R. SCHUMANN. (Dall'Op.
68).
Si ardeva, l'altra sera, nel
salottino giallo di donna Valentina. Il calorifero ci soffiava fuoco nelle gambe.
La bella dama vi brillava tra un sistema planetario di globi lucenti; perché
una lampada splendeva sul piano, due lampade splendevano sulle consoles,
un astro discreto luceva fra le orchidee della giardiniera, un astro
azzurrognolo, sospeso a mezz'aria, fiammeggiava sul nostro capo. E poi c'era
una fragranza così turca di sigarette di Salonicco; e poi donna Valentina era
così africana, con quei capelli neri più folti, con gli occhi più grandi e
indolenti che mai, con la corazza nera, con i guanti che le facevano due
lunghe, sottili mani d'ebano. Io guardavo, inquieto, la signora; suo marito
guardava, inquieto, il termometro; gli altri personaggi, un giovane biondo, un
vecchio elegante e un maturo ufficiale di artiglieria, innamorati tutti e tre
di donna Valentina, erano in ebollizione.
A lei poi venivano delle idee
nubiane. Si disputò se la musica possa raccontare e descrivere, o no. Donna
Valentina compativa nel suo languido modo indolente, con le sopracciglia e il
sorriso, con qualche parolina sommessa, il povero marito infuriato al no contro
i tre che lo caricavano, artiglieria in testa. Io tacevo. A un tratto la
signora si alzò dal divano, pigliò fra la sua musica un fascicolo dell'Arte
antica e moderna di Ricordi; il fascicolo decimoquarto, mi pare. I tre si
ritirarono subito, in disordine, per acclamarla e accendere la candele del
piano. L'uno d'essi, però, il vecchio signore, non fu abbastanza lesto e rimase
prigioniero fremente del marito, che non gli dava quartiere con le sue mazzate
di positivismo greggio.
Una prova disse la signora,
aprendo il fascicolo sul leggìo. Io suono loro due pagine di musica. Se v'è
musica che parli, è questa. Qui c'è una scena e una storia, chiarissime.
Ciascuno di loro me la traduca subito in iscritto. E non ci sono scuse! - Lei
tradurrà in versi mi diss'ella.
Chiesi venir dispensato dai
versi, avendo posata, secondo il solito, la mia letteratura nell'anticamera,
con il soprabito. E poi una traduzione in versi non s'improvvisa. Intanto i due
zelanti accendevano una candela per ciascuno, e io nascosi male un sorriso,
chinandomi a leggere, in capo alle due pagine di musica:
R. SCHUMANN
(Dall'Op. 68)
Donna Valentina vide il sorriso
e, perché ci conosciamo bene, v'intese un volume di cose, sorrise pure, con la
finezza più europea, con uno sguardo molto lungo, molto sospetto; il quarto o
il quinto che avevo da lei, quella sera.
Scettico! diss'ella, sotto voce.
E strappò dalle viscere del piano il ripetuto angoscioso gemito che apre quella
stupenda pagina di musica e vi ritorna ogni momento.
Aveva una sera felice. Nel
'pianissimo' del ritornello, dopo le prime otto battute, mi parve proprio udire
il lamento di un'anima. Gli adoratori della dama, tuffati in tre poltrone, ascoltavano
con una tal quale segreta angustia, contemplando l'astro azzurrognolo sospeso
in aria. Finito il pezzo, ne chiesero ed ottennero la replica; dopo di che il
salottino giallo diventò un Parnaso all'opera.
L'ufficiale, che nel conversare
sciabolava de omni re scibili, si trovò, dopo due minuti, tutto attonito
di non essere in vena; smise, per il suo meglio, di tirarsi i baffi e le idee.
Il vecchio signore, il giovine biondo ed io, presentammo a donna Valentina le
nostre opere complete.
Adesso si legge diss'ella. Già la
scena è nel deserto, e sono due amanti che vi muoiono insieme.
Il giovine diventò rosso e voleva
riprendere il suo parto, ma donna Valentina non lo permise, riconobbe che la
musica era una lingua senza dizionario e senza grammatica da non potersi
tradurre lì per lì con sicurezza, e lesse ad alta voce questa prosa del vecchio
signore elegante, persona molto a modo, del resto, e ingegno colto, ch'era una
pietà di vedere umiliato ai piedi di lei da una passione ridicola.
MONDO DEI SOGNI - VALLE DELLE
ROSE
All'aurora
Folle sogno! Folle sogno! Nel
caldo Oriente io poso giovane con lei su le rose.
Folle sogno! Folle sogno!
Baciami, non parlarmi, bocca soave, non mi destare.
È lontano, è lontano, il freddo
paese della neve; son lontani i tristi giorni della vecchiezza.
È fuoco nel core, nel sangue, è
fuoco nel mare di rose, è fuoco nel cielo profondo. Bocca ardente, bocca
ardente, fuoco tu sei e mi divora la molle fiamma.
Ti scongiuro, ti scongiuro, non
obliarmi poi quando ci desteremo nel freddo paese, nei giorni tristi, quando
scura, muta sarà la fiamma che divora il mio petto, ma fervente, ma potente a
tornarti su le rose voluttuose per un giorno, per un'ora, a spirar fuoco nel
tuo cuore, nel tuo sangue; ne l'aura amorosa a le tue grazie circonfusa.
Pompe! Acqua! sussurrò
l'ufficiale, mentre il marito, che aveva spesso scompigliate, con il suo riso
grossolano, le rose dell'Oriente, esclamava: Grazie di quel deserto! Grazie di
quegli amanti che muoiono.
Deserto sì disse la signora sorridendo
amabilmente all'autore. Suppongo che i suoi amanti non ci vorranno mica dei flaneurs
in questa valle delle rose. E se non muoiono, dormono, sognano. To die, to sleep, perchance
to dream. Adesso la sua soggiunse sorridendo,
stavolta, al giovane biondo. E lesse:
UNA CATTEDRALE
Notte
La penitente. - Che dolore! Che dolore! Egli morì da
tanti anni ed è ancor piena di peccato l'anima mia.
L'amo ancora! L'amo ancora! Cerco
Dio, non trovo che lui, ardo sempre delle passate ebbrezze.
Uno spirito. - Amami ancora! Amami ancora! Da tanti
anni, nell'ombra della morte, sono ancora pieno di te.
Non ti dolere! Non ti pentire!
Solo mi ristora, nel tormento eterno, il tuo amore.
Il confessore. - No, non t'accostar così al Sacramento,
non muovere ad ira il Signore, va, prostrati sul marmo di gelo, prega e piangi,
prega e piangi, forse il tuo cuore avrà pace.
La penitente. - Egli soffre! Egli soffre! Io lo sento;
io non prego, non voglio esser mai felice, non dolermi, non pentirmi; forse lo
ristora, laggiù nei tormenti, l'amor mio.
Il confessore. - Empia, va, esci dal luogo santo, io
t'abbandono all'impuro fuoco. Forse perdona, forse perdona il Signore a lui,
non a te, mai.
La penitente. - Padre mio! Padre mio! Non lasciarmi,
t'oppongo le mie disperate braccia, prego e piango, prego e piango, mi pento,
mi pento, cado infranta a' piedi tuoi, Signore!
Conserva di romanticismo alle
cipolle disse l'ufficiale. Una cosa lagrimevole.
Io la trovo bellissima mormorò la
signora con squisita dolcezza d'ammirazione rattenuta, guardando ancora lo
scritto.
Specialmente soggiunse il marito
perché la cattedrale è un deserto; non c'è nemmeno il sagrestano, se quei due
lì, in confessione, gridano come disperati. E gli amanti non solo muoiono, ma
uno è bell'e andato da un pezzo.
Battista disse donna Valentina
non essere insopportabile! Vediamo un poco lei, cos'ha scritto soggiunse
volgendosi a me. Sono curiosissima.
Prese le mie povere fatiche, le
percorse con una rapida occhiata e sussurrò quasi parlando fra sé e sé:
Non capisco.
Lei sarà stato sublime mi disse
l'ufficiale.
Grande gli risposi inchinandomi.
Sublime è stato il suo silenzio.
La signora lesse:
IL POETA E LA DAMA
Il poeta. - Mia signora! Mia signora! Come può lei
sopravvivere a questo diabolico inverno?
- Mia signora! Mia signora! Non
gela il suo piccolo tepido cuore?
La dama. - Mio signore! Mio signore! Come vive
lei col suo cuore di ghiaccio? Mio signore! Mio signore! Io ho un morbido nido
caldo. Ho la mia stufa legittima che conserva ancora qualche bragia e manda di
tempo in tempo qualche languido focherello. Ma non basta! Ma non basta! Ho un
giovane caminetto dalle vampe bionde, che non mi brucia, mi consola, mi fa
sognare. Ma non basta! Ma non basta! Ho un maturo, bollente scaldamani, una
palla di cannone, coperta di panno ricamato d'oro, ch'io prendo tal volta per
trastullo posando il libro o l'uncinetto. Ma non basta! Ma non basta! Ho un
vecchio devoto scaldapiedi che mi serve tanto e manda pure il suo timido
tepore. E se talora ho troppo caldo, apro la finestra, e guardo il cielo. Pur
non basta! Pur non basta! Vorrei il vostro spirito di poeta, vorrei un'azzurra
fiamma di alcool per il mio thè, per il diletto degli occhi miei.
Il poeta. - Mia signora! Mia signora! Io mi
faccio, con il mio spirito, il mio umile caffè.
Questa roba agghiacciò tutti.
Scusi mi disse donna Valentina
cosa l'è venuto in mente?
Che vuole? risposi. Non capisco
la musica. Ho scritto una sciocchezza a caso.
Va bene replicò la dama. In pena,
lei non avrà il suo caffè, stasera. O thè con noi, o niente.
- FINE -
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