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Mi fece udire quella sera stessa,
sopra un piano scellerato, la sinfonia e, in parte, il primo atto della sua Tempesta.
Per vero dire, l'imitazione delle onde, del vento, dei tuoni, delle urla non mi
è sembrata mai, con licenza dell'amico, straordinariamente felice in quella
sinfonia; l'ultima melodia, che figura il canto di Ariele
quando acquieta il mare, è soave, ma ricorda forse un po' troppo la Canzone
di Primavera di Mendelssohn... Invece il pezzo sinfonico che segue,
eseguito dall'orchestra a sipario alzato e scena vuota, mi parve veramente,
come parve al pubblico, sublime. La musica non è descrittiva ma seconda
mirabilmente l'immaginazione dello spettatore che sappia
essere quella una isola deserta dell'Oceano popolata da spiriti obbedienti a un
mago, e dove si prepara uno strano dramma in cui avranno parte quelle aeree
potenze misteriose e tante passioni umane.
L'amico mio infondeva nella sua
esecuzione una vita indiavolata, mi gridava i nomi degli strumenti, li imitava
con la voce, urlava nei punti di grande sonorità, rovesciando
il capo all'indietro, tempestando con le braccia e con le gambe. Mi fece udire,
con gli altri pezzi il duetto originalissimo di Calibano e Ariele, di cui non
erano per anco scritti i versi. È il duetto dell'anima mi
disse Chieco. Shakespeare non lo ha immaginato, ma io sì. Lo faccio
precedere da un assolo di violoncello che è divino. Te lo suonerò, poi, fuori
di qui.
Il bizzarro uomo suonò infatti più tardi questo pezzo ispirato a capo della scala
che scende nel cortile, presso una finestra poetica da cui si domina il lago e
si vedono giù, porgendo il capo, le alte mura, lo scoglio, i salici e i fichi
selvaggi che ne sbucano a pender sull'acqua. Io sedevo sulla scala, cinque o sei gradini più sotto.
Il violoncello sospirava e gemeva
più dolcemente di qualsiasi voce umana. Il vento sibilava
nelle logge, sbatteva ogni tanto qualche uscio per le solitudini del
castello. Un soffio più forte spalancò la finestra, portò
dentro il rumore delle onde. Pareva di essere in un'altra isola incantata, di
udire un altro Ariele, altre voci confuse di spiriti. Possibile che la sera
prima, a quell'ora, io stessi pranzando in Galleria Vittorio Emanuele? Mi
pareva un sogno, mi sentiva una vaga commozione, una inquietudine
inesplicabile.
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