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2. Entriamo in casa del nonno e facciamo la conoscenza degli altri membri della famiglia.
La casa del Lamanna era formata da un pianterreno e da un piano superiore con tre finestre. Il pianterreno, a lato alla porta d'ingresso, aveva la stalla per le due mule da una parte, e una stanza dall'altra che serviva da riposto di arnesi agricoli; e anche da cantina e da dispensa, perché conteneva una botte e un recipiente di terra cotta, giarra, per serbarvi l'olio. Vi si entrava da un uscio interno, ed era rischiarata da una piccola finestra con grata di ferro che dava sulla via.
La casa era stata comprata dal nonno poco prima di prender moglie; ma allora consisteva in una sola stanza al piano superiore, con le mura imbiancate a calce e il tetto a travi.
A lato c'era uno stambugio, stretto e alto, da principio adoprato per riposto.
Le rondini erano venute ad appendervi alle travi due nidi perché il finestrino restava sempre aperto nella buona stagione; ed era parso lieto augurio agli sposi novelli. Ogni anno, in primavera la gnà Rosa Lamanna attendeva con dolce ansietà il ritorno delle ospiti, ed era felice la sera in cui poteva annunziare al marito che tornava dalla campagna: «Sono arrivate! Sono arrivate!»
E arrivava talvolta con le rondini un figlio o una figlia che rallegravano la casa, e cominciavano a farla parere stretta, perché marito e moglie accoglievano come una benedizione di Dio la nascita di un nuovo figlio o di una nuova bambina.
Erano già quattro figliuoli, due maschi e due femmine; e allora fu sentito il bisogno di slargare la casa, comprando un pianterreno accanto, per fabbricarvi su due stanze unendovi lo stambugio delle rondini, che venivano ogni anno, fedeli, quasi a giorno fisso ed erano tenute come parte della famiglia. Bisognava buttar giù le travi coi nidi; marito e moglie esitavano, poi il marito disse:
«Rizzeremo una specie di abbaino sul tetto; sarà la casetta delle rondini; vedrai: capiranno che è destinata per essi».
E così si misero la coscienza in pace. Infatti, a primavera, le rondini strillarono un po' smarrite di non trovare i loro nidi; poi, capito davvero che l'abbaino era stato fatto per loro, in meno d'una settimana, va e vieni, affaccendate, avevano terminato la loro nuova costruzione, con grandissima gioia della gnà Rosa che credeva fermamente le rondini apportatrici di buona fortuna. Da più di sessant'anni, di generazione in generazione, le rondini non eran mancate una sola volta di venire a nidificare lassù.
E ora, a ogni nuova primavera, lo zi' Santi Lamanna, sopravvissuto a tutti i suoi, come le vedeva arrivare a riprender possesso dei nidi, si sentiva le lacrime agli occhi e brontolava:
«Ben venute, poverine! Ben venute! Ben venute!» pensando alla moglie, ai figli e alle figlie, tutti già morti da un pezzo, lasciandogli una nuora vedova e tre nipoti, in mezzo ai quali talvolta gli sembrava di essere un fantasma di tempi lontani.
I nipoti lo chiamavano: «Nonno avo». Ed erano moglie e figli dell'ultimo figlio del suo primogenito. Egli solo, quasi fosse di acciaio, resisteva ancora, a ottantasette anni, a traverso le tante disgrazie, che avevano colpito la sua famiglia ed i suoi beni.
Aveva conosciuto la prosperità, l'agiatezza, quando le buone annate veniva una dietro all'altra con la pioggia a tempo opportuno, col sole che maturava allegramente i seminati e l'uva; poi — gastigo di Dio, forse dei peccati di tutti! egli pensava — le stagioni erano cambiate; il cielo sembrava di bronzo, senza una nuvola, quando le campagne morivano di sete; i geli sopravvenivano a inaridire seminati e alberi in fiore, e così cascavano addosso a tutti la disdetta, la miseria, con quelle terribili male annate che soltanto da pochi anni in qua davano un po' di tregua agli agricoltori grandi e piccoli. Nonno Lamanna si rassegnava alla volontà di Dio, anche per le nuove tasse che era costretto a pagare.
«Se Dio non avesse voluto, ci sarebbero forse le nuove tasse?»
I due nipoti maggiori non la intendevano allo stesso modo. Da un anno facevano parte del Circolo degli agricoltori istituito dall'avvocato Marano e ripetevano quel che l'avvocato diceva nelle sue conferenze domenicali.
«Le tasse le mettono i ministri, il sindaco e i consiglieri, per comodo loro, e le paga soltanto la povera gente!»
«Ma che c'entra l'avvocato Marano con gli agricoltori?» riprendeva il nonno. «Lui non ha neppure un palmo di terra al sole».
«Ha la testa che gli cammina...» replicava Stefano.
«È l'avvocato delle cause perse!»
«Nonno, se voi lo sentiste parlare, non direste così!»
La gnà Maricchia, la nuora vedova, interveniva per impedire che nonno e nipote litigassero appunto quando dovevano ingoiare quel po' di grazia di Dio! Stefano era cocciuto, con la fronte mangiata da neri e folti capelli, gli occhi neri, da spiritato, e la voce grossa, cavernosa; tutto all'inverso del fratello, che portava il nome del nonno, Santi, e gli somigliava nei modi e nel carattere bonario, se non nell'aspetto e nella statura; Menu, il più piccolo, mangiava zitto zitto, mentre gli altri disputavano del Circolo, dell'avvocato Marano, delle tasse, dei consiglieri comunali, come avveniva ogni domenica, dopo che Stefano e Santi tornavano a casa entusiasti della conferenza dell'avvocato.
«Parla meglio di un predicatore! Sembra che c'imbocchi le cose col cucchiaio, tanto si esprime chiaro».
«E voialtri, sciocchi, inghiottite!»
Menu sbuffava a ridere; era sempre del parere del nonno.