L'avvocato Boglietti andò a casa
Cortis alle dodici e un quarto, e fu fatto entrare dal domestico nello studio
con l'ossequiosa preghiera di volervi aspettare un momento il signor padrone che
sarebbe venuto subito. Cinque minuti dopo vi entrò la signora Cortis, tutta
sorpresa di questo ritardo del deputato suo figlio, tutta dolente che il
signore dovesse aspettare.
Il signore, un po' sbalordito da
quella figura e da quella eloquenza di vecchia ballerina, fece delle proteste
cerimoniose.
Si accomodi disse la signora,
sorridendo sempre. Se permette...
Si accomodò anche lei, per non
lasciarlo solo. L'altro, poco disposto a questo colloquio inatteso, voleva
scusarsi, ma le sue parole confuse, trovando sempre quel sorriso melato,
vennero meno.
Il deputato mio figlio replicò la
signora è tanto occupato. Bisogna ch'Ella scusi.
Oh rispose l'avvocato lo so bene.
Anzi soggiunse devo congratularmi con la signora, poiché sento ch'è sua
madre...
La signora giunse le mani e alzò
gli occhi al cielo.
Sì, sì diss'ella, una madre
felice! Nessuno può saper quanto!
L'avvocato ebbe paura che glielo
volesse spiegare a lui, e, appena lo poté decentemente, trasse l'orologio.
Credo diss'egli che debba
trovarsi qui un'altra persona, secondo quanto il suo signor figlio mi ha
scritto stamattina. Non so se forse sia già venuta.
Posso sapere? mormorò la signora
Cortis porgendo la persona e il viso con il più officioso desiderio.
Un conoscente, suppongo. Il
senatore Di Santa Giulia.
Colei balzò in piedi.
Il senatore? diss'ella. Il barone
Carmine? Deve trovarsi qui?
Ma... credo! balbettò l'altro,
sorpreso.
La signora scappò dalla stanza
senza dir parola e tornò subito.
Non è venuto diss'ella, e adesso
mi spieghi, La supplico, perché deve venire? Oh, signore soggiunse aprendo
tragicamente le braccia e scotendo il capo, perché l'avvocato esitava un poco,
è una donna, è una madre, è la madre del deputato Cortis che glielo domanda!
L'avvocato sorrise.
Dio mio, signora diss'egli, non
s'inquieti. Non si tratta mica di duelli, si tratta di cose pacifiche.
Pacifiche! esclamò la signora
Cortis con una ironia da scena. Ella sa sicuramente, signor avvocato, che fra
certe persone non vi possono essere cose pacifiche. Oh sì! qui la signora alzò
un dito fatidico. Oh sì! fra certe persone...
Tacque, col dito in aria, e volse
il capo all'uscio, ascoltando.
Hanno suonato disse Boglietti.
Sarà il senatore.
La signora gli afferrò un
braccio.
Signore! diss'ella. Io La
supplico! Ella non mi ha parlato! Ella non mi ha visto!
Corse via, e l'avvocato guardava
ancora, a bocca aperta, l'uscio che s'era richiuso dietro a lei, quando il
vocione del senatore Di Santa Giulia disse dalla parte opposta:
Buon giorno.
Il senatore era dimagrito,
ingiallito, mostrava nella fisonomia qualche cosa di più scuro e sinistro; ma
la gran voce, la eretta persona e il fare prepotente non avevano mutato. Si
buttò di sghembo sul sofà, accavalcando le gambe e rovesciando il capo
all'indietro sui cuscini.
Oh diss'egli soddisfatto che
sagrato piacere ho di trovarmi con questo dolce avvocato mio! Scrivete bene,
voi, avete lo bello stile! Quella vostra lettera è di una forma squisita. La
sostanza pare un poco brigantesca, ma...
L'avvocato, rosso come un
papavero, voleva protestare. L'altro non si scompose punto, gli fe' cenno, con
un pacato agitar della mano, di starsene cheto!
Sss! Non ci riscaldiamo! Questa
gente del nord come piglia le cose! Siete bene piemontese voi? Ho detto pare,
pare. Pare ma non è, come la faccia del senatore Di Santa Giulia che pare
d'un terremotaccio ed è del più mansueto c... che sia. Oh santo diavolo, il
diritto è dalla vostra parte. Volete che confonda un avvocato con un
gentiluomo? Questione di diritto non c'è. E adesso ditemi cosa volete ancora da
me, voi e quest'altro mio reverendo cugino, padre Daniele della compagnia di
Gesù. Non mi avete scritto che volete il danaro al 31 marzo? È il 31 marzo
oggi?
L'avvocato non rispose. Si
lisciava i baffi guardando da un'altra parte.
Eh? riprese l'altro.
Parla con me? disse Boglietti.
Chi L'ha invitato a venir qua?
Cortis.
Parli col deputato Cortis.
Eccomi disse Cortis entrando in
quel punto. Chiedo scusa a questi signori.
Di che, di che? rispose il
senatore. Si aveva qui una conversazione piacevolissima con questo amabile
signore. Ora si può benissimo continuare. Stavo domandandogli cosa diavolo
voialtri due potete volere da me.
Niente, voialtri due disse
Cortis freddo. Chi vi ha pregato di venir qua sono io.
Ah, benissimo rispose colui. E
avete pregato anche questo signore?
Anche questo signore.
Bene, suppongo che avrete a
parlarmi di qualche cosa che riguarda voi, o della quale, almeno, avete il
diritto di parlare a me.
Gli occhi di Cortis scintillarono
un momento di sdegno e si spensero subito.
Perché continuò l'altro alzando
la persona e la voce, se si trattasse...
Vi ho pregato di venir qui
interruppe Cortis per parlarvi. Quando avrò parlato vi ascolterò.
Eh sentiamo! disse il barone
ricadendo a giacere, quasi, sul sofà. Si fuma?
Trasse un sigaro e l'accese senza
attendere risposta.
Cortis sedette alla sua scrivania
e cominciò a parlare stringendosi forte con le mani la fronte e le tempie.
L'avvocato aveva gli occhi fissi in lui, il barone fumava guardando il
soffitto.
Mi manca il tempo e la voglia
diss'egli di spendere delle parole inutili. Ho una proposta da farvi.
A chi? disse il barone.
A tutt'e due. Qualcuno che non
vuol essere nominato, è disposto, sotto certe condizioni, ad assumere il debito
del barone Di Santa Giulia verso...
Non seccatemi! gridò il senatore.
Questa persona è mia suocera e io prego il demonio che se la porti. Non
seccatemi!
Scagliò rabbiosamente il sigaro a
terra.
A' miei debiti ci penso io!
diss'egli.
Cortis aveva una pazienza
mirabile, quel giorno.
Vostra suocera non c'entra
rispose.
E allora? esclamò il barone non
può essere, ma se fosse quell'altra carogna di...
Zitto! proruppe Cortis calando
due gran pugni sulla scrivania.
Avete a sapere incominciò con
sommessa voce stridente il barone chino incontro a lui avete a sapere, e me ne
f... che lo sappia anche questo signore, che io ho dei debiti, molti debiti, ma
che voglio essere dieci, cento, mille volte più nobile dei vostri nobilissimi,
purissimi signori Carrè, della vostra arcivirtuosa signora zia e dell'arcigentiluomo
suo cognato, i quali mi hanno dato senza difficoltà qualcheduno che vale
veramente molto più di loro e anche più di me, se volete, e poi han difeso
pochi quattrini con le unghie e con i denti, me li hanno negati nel momento
opportuno, si sono fatti giuoco di me, hanno persuaso quella persona a mentire
la prima volta, credo, in vita sua, e adesso che hanno paura per il loro nome,
per la loro reputazione di gente onesta e generosa, adesso vengono ad
offrirmeli.
Ma che offrire! disse Cortis.
E adesso continuò l'altro senza
badargli, adesso io dico: no!
Cortis fece un atto di stanchezza
e di tedio, poi rispose quasi sottovoce:
È inutile. Nessuno di casa Carrè
vi offre niente.
Il barone si strinse nelle
spalle.
Eh, santo Dio! diss'egli. Chi
volete...!
Non andate a cercare. Qualcuno
che io non nominerò mai, qualcuno che non vi è né parente, né amico.
Cortis parlava a mezza voce,
stanco, chiudendo gli occhi ad ogni tratto e sfiorandosi con una mano la
fronte.
E perché? disse il barone. Questa
persona, perché vuol pagare i miei debiti?
Il perché non è affar vostro. Ma
c'è una condizione. La Presidenza del Senato vi ha già fatto invitare un'altra
volta a rassegnare le vostre dimissioni, in un dato caso, da senatore del Regno.
La condizione è questa.
Il barone tacque un momento.
Ah diss'egli con un sorriso
sarcastico, pretendereste avere un incarico del Governo?
Io non ho nominato il Governo.
Il Governo, caro signor Cortis
replicò il barone avrebbe obbligo sacrosanto di fare per me questo e molto più
nobilmente; perché poi vi dirò che quando non mi credessi più degno di sedere
in Senato, ne uscirei di mia libera volontà, e la vostra condizione è malvagia.
Ma in ogni modo, prima di pronunciarmi, voglio che mi dichiariate se è
veramente il governo che mi offre questo.
È solo al signor avvocato rispose
Cortis che dovrò dichiarare il nome del suo nuovo debitore. È lui che deve
dirmi se gli soddisfa. Io non farò altre dichiarazioni ad altri.
Sta bene esclamò il senatore
alzandosi. Non ci sono dichiarazioni, non ci sono condizioni, non ci sono
persone anonime, non c'è niente. Ci sono io, caro signor cugino e caro signor
avvocato. Il signor avvocato mi ha scritto una lettera alla quale io
risponderò, in un modo o nell'altro, prima del 31, e ora buon giorno a tutt'e
due.
Un momento! disse Cortis, alzando
la mano verso di lui.
Ho facoltà di togliere la
condizione.
Non me ne importa rispose il
senatore.
Cortis si alzò in piedi.
Fermatevi! diss'egli.
Colui si strinse nelle spalle,
aperse l'uscio e, piantandosi il cappello in testa, disse senza voltarsi:
Complimenti.
Gran bestia! esclamò l'avvocato
quando l'intese discendere le scale.
Cortis s'era rimesso a sedere con
le tempie in mano.
Dunque sono io diss'egli.
L'avvocato lo guardò senza comprendere.
Io che pagherò soggiunse Cortis.
Lei non comprende. Io sono amico del conte Carrè. Se fosse qui, se lo si
potesse informare di tutto, pagherebbe. Ora ci sono ragioni particolari di
sbrigare la cosa. Dunque, se Lei non ha obbiezioni, la sua cliente mi cede il
credito verso Di Santa Giulia, e io mi obbligo a pagarle la intera somma entro
quindici giorni.
Si figuri! esclamo l'avvocato.
E Lei farà sapere subito al
senatore ch'egli è prosciolto da qualunque obbligo verso la Banca. Nient'altro.
S'immagini! Ella fa un atto
nobilissimo.
Niente affatto rispose Cortis.
Sono un negotiorum gestor. Gliel'ho detto. Prende un punch?
No, l'avvocato non prendeva punch
a quell'ora. Cortis suonò, ordinò un punch forte e il caffè.
Bisognerà scrivere qualche cosa
diss'egli.
L'avvocato rispose che non c'era
fretta. Avrebbe preparato con comodo l'atto di cessione e Cortis lo avrebbe
sottoscritto l'indomani. Ma Cortis volle che si facesse almeno un preliminare,
lì, seduta stante. Allora il Boglietti, dovendo recarsi per certe carte al suo
studio di via Sant'Ignazio, uscì, promettendo tornare dentro pochi minuti.
L'uscio in faccia alla scrivania
di Cortis si aperse pian piano, sua madre porse il viso a guardare se
l'avvocato ci fosse ancora, poi entrò precipitosamente.
Daniele, no! gemette con voce
soffocata, giungendo le mani. Daniele, no!
Cosa c'è? diss'egli.
La signora Cortis si buttò
ginocchioni, appoggiò la fronte alla scrivania e ruppe in singhiozzi ripetendo:
No, no, no!
Egli le domandò due o tre volte
con dolcezza cosa volesse dire questa scena, ma poi, non potendo trarne che
gemiti, fu preso da un impeto di collera, le gridò di parlare o di escire.
Oh Dio, Dio! diss'ella. Non devi
sottoscrivere.
Cosa, non devo sottoscrivere?
Niente!... Per quell'uomo che è
andato via prima, niente!
Vedo che dovrò mettere delle
doppie porte. Ma perché non sottoscrivere?
Ella non rispose che a
singhiozzi. Allora Cortis si ricordò delle parole misteriose dettegli da lei a
Lugano.
In nome del cielo diss'egli,
alzatevi e parlate. Alzatevi, dico!
Sua madre si alzò tenendosi a due
mani il fazzoletto sugli occhi e andò lenta, curva, verso il sofà. Giuntavi,
alzò le braccia.
No, disse, come parlando fra sé,
non lo posso permettere! E sedette nascondendosi da capo il viso.
Cortis fremeva.
Adesso sarà qui l'avvocato
diss'egli, e voi non potete restare. Se avete qualche cosa a dire, ditela
subito.
Ella si alzò in piedi adagio
adagio, diritta e pallida come un fantasma. Per la prima volta, forse, Cortis
poté vederle arder negli occhi una passione vera.
Sai diss'ella sottovoce, senza un
gesto che egli era amico di tuo padre?
Chi?
Di Santa Giulia.
So che ce l'avevano raccomandato
quando era tenente di cavalleria e che veniva poco in casa nostra.
Sì, ma ci vedevamo spesso fuori.
E sai il paese? gli anni? Ad Alessandria, fra il 53 e il 55.
Cortis piegò il viso, si recò la
mano alla fronte, come se pensasse a raccogliere i propri pensieri. La tolse
subito, ne appuntò l'indice a sua madre, inarcando le ciglia.
Sì diss'ella il tempo della mia sventura.
Tacque; i loro occhi
s'incontrarono, si parlarono. Un subito tremito invase Cortis, una subita
angoscia gli corse al viso. Si protese, sbarrati gli occhi, a sua madre.
Lui? chiese con voce soffocata.
Ella ansava, ansava, lo guardava
sempre e non rispondeva.
A un tratto il viso di Cortis
diventò freddo.
È il secondo che accusate
diss'egli, buttando in aria un braccio e la mano spiegata.
L'altro era morto rispose sua
madre. Speravo di salvarmi. E poi ho le prove.
Che prove?
Ho un biglietto che mi scrisse
quando, cacciata di casa, andai a cercarlo a Valenza, dov'era in distaccamento.
Ella parlava ora impetuosa, con
tutt'altro accento dal solito, sentendosi a fronte uno scetticismo che sapeva
di meritare spesso ma non questa volta. N'era irritata e trovava nella
irritazione, senza saperlo, l'accento della sincerità.
Il biglietto l'ho qui diss'ella
traendosi una carta dal seno. Sapevo già che non mi avresti creduta. Crederai a
questo. L'ho conservato sempre con la fede che verrebbe il momento della vendetta.
È venuto. Capisco che forse faccio del male anche a me, ma non importa.
Cortis si strinse le pugna alle
tempie, aspirò l'aria con violenza, a bocca aperta.
Sua madre gli porse il biglietto
in silenzio. Egli guardava la mano stesa e quel pezzo di carta che tremavano,
tremavano; non osava pigliarlo.
Una scampanellata all'uscio della
scala.
Vi prego di uscire disse Cortis
trasalendo. È qui l'avvocato.
L'avvocato? Mandatelo via subito.
Vi prego replicò l'altra
imperiosamente.
Ella tornò attrice, brandì il biglietto
ritirando il capo fra le spalle e guardando fiso suo figlio; poi glielo posò
con un gran gesto sulla scrivania e uscì a lenti passi, non senza essersi
fermata sulla soglia a levare e scotere in alto le mani congiunte.
Cortis prese il biglietto. Era
una carta di visita del barone Carmine Di Santa Giulia, ufficiale di Genova
cavalleria, e vi si leggevano queste parole di suo pugno a matita:
Te lo meriti. Nei panni del
dottore avrei fatto lo stesso. Guai se le signore belle e buone adottassero
questo sistema! Tuo marito è poi anche militare e mio superiore di grado. Io ho
già voltato pagina, voltala anche tu. E buona fortuna. Dopo tutto non sono
neppur sicuro della paternità che vuoi affibbiare a me.
Eccomi qua disse l'avvocato,
entrando. Non ho fatto presto? Tengo anche la carta bollata.
Cortis alzò la testa, lo guardò
con due occhi vitrei.
Se mi permette continuò
l'avvocato accostandosi alla scrivania metto giù queste due righe.
Credette forse che Cortis gli
cedesse il proprio posto, ma, poiché quegli non si mosse, si rassegnò a pigliar
un'altra sedia e vi si acconciò, come poté meglio, a scrivere:
Colla... presente... privata...
scrittura...
Posò la penna e interruppe il suo
soliloquio spezzato per rivolgersi a Cortis.
Io avrei pensato di far così diss'egli,
anche per evitare spese... Le pare?
Cortis accennò appena del capo,
senza rispondere; e l'altro, ripresa la penna, proseguì il suo lavoro,
articolando, mano a mano, le parole che scriveva.
... da valere... nel miglior
modo... che... di... ragione...
Cortis abbrancò una penna con le
mani convulse, la storse, la spezzò d'un colpo.
Cosa c'e? chiese l'avvocato.
Cortis saltò in piedi, afferrò
colui per le spalle, gliele strinse.
Scriva, scriva! diss'egli; e si
pose a camminare su e giù per la stanza.
L'altro stava a guardarlo,
stupefatto. Cortis si fermò, gli disse co' denti stretti, battendo il piede a
terra:
Vuole scrivere?
Poi andò diritto alla porta
ond'era uscita sua madre, e, trovatala socchiusa, la chiuse con un colpo
terribile, sbattendo a terra la chiave, dall'altra parte. Stette un momento a
capo basso, quasi a pensar che fosse quel tintinnìo; poi andò a sedere sul
sofà. L'avvocato, che non capiva niente di questa burrasca, lo guardò alla
sfuggita. Pareva impietrato. Quegli continuò a scrivere in silenzio.
Dopo dieci lunghi minuti depose
la penna e guardò Cortis da capo, lo vide nella stessa attitudine di prima.
Ecco diss'egli, è finito. Scusi
soggiunse vedendo che l'altro non si moveva. Le è succeduto qualche cosa?
Cortis scosse il capo, nervosamente.
Adesso Le darò lettura dell'atto
soggiunse l'avvocato. E lesse l'atto, fermandosi ogni tanto a correggere una
parola, a mettere i punti sugl'i.
Lei salva forse una vita umana
disse poi, cercando smuovere blandamente Cortis dal suo silenzio.
Lo sa? esclamò questi, avido.
Ma!... Lo so!... Io non posso
mica dire e nessuno può dire di saperlo. Queste non son cose che si sappiano.
Io, naturalmente, mi sono un poco informato. Mi hanno riferito certi discorsi,
certi atti... una storia d'un revolver che avrebbe fatto vedere alla padrona di
casa... insomma, un complesso!... Forse fanfaronate, forse no... non so...
secondo il carattere dell'uomo. Lei lo conosce più di me.
Cortis taceva sempre. I suoi
occhi spalancati, immobili, dovevano veder qualche cosa, là sul pavimento.
Sì, delle visioni passavano,
trasmutandosi continuamente sul pavimento, come ombre segnatevi dal rapido moto
di una mano alta e occulta dietro le spalle di Cortis. Era il viso di suo padre
che si trasfigurava in tutti gli atti diversi della vita e della parola, e poi
nella quiete marmorea della morte; riapriva quindi gli occhi, si alzava piano
piano dal guanciale, si erigeva con tutta la persona in faccia a un'altra
figura, alla figura dell'uomo partito poc'anzi, il quale lo guardava alla sua
volta fumando e ghignando.
Se crede di sottoscrivere...
disse l'avvocato. Prima Lei e dopo io.
Cortis, acceso in volto, alzò le
pugna strette, ringhiò fra i denti.
Non scrivo niente.
L'avvocato trasalì, batté il
dorso alla spalliera della seggiola, allargando le braccia, inarcando le
ciglia.
Niente! tonò Cortis a voce
spiegata. Colui stette un pezzo a guardarlo, si strinse nelle spalle, si alzò e
raccolse le proprie carte.
Allora balenò a Cortis una
terribile idea, tutta la stanza gli si empì di queste parole: S'è ammazzato di
Santa Giulia. Ed era lui che l'aveva ucciso con il suo rifiuto, che aveva fatto
libera Elena. Il rimorso gli stringeva il cuore; e vi mesceva una sorda
angoscia, uno spavento di non aver più la sua calma usata, la sua ferrea risolutezza.
E adesso diss'egli, scaduto il
termine, lei cosa farà?
Lo sa bene. Denunzia immediata al
procuratore del re per appropriazione indebita.
In quel momento si picchiò
all'uscio. Cortis si scosse, alzò il capo, ma non rispose. Si picchiò più
forte. La voce flebile della signora Cortis disse:
Daniele! Daniele! Una parola
sola! Ti supplico!
Aspettate! rispose Cortis,
risoluto, aggrottando le ciglia. Chiuse un istante gli occhi, poi si alzò in
piedi, chiese all'avvocato:
Che ore sono?
Era la sua solita voce chiara e
imperiosa, stavolta.
Colui guardò l'orologio.
Il tocco e mezzo.
Cortis trasse il proprio.
Il mio ritarda mezz'ora in punto
diss'egli e lo regolò. Poi andò dritto alla scrivania, prese la penna, fece all'atto
una gran firma furiosa, porse silenziosamente la penna all'avvocato, e quando
questi, tutto sbalordito, ebbe pure sottoscritto, gli fe' cenno di andarsene e
disse forte:
Avanti!
La signora che entrava e
l'avvocato che usciva s'incontrarono sulla porta. Ella lo squadrò rapidamente,
gli lesse la soddisfazione in viso, interrogò con gli occhi atterriti suo
figlio ritto in mezzo alla stanza.
Vi prego disse Cortis di
avvertire che il punch e il caffè non occorrono più. Debbo andare alla
Camera. Fatemi trovar pronto il letto al mio ritorno.
Oh Dio, Daniele esclamò sua
madre, sei malato?
No, sono stanco, ho sonno.
Prese il cappello.
Daniele! gemette la signora.
Egli fece due passi verso
l'uscio, poi tornò indietro, suonò per il domestico e gli disse cadendo sul
sofà:
Fa venire una vettura.
Il domestico lo vide stravolto,
disfatto, si arrischiò a dirgli di non muoversi.
Debbo andare rispose Cortis e si
curvò, cupo, sulle ginocchia accavalciate. Sua madre lo guardava, non osava più
parlargli.
Egli partì due minuti dopo, con
l'occhio fisso, quasi barcollando. Giunto sulla scala disse al domestico:
Se mi succede qualche cosa,
avvertire subito la contessa Carrè, alla Minerva. Qualunque ordine vi si dia!
soggiunse accennandosi alle spalle col pollice.
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