Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Il benefattore
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ENIMMA.

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ENIMMA.

 

- È possibile? - domandò Lelio Neri, interrompendo la sua narrazione.

- Tutto è possibile - rispose il vecchio professore di filosofia - anche l'assurdo; cioè quel che sembra assurdo alla presuntuosa nostra scienza.

- Dev'essere così! - esclamò Lelio. - Altrimenti i fatti che sto per raccontarle parrebbero invenzione di mente malata.

Avevo, dunque, notato che le apparizioni della mia bella vicina alla finestra si erano fatte meno rare; il suo contegno però non era mutato. Sollevava, al solito, a metà uno degli sportelli della persiana, affacciava la testa per guardare giù nella via; spesso, chiamava la sua mamma per farle osservare una persona che passava e che l'aveva colpita con qualche stranezza del vestito e del cappellino; ma se io tentavo di associarmi, in qualche modo, all'osservazione e alla risatina che la seguiva, tentavo inutilmente.

La indifferenza di quella bruna con occhi nerissimi, capelli così folti che pareva dovessero affaticarle la testa, con labbra rosse e fresche come ciliege, era riuscita ad irritarmi, a mettermi in puntiglio, anche perchè vi avevo sospettato un artificio, un'insidia, e volevo prendermi la rivincita.

Dovetti però presto convincermi che non si trattava d'artificio, d'insidia, e neppure di quella pudica civetteria che accresce grazia alla donna. Era proprio indifferenza assoluta e serena.

Infatti, le rarissime volte che ella mi aveva guardato - non abitavamo la stessa casa, ma la mia finestra era divisa dalle sue soltanto dallo spazio della cantonata intermedia - quegli occhi nerissimi non mi avevano fatto scorgere in lei niente che potesse indicare fastidio della mia insistenza tentatrice, o curiosità di scrutare le mie intenzioni, o altro sentimento qualunque.

Un giorno però, dopo parecchie settimane da che le sue apparizioni si erano fatte meno rare, fui lietissimo di osservare che, finalmente, ella si era affacciata alla finestra immediata alla mia, dove non si era affacciata mai fino allora.

Mi parve buon indizio; e appena ella volse la testa verso di me, le lanciai a voce abbastanza alta:

- Grazie! Grazie!

E chinai il capo con un lieve cenno di saluto.

Ella rimase alcuni istanti alla finestra; poi si ritirò senza guardarmi, non lasciando trasparire se avesse o no capito che quel: Grazie! fosse stato diretto a lei e che quel lieve cenno del capo significasse saluto.

Ero rimasto mortificatissimo, ma non scoraggiato.

La sera di quel giorno, verso le undici, stavo seduto a tavolino; non leggevo scrivevo. Fumando, con la testa tra le mani, riflettevo che il giocco, da parte mia, si era fatto serio, molto serio. Da semplice curioso, mi riconoscevo già innamorato, e lo apprendevo con un po' di dispiacere.

Interruppero queste riflessioni tre picchi alla parete dietro le mie spalle, tre picchi che mi sembravano dati con grandissima cautela.

Balzai dalla seggiola. La parete era intermedia tra le due case, e appunto quella mattina la bellissima bruna si era affacciata per la prima volta alla finestra della stanza accanto.

Stetti a origliare. I picchi furono replicati con lo stesso intervallo dei precedenti, e la loro intensità di suono aveva qualche cosa di così cupamente velato da far di nuovo sospettare che venissero dati con timorosa cautela. Picchiai tre volte anch'io e accostai l'orecchio alla parete. Mi pareva di udire un fioco e indistinto mormorìo proprio dietro il punto dove avevo accostato l'orecchio.

- Non capisco; vi prego di parlare più forte - dissi, mettendo le mani attorno alla bocca per raccogliere il suono della voce.

Mi fu risposto coi soliti picchi. Insistei, pregando:

- Parlate più forte!

Tutt'a un colpo, quasi la parete si fosse miracolosamente assottigliata, rimasi stupito di sentir pronunziare con voce debole, lenta, ma chiara:

- Questa sera non posso più. Domani, alla stessa ora!

- Grazie! Buona notte! - mi affrettai a soggiungere.

Non ebbi risposta. Picchiai tre volte; non ebbi risposta.

E passai la nottata in lieti fantasticamenti, facendo molte supposizioni per spiegarmi quell'atto così imprevedibile della mia bella bruna - potevo già chiamarla mia - e fabbricando mille castelli in aria intorno alle probabili conseguenze di esso.

E quanto mi parve raffinatamente furba il giorno dopo, quando la rividi alla finestra, indifferente e serena come le altre volte! Volli mostrarle che sapevo essere altrettanto furbo anch'io; e non le feci nessun cenno, e rimasi a fumare, con un libro aperto sul davanzale e gli occhi su la pagina di cui non distinguevo neppure una lettera, tanto ero, nell'intimo, gongolante di gioia.

La mia impazienza per poco non mi fece credere che qualche maligno Giosuè avesse fermato il sole. La sera non arrivava! E con che lentezza si movevano le lancette dell'orologio! Verso le undici, non stavo più a sedere, ma addossato alla parete, in attesa dei picchi avvisatori.

Furono tre, come la sera precedente, e questa volta mi diedero uno strano brivido per la schiena.

Risposi all'appello, e accostai l'orecchio alla parete.

- Voi non potete vedermi, io sì - ella disse.

- Come mai?

- È un mio segreto.

- Davvero? Che faccio in questo momento?

- Avete preso in mano il calamaio. Rimasi interdetto!

- E ora?

- Vi siete sdraiato su la poltrona.

- Che occhi avete? In che modo potete vedere a traverso il muro?

- Vi basti esser certo che vedo.

- Mi mettete paura.

- Lo so.

Era la verità: sentivo paura di quell'incredibile potere. E per ciò domandai:

- Mi vedete sempre?

- La notte.

- Perchè di giorno, siete così diversa con me?

- Perchè?...

- Rispondete: Perchè?

La risposta non venne. Attesi più di un'ora. Qualcuno, pensai, ha dovuto entrare in camera di lei e impedirle di continuare.

Che doveva importarmi della sua apparente indifferenza durante la giornata? Il mistero che circondava quel nostro amore mi riusciva deliziosissimo. E preparavo le domande da farle la sera dopo. Non dubitavo che la sera dopo ella sarebbe venuta a conversare con me, dubitavo però della sua potenza visiva a traverso il muro; attribuivo al caso la coincidenza delle sue risposte con la realtà.

E alle undici della sera appresso, ripigliavo la conversazione interrotta. Ora la sua voce era più forte, ma sempre lenta, quasi stentasse a penetrare la densità del muro.

- Rispondete alla domanda di ieri sera: Perchè?

- È inutile. E soffrirei nel dirvelo. Smettete d'interrogarmi.

- Voi che vedete a traverso i muri, leggete voi nel mio cuore?

- Sventuratamente!

- Vi dispiace che io vi ami?

- Non mi amate; amate un'altra!

- Io?... Vi ingannate; guardate bene.

- Guardo e vedo: amate un'altra!

- Non lo dite neppure per ischerzo. Amo te, soltanto te, da un pezzo! Tu hai finto di non accorgertene. Come sono felice di sapere che hai finto!

- Zitto! Mi contristi.

- Dio mio! Che cosa devo fare per disingannarti?

- Niente.

Mi parve di udire dei singhiozzi.

- Che cosa debbo fare?... Non piangere!

I singhiozzi si affievolirono. Giudicai che ella si era allontanata dal muro. Poi non udii altro, potei ottenere altre risposte. Ero invaso da profondo turbamento. E la mattina, rivedendo la bella bruna alla finestra, serenamente indifferente, cominciavo a sospettare che colei volesse divertirsi alle mie spalle, intrigarmi. A che scopo? Non sapevo darmene nessuna ragione.

Durante una settimana, attesi invano i tre picchi e la risposta a quelli da me fatti più volte per provocarli.

Ormai volevo uscire dall'incertezza, ottenere una franca spiegazione; lo scherzo m'irritava, come mi aveva irritato, prima, quel che avevo giudicato artificio di civetteria.

Picchiavo, ripicchiavo ogni sera, ma invano. Stavo per rinunziare a ogni tentativo, quando i soliti desideratissimi picchi si fecero sentire.

- Ah!... Già sospettavo non saresti più venuta a parlarmi.

- È l'ultima volta! - ella rispose.

- Chi te lo vieta?

- Il mio destino!

- Non mi ami dunque?

- Tanto! Ma... è inutile. Oggi tu hai pensato di chiedere la mano di quell'altra!

- La tua!

Sì, la sua; era proprio vero. Mi ero deciso di finirla... Perchè intanto ella si ostinava a parlare dell'altra? Che intendeva dire? A una nuova interrogazione, rispose:

- Non t'ama; non ti amerà! Soffrirai un gran disinganno!

- Ma chi è mai costei che eccita la tua stolta gelosia?

- Addio! Non mi udrai più!... Soffrirò con te, nascostamente. T'amo!... Addio!... Addio!

È impossibile esprimere con parole la desolante sensazione di quel suono di voce piena di pianto, il tremito di quelle ultime sillabe che sembrava si allontanassero, si allontanassero e dileguassero distante!...

Come rimanessi è facile capirlo. L'impressione dell'ignoto, del mistero, mi teneva inchiodato presso il muro, con un senso di sgomento e di terrore che mi gelava il sangue. Quando potei muovermi, riprendere coscienza della realtà che mi circonda va, e riacquistare la certezza che non ero stato vittima di un'allucinazione durante le notti in cui la fioca voce si era fatta udire a traverso il muro, io ebbi la debolezza di cedere alla pressione di quello sgomento, di quel terrore. E siccome avevo udito i colpi di tosse del fratello della mia padrona di casa, nell'altra stanza, finsi di aver sospettato che stesse male, ed entrai da lui che era ancora in piedi e che si sentiva soffocare dall'asma. Vegliai tutta la nottata con lui.

In quell'occasione, egli mi disse:

- Prima, tempo fa, io occupavo la vostra stanza; e nelle nottate bianche, come questa, qualche volta ero talmente sfinito dall'insonnia, che mi sembrava di udire dei picchi alle pareti, al soffitto, nel centro del pavimento; picchi, ora lievi, ora forti, che arrivavano fino a svegliarmi, se per caso lo sfinimento mi faceva chiudere gli occhi a un pisolino. Ho dovuto cambiare stanza per dormire tranquillo, quando mi riesce di dormire. L'immaginazione alterata è capace di farci sentire e vedere quel che non è.

- Avete anche visto? - gli domandai ansioso...

- No, non sono arrivato fino a questo punto. Ma avrei potuto arrivarci. Dicono che in quella stanza sia morta di consunzione di amore una parente del proprietario della casa, e si è formata la leggenda che vi si sente... Io lo sapevo, e la mia fantasia certamente lavorava senza che io me n'accorgessi, e mi produceva quelle allucinazioni... Sciocchezze! Quando siamo morti... siamo morti! Io credo che tutto finisce nella fossa.

Eppure, udendolo parlare così e tossire e ridere e tornare a tossire, mi sembrava che io fossi passato da una allucinazione a un'altra. Non osai di confermargli: Ho sentito anch'io, e qualche cosa di più dei picchi alle pareti!

Due giorni dopo, col pretesto dell'arrivo di un mio zio, abbandonavo quella casa.

Per una di quelle combinazioni che noi sogliamo attribuire alla scarsa immaginazione dei romanzieri in impiccio, ma che sono frequenti nella vita più che non si creda, alcune settimane dopo, io, che non avevo mai avuto occasione di incontrarmi con la mia bella bruna, mi trovavo faccia a faccia con lei presso una famiglia di comune conoscenza. La padrona di casa mi presentava.

- Oh, - disse la signorina - conosco bene il signore! Era nostro vicino fino a poco tempo addietro.

- Come mi ha riconosciuto? Non mi guardava mai, tutte le volte che si affacciava alla finestra.

- Quando abbiamo l'aria di non guardare, noi donne - ella rispose - vediamo meglio. E perchè ha lasciato quella stanza?

Eravamo soli, in un angolo, in quel momento; ed io mi sentii tutt'a un tratto il coraggio di dirle:

- Ah, signorina!... Per lei!

- Per me?

- Sia sincera; non gliene voglio! Si è divertita a burlarsi di me con quei picchi alla parete, con le stranissime cose che si è piaciuto di darmi a intendere?

- Io?...

E mi guardava con certi occhi spaventati, quasi temesse di aver da fare con un pazzo. -. Non è stata lei?... Ma dunque...

Rideva, rideva... e protestava:

- Si figuri! Io dormo all'estremità opposta. Qualcuno in quella casa si è divertito con lei.

- No; i picchi e la voce venivano dall'altra parte...

Rideva, rideva... e protestava:

- È impossibile!

- Chi dunque mi diceva...? Chi dunque mi rispondeva?

Riferii i dialoghi parola per parola.

- Che vuole che ne sappia? - ella disse.

E, presa da femminile curiosità, dopo un attimo di esitanza, soggiugeva:

- E chi era quest'altra di cui le diceva che era innamorato?

- Lei, signorina!... E diceva la verità!

- Io? Io sono fidanzata - ella rispose, cessando di ridere.

Lelio Neri fece una breve pausa; poi si rivolse al vecchio filosofo che era stato ad ascoltarlo attentamente:

- Che cosa debbo credere? A un'inesplicabile allucinazione? Alla leggenda? Noti che allora io la ignoravo.

- Che vuoi che ti risponda? - concluse il filosofo, scrollando la grossa testa canuta. - Amleto ha detto: Vi sono, Orazio, tante e tante cose nel cielo e nella terra che la vostra filosofia ignora! - E non si può ancora dire niente di più savio intorno a questo argomento!

 

FINE.


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