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Avevo in mente di lasciar presto
Milano e di passare il luglio a Madesimo, ma conoscevo tanto il maestro Chieco
e tanto poco il Tirolo, che forse avrei mutato piano, se quella bestia, secondo
la quale, tra parentesi, a Milano neppur si fa un risotto senza 'il ragionàt', il ragioniere, mi avesse indicato meglio il
suo Castello Tonchino o Catino o Tapino e la via da tenere. La lettera, per
verità, aveva il timbro di Trento, ma era poco. Mi stizzì e non ci pensai più.
Otto giorni dopo ricevetti un'altra lettera con il timbro di Vezzano, dove una
tale Purgher scriveva che il signor maestro Chieco,
alloggiato nel suo albergo, era pericolosamente ammalato e mi desiderava come
il migliore dei suoi amici. La signora Purgher m'indicava di prender a Trento
la diligenza delle Giudicarie fino al ponte delle Sarche, dove nei giorni
quattro e cinque luglio avrei trovato persona
incaricata d'accompagnarmi dal mio amico. Partii subito e arrivai nel
pomeriggio del quattro luglio sotto un sole cocente,
al ponte delle Sarche.
Pochi minuti
prima avevo riconosciuto
a destra la nuda montagna scoscesa sopra il mio capo, a sinistra il laghetto
celeste ai miei piedi. Scure collinette boscose lo cingevano dall'altro lato:
dietro a quelle si levavano altri monti di un verde più gaio; ma laggiù, verso il Garda, il cielo scendeva quasi fino alle ondicelle
azzurre, tutte trepidanti nell'ora del gran lago marino invisibile a
mezzogiorno. Vidi il pugno di terra, sporgente della riva, e sulla punta, il
castelluccio ritto e fiero come un falco.
Al ponte delle Sarche trovai una
servotta tedesca che mi seppe solo dire Purgher, Purgher. Entrai con lei nella
piccola penisola, seguendo un parapetto merlato, un baluardo a riposo, con
tanto di cipressi e di rose. Fuori dai merli
luccicavan l'acque, tutte vento e sole; dentro viveva e si moveva, sotto l'alto
fantasma del castello, un affollato disordine di erbe rigogliose, di fiori
incolti, di arbusti selvaggi, di piccoli pini imbozzacchiti.
Ascendemmo lungo il giro del parapetto,
sino all'andito male intagliato nella viva roccia che mette
nel cortile del castello; un gibboso macigno, questo cortile, inquadrato di
mura nere, di logge medioevali, con pitture mezzo stinte, con un chiasso, sui
parapetti, di geranii in fiore.
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