni, lodando la prudenza degli altri, compiacendosi di una
discussione onorevolissima per tutti, anche se l'ardore delle convinzioni, il
desiderio del pubblico bene, avean potuto qualche volta esprimersi con vivacità
straordinaria. Dopo aver lodato tutti, l'onorevole senatore, volendo rimendare
gli strappi, dovea pure passar l'ago a destra e a sinistra, pungere un poco chi
aveva parlato più forte. Appariva, secondo lui, dalla discussione, un
disaccordo piuttosto apparente che reale, un dissenso sull'attuale opportunità
delle cose dette dall'onorevole Cortis, anziché sul loro valore intrinseco;
benché egli stesso, se proprio proprio costretto a pronunciarsi su quell'ordine
di idee, avrebbe dovuto pur fare qualche riserva, come su alquanti altri
giudizi che aveva uditi nella discussione.
Ciò posto, non pareva difficile
all'onorevole senatore che tutti avessero a intendersi nei seguenti termini.
L'onorevole Cortis parlasse pure a modo suo, ma senza nessun impegno, da parte
del giornale, di prendere il suo discorso per programma. Parlasse pure audace,
audacissimo. In pochi mesi di vita parlamentare l'onorevole Cortis aveva già
saputo distinguersi, conciliarsi molto rispetto, molta simpatia; il suo
discorso, se gli riusciva di condurlo a fine, avrebbe sicuramente levato rumore
nella Camera e fuori, avrebbe dato modo di studiare gli umori, le disposizioni
del pubblico, di prendere posto, col giornale, un po' più indietro o un po' più
avanti, sul terreno migliore.
Cortis fece un atto di
acquiescenza muta, sdegnosa; gli altri, chi prima, chi dopo, chi ad alta, chi a
bassa voce, approvarono. Non v'era più niente a dire. Le cravatte bianche
uscirono subito; ultimo uscì anche Cortis. Prese a braccetto il senatore che
aveva parlato, uomo di grande ingegno, dottrina e virtù, lo trasse con sé verso
via dell'Aracli, a forza, perché colui voleva piegare verso il Collegio Romano.
Se mi credevate matto disse
Cortis, nervoso, dovevate farmelo sapere prima.
L'altro protestò, ma Cortis non
parve nemmeno ascoltarlo, gli dichiarò che avrebbe mandato a monte società,
giornale e tutto, che si sarebbe ritirato davvero dalla vita politica. Il senatore
si provò di ammansarlo, di persuaderlo che avendo richiesto gli amici di
consiglio non doveva poi offendersi se il consiglio era dato liberamente.
Cortis negava di aver chiesto consigli ad alcuno; tenendosi legato a quella
gente, non aveva voluto muovere un passo senza dirlo, ma si era tenuto
sicurissimo di una piena approvazione. Non erano le solite idee discusse tante
volte sin da quando s'era stabilito di fare il giornale? No, no, Cortis lo
sapeva bene, si aveva gelosia di lui, si aveva paura di creargli troppa
influenza, troppa autorità. Il senatore no, ma gli altri sì; gli altri erano
invidiosi, nemici occulti. Non li aveva visti il senatore? Non li aveva uditi?
I radi viandanti si voltavano a
guardar quest'uomo alto e smilzo che parlava con tanta foga, con voce vibrante
di tanta emozione a quell'altro grosso e piccino, tutto mansueto nel suo
soprabitone all'antica. Questi cercava fermarsi sotto i fanali, a guardar
l'orologio, ma Cortis non gliel consentiva, gli stringeva più forte il braccio,
lo trascinava seco per isghembo, come un ragazzo riluttante. Solo alla salita
del Campidoglio il buon senatore si piantò su' due piedi risoluto a non
lasciarsi trarre più avanti.
Caro Lei, mi faccia il piacere!
diss'egli. Dove va?
Ho bisogno di camminare, di stancarmi
rispose Cortis. Non m'ha detto Lei che va qualche volta, la sera, al Colosseo?
Grazie tante! Alle otto! Per amor
del cielo! Alle otto. Son le dieci e mezzo, sa. A quest'ora sono sempre a
letto.
Perché desideravo stare un po'
con Lei. C'è poca gente ch'io stimi quanto Lei.
Grazie rispose il senatore con un
sorriso modesto e una voce cascante. Riverisco soggiunse facendosi piccin
piccino quasi per sfuggir meglio al suo terribile interlocutore. Cortis gli
strinse la mano e lo lasciò senza dir parola.
Camminava rapidamente, vedendo la
Camera, i vicini intenti a lui, intento il presidente; e, in faccia a sé, sotto
la tribuna di sinistra, l'orologio muto che veniva segnando, momento a momento,
il passar di parole irrevocabili, il passar di un'ora fra le più solenni, fra
le più gravi della vita di chi parlava. Talvolta la figura, lo sguardo d'Elena
gli fugavano ogni altra visione; ma poi quell'aula scura, quei volti oscuri e
marmorei, quel quadrante, quell'inesorabile lancetta tornavano. E si udiva
parlare, udiva il cicaleccio indifferente dei colleghi, poi le interruzioni, i
richiami, le ingiurie. Le sentiva veramente come schiaffi sul viso; un fiume di
collera gli veniva alla bocca; egli rispondeva a destra e a sinistra con
l'invettiva e il sarcasmo, solo contro tutti. Parole, attitudini, gli
tempestavano nella fantasia con rapidità crescente. E camminava camminava, con
i denti serrati, con le pugna strette, quando in piazza de' Fenili traballò
preso da un capogiro, dovette aggrapparsi al parapetto verso il Foro,
aspettare, ansando, che passasse. Quando le imminenti colonne spettrali di
Castore e Polluce ristettero di girargli attorno con gli altri grandi cadaveri
del Foro, tutti grigi di luna velata, rimase a guardare, quasi inconsapevole, i
tre fusti potenti, il colossale mozzicone d'architrave fermo sotto i nuvoloni
bianchi che veleggiavano all'Esquilino.
La pace dei secoli morti gli
entrò a poco a poco nel cuore. Riprese quindi adagio il suo cammino pensando, attonito,
a questa cosa nuova, a questo girar vertiginoso della vista, cui neppure una
volontà gagliarda come la sua poteva arrestare. Calma, calma, ci voleva; anche
per l'indomani. Non immaginò più niente, non ascoltò che il proprio passo nella
solitudine.
A un tratto si trovò sul viso il
Colosseo enorme, nero fino alle nuvole. I piccoli fanali non rompean l'ombre a
due passi. S'intravvedeva appena, in fondo all'entrata, l'arena chiara. Cortis
si cacciò in quel buio, avidamente, parendogli uscir dal tempo in un'aria
eterna, a riposare. La luna pendeva sul Celio, imbiancando in alto, a sinistra
di Cortis, le gigantesche vertebre nude dell'anfiteatro. Non si vedeva anima
viva. Solo un lumicino attraverso le arcate dell'entrata opposta, verso San
Clemente; solo di tempo in tempo un sordo rumor di ruote dava debole segno
della vita lontana.
Cortis si appoggiò a un rudere
del podio imperiale, nell'ombra. Il silenzio desolato, le immense rovine
cineree e nere gli davan l'idea di un cratere spento della luna, fra quelle
montagne morte, al crepuscolo. E tornavano, con questo triste sogno, il viso,
la voce d'Elena. Era ella dunque in un altro pianeta? Proprio in eterno non
sarebbe stata sua? Il cuore si mise a battere, a battere. Si strinse con le
mani il petto, temendo uno sfacelo di sé. Dio, Dio, cos'era questa prostrazione
dello spirito, cos'era quest'onda che gli veniva su su su alla gola, al viso,
così dolce, così amara, così forte? Lui, Cortis, piangere? Si voltò alla pietra
antica, vi affisse la fronte.
Pochi minuti dopo uno sciame di
gente sbucò nell'arena, si fermò all'entrata con degli:
Oh! Beautiful! Wonderful!
Cortis andò via.
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