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VII.
UNA SCOPERTA ARCHEOLOGICA.
Il giorno dopo, si presentava all'impresario piemontese:
- Vorrei lavorare.... -
- Ma voi non siete operaio.
- Sapete leggere e scrivere? Qui gli operai, i contadini, sono più ignoranti delle bestie.
- Sono brava gente, però, - rispose Cardello.
- Non dico il contrario; ma io ho bisogno di qualcuno che sappia leggere e scrivere.
- Alla meglio, pochino so, e so anche far di conto, addizione, moltiplicazione, divisione, sottrazione!
- Che mestiere esercitate?
- Ho fatto... il servitore finora, due anni. Prima, ero giovane di don Carmelo il burattinaio, quello che ammazzò la moglie.
Vi prenderei per sorvegliante, giacchè sapete leggere. Una settimana di prova: se vi va, se mi andate, bene; altrimenti, ciao! -
Così Cardello diventava sorvegliante di una squadra di operai, e dopo un mese, era la mano diritta dell'impresario che gli aveva dato alloggio in casa sua, e lo mandava qua e là e si faceva preparare il desinare perchè il Piemontese (lo chiamavano così) mangiava una volta al giorno, ma quella volta diluviava e beveva per quattro, da sbalordire Cardello che non sapeva persuadersi dove quegli mettesse tanta roba, secco e allampanato com'era.
Di enorme, colui aveva soltanto gli orecchi, che sembravano due sotto coppe appiccicate dietro le tempie, e si movevano stranamente mentre masticava; Cardello guardandolo, si tratteneva a stento dal ridere.
Or accadde che nello scavare la conduttura, gli operai incontrassero sotto i picconi e le zappe una gran lastra di pietra. Sollevàtala, fu scoperta una tomba con le ossa di uno scheletro mezze abbruciacchiate, due bei vasetti verniciati neri con figure in rosso, e tre vasetti e una lucerna rozzi, di terra cotta senza vernice.
- Fermi! - gridò Cardello: - Nessuno tocchi niente. E tu - soggiunse rivolto a un operaio: - va' a chiamare il padrone. Intanto scaviamo più in là. -
Quando l'impresario arrivava, era già in vista, a fior di terra, un'altra tomba.
Cardello tentava di sollevare da solo la lastra, con grande precauzione, perchè gli oggetti che forse vi si trovavano dentro, come nell'altra, non venissero danneggiati.
Visti i primi vasetti, l'impresario, con gli occhi sfavillanti di gioia, gridò agli operai che si erano affollati attorno a Cardello:
- Via tutti, al lavoro! Laggiù! -
Palpava i vasetti, li ripuliva col fazzoletto dal terriccio che vi si era appiccicato attorno, e diceva a Cardello:
- Su, pòrtali a casa, involtati in questo giornale, e torna sùbito. No, aspetta. Solleviamo questa lastra. Farai unico viaggio. La lastra resisteva, come avea resistito ai soli sforzi di Cardello.
- Sono del tempo dei Saraceni - diceva questi, intendendo di accennare all'epoca più remota ch'egli potesse concepire. - Bevevano poco costoro, - soggiunse: - se usavano questi fiaschetti col collo lungo. -
E rise.
Non rideva il Piemontese, a cui per la gioia della scoperta, erano diventati rossi infocati gli enormi orecchi.
- Scalza il terreno da quel lato, leggermente; io farò leva col palo da questo. -
All'urto del palo, la lastra si spezzava, affondandosi nella tomba e stritolando i vasetti che vi erano dentro.
Il Piemontese cominciò a bestemmiare nel suo dialetto; Cardello credeva così, non intendendo la sequela di countag! che gli scappavano di bocca, mentre egli rovistava tra il terriccio raccattando i pezzi, e tentando d'indovinare come avrebbero dovuto essere incollati. Il peso della lastra aveva spezzato i più fragili e i più belli: tre, di semplice e rozza terracotta, erano rimasti intatti.
- Ecco dei soldi, - esclamò Cardello, tirando fuori alcune monete di rame.
- Cerca bene; vi saranno altre monete.
E il Piemontese frugava intentamente anche lui, carponi, con la testa in giù quasi nel vuoto della tomba, buttando via le poche ossa che gli capitavano sotto mano, e ruzzolando per la china un teschio con tutti i denti, che fece dar uno sbalzo di paura a Cardello.
- E zitto, se ti domandano che cosa abbiamo trovato. Intanto porta via quei vasi!... Torna sùbito.
*
* *
Da quel giorno in poi, il Piemontese andava laggiù, sin dalle prime ore del mattino, e teneva lontani gli operai, mentre egli e Cardello tastavano il terreno per scoprire altre tombe.
E la sera, desinando, il Piemontese non parlava di altro che dei vasi e delle statuette trovati nella giornata.
Le tombe erano in fila, una accanto all'altra, sul fianco della collina. Sembrava che Cardello avesse un fiuto speciale. Diceva:
- Io scaverei da questo lato. -
E infatti la nuova tomba veniva fuori proprio là dove egli aveva indicato.
Il Piemontese esaminava attentamente i cocci dei vasi rotti. Erano così delicati che non sembravano di terra cotta. E i vasetti intatti pesavano così poco!
- Eppure - egli diceva a Cardello: questa dev'essere la stessa creta che usano ora i vasai per le quartare, come le chiamate. Se io riuscissi a trovare il modo di manipolare la creta attuale, da ridurla duttile e leggera come questa di questi vasi... metterei su una fabbrica di stoviglie, e mi farei una fortuna. Arricchiresti anche tu. -
Sei tombe soltanto. Dopo parecchie settimane d'inutile lavoro, avevano smesso di scavare. Ma Cardello non era più tornato al suo ufficio di sorvegliante. L'impresario lo aveva incaricato di cercare un bravo cavatore di creta; e le stanze vuote e senza mobili della vasta casa erano già ingombre di mucchi di materiale; e pure la terrazza, dove la creta veniva messa ad asciugare al sole.
Cardello ora badava a sorvegliare due operai che la stritolavano, la stacciavano ridotta in polvere flnissima e la riportavano nello stanzone col pavimento di mattoni di valenza, pronta ad essere impastata, manipolata a lungo con l'aggiunta di un po' di sale per renderla porosa e leggera.
Il Piemontese andava, una o due volte il giorno, a dare un'occhiata ai lavori di scavo della conduttura, impartiva qualche direzione, qualche ordine, e tornava a casa a rinchiudersi con Cardello pei saggi d'impasto della creta.
Quel diavolo di Piemontese sapeva fare tante cose! Mentre Cardello, secondo le sue indicazioni, impastava mucchietti di creta, egli rizzava, secondo quel che leggeva in un libro pieno di disegni, un piccolo forno da cuocervi i vasetti e le tazze foggiate. Ne aveva foggiata qualcuna anche Cardello osservando bene come faceva il padrone.
Anzi, un giorno ch'era rimasto solo e i vasetti e le tazze allestiti erano messi ad asciugare al sole, Cardello avea tentato di foggiare un vasetto simile a quelli trovati negli scavi, col piede svelto, e il collo lungo e le scanalature nel ventre. Non era precisamente qualcosa di finito, ma per un primo tentativo, egli poteva esserne contento. Il Piemontese stette a guardarlo, gli diè un colpetto di pollice qua, un altro là, adoprando anche una stecca, lo raddrizzò perchè pendeva un po' da un lato, e disse a Cardello:
- Bravo! Ma per far meglio, ci vuole la ruota. Va' a chiamare un falegname.
Il Piemontese, quando gli veniva un'idea, un capriccio, non metteva tempo in mezzo per attuarlo. Questo modo di agire piaceva tanto a Cardello! Anche lui ora si sentiva preso da grande smania di fare. E non pensava ad altro che alla fabbrica di stoviglie, dove egli sarebbe stato il capo operaio, come gli diceva spesso il padrone.
- Ecco come si adopra. Si imposta un blocchetto di creta sul piano e col piede si dà il movimento. Le dita intanto stringono la massa l'allargano facendo il vuoto, tornano a stringerla, tirando su il collo, così, così, intingendo di tanto in tanto le dita nell'acqua. -
Quante diavolerie sapeva fare quel Piemontese! Cardello lo guardava a bocca aperta.
Qualcuno, incontrandolo per via, lo fermava domandandogli:
- Ma che cosa intrugliate, chiusi in casa tu e quel matto di Piemontese?
- Niente.
- È vero che praticate gli scongiuri per trovare un tesoro?
- Il tesoro lo abbiamo già trovato, - rispondeva Cardello, ridendo.
- E tu, hai tu avuto la tua parte?
- Dunque sei ricco?
- E nessuno lo sa!... Lasciatemi andare.
- Qualche diavoleria fate certamente. I lavori della conduttura dell'acqua intanto non vanno avanti.
- Se la deve vedere lui col Municipio.
- Si dice anche che stampate monete false!
- Fosse vero! Arricchiremmo con niente.
- Bada, che quel matto non ti trascini in galera! -
Cardello riferiva questi discorsi al padrone.
- Faremo monete vere! - rispondeva il Piemontese: - Domani accenderemo il forno. -
Questa infornata dei vasetti e delle tazze eccitava l'immaginazione di Cardello. Ma ancora il Piemontese non era contento; ottenere della buona terracotta da gareggiare con quella dei vasetti antichi già gli sembrava poco. Bisognava trovare una vernice fina come quella di essi, uno stagno almeno da poter fare la concorrenza alle altre fabbriche di stoviglie stagnate. Per questo aveva ordinato quei medicamenti, come Cardello li chiamava, arrivati dal Piemonte in due cassette suggellate e che erano costate un occhio, secondo lui.
All'alba del giorno dopo, essi erano in piedi, attorno al forno che bruciava, dopo che i vasetti di creta già asciutti erano stati collocati nella parte superiore; e doveva bruciare fino a sera, senza che il fuoco si rallentasse un solo momento.
Quella era una prima prova per vedere a che punto di raffinatezza e di leggerezza fosse stata ridotta la creta seccata, polverizzata, stacciata, lavata e poi ridotta a pastoncini con tutte le cure possibili. A Cardello, alimentando il fuoco con le legna, sembrava di fare un'operazione straordinaria. Nella stanza si scoppiava dal caldo. Il Piemontese beveva e ribeveva per asciugare il sudore, diceva; e avrebbe voluto indurre anche Cardello a fare come lui. Ma Cardello aveva paura di ubbriacarsi, perchè il vino traditore una volta gliel'avea fatta, ed egli era stato male una settimana per effetto della solenne sbornia presa la sera di Natale, mesi addietro.
Dall'ansia e dalla commozione Cardello non sentiva sete nè fame. Assorbiti dall'operazione, essi non avevano pensato neppure a comprare un po' di pane... E il forno divampava, e la legna crepitava da ore e ore e doveva durare fino a sera!
- Basta! - disse finalmente il Piemontese.
Cardello si era immaginato che, cessato il fuoco, si sarebbe veduto sùbito il risultato della cottura. E rimase deluso, quando sentì dirsi:
- Bisognerà aspettare fino a domani, perchè il forno si freddi.
*
* *
E durante la nottata, non riuscendo a chiuder occhio, arzigogolava:
- Ora, neppure don Carmelo, se uscisse di carcere, potrebbe indurmi a riprendere il mestiere di burattinaio. Sì, era divertente, dava belle sodisfazioni quando la gente applaudiva. Mi sentivo quasi preso da malìa, facendo muovere e parlare i pupi come tanti cristiani vivi.... Ma ora è un'altra cosa. Ho fatto bene ad andar via dal Decano. «Don Calogero, ve ne pentirete!». La profezia gli è fallita. E quando saprà che sarò arrivato a esser capo di una fabbrica di stoviglie, sotto la direzione del Piemontese, rimarrà con tanto di naso... Una fabbrica! Il Piemontese è capace di fare miracoli... Domani... Non veggo l'ora che aggiorni, per sfornare i vasetti... E poi, egli dice, li stagneremo... Chi sa come si dovrà fare? Impastare, credo, quei medicamenti e ungerne i vasi e rimetterli al forno... Bella quella rota! Gira, gira, gira e il vaso vien su, su, tra le mani. Demonio di un Piemontese! Le sa tutte, lui... Ha quattrini, e può cavarsi qualunque capriccio... Dicono che i quattrini non sono suoi; intanto il Municipio, glieli dà, o per conto di coloro che lo hanno mandato qui a dirigere lo scavo della conduttura, o per conto di lui stesso, non significa niente. Ma stando con lui, uno si sente uomo, e non sente il peso del lavoro... Si dimentica fin di mangiare e di bere, come nella giornata di ieri... Lui, no, ha bevuto ieri; e più beveva e più sudava... È di acciaio! Io mi farei ammazzare per lui. La fabbrica!... Capo operaio!... Allora vorrò tornare al paese e far vedere a tutti che cosa è divenuto Cardello! Peccato che la povera nonna sia morta! Mi voleva bene, poveretta! Ora avrei potuto aiutarla, renderle quel che aveva fatto per me quand'ero bambino. Sarebbe stata tanto contenta di vedermi cresciuto, ripulito, con un po' di quattrini da parte nel libretto postale... Non mi par vero! Quando si dice la sorte, il destino! Burattinaio, servitore - com'ero buffo, non posso neppur pensarci! - ed ora in procinto di essere stovigliaio. Chi avrebbe mai potuto immaginarlo?... E i vasetti e le tazze saranno riusciti ben cotti?... Meno male! Cantano i galli. -
Saltò giù dal letto. Il Piemontese dormiva ancora; russava come un orso.
Egli andò di là piano piano; girò e rigirò attorno al forno con la tentazione di aprirlo prima che il padrone si svegliasse.
E un'ora dopo, mentre questi apriva la porticina superiore del forno, Cardello non respirava, intento. Il Piemontese era rimasto serio, impassibile osservando i vasetti da grigi divenuti rosei coperti da fine polvere che quegli cacciava via col soffio; ma Cardello saltava dalla gioia; e quando ebbe in mano uno dei vasetti, si diè a baciarlo e a ribaciarlo, come un portento, e aveva le lacrime agli occhi!