Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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GOETHE.

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GOETHE.

 

Qualcuno ha detto: - Davanti a una bell'opera d'arte io ammiro come un bruto. - Probabilmente questo è il miglior modo di ammirare. Sentirsi compenetrare dall'intimo senso della bellezza, da non aver tempo di ragionare o di sofisticare, è anche la più alta prova del valore di un'opera d'arte. Ma è difficile mantenere immacolata questa specie d'innocenza battesimale del senso estetico. Lo spirito umano ha bisogno di variare le sue impressioni; così alla sua ammirazione da bruto segue sempre l'ammirazione che ragiona o che pretende ragionare. C'è qualcosa del fanciullo in noi, che permane non ostante l'età; a un certo punto, vogliamo tutti vedere com'è fatto quel giocattolo che ha servito a divertirci, e spesso, per soddisfare questa curiosità, distruggiamo il giocattolo, l'opera d'arte, proprio come fanno i fanciulli.

Veramente il paragone non è esatto: l'opera d'arte rimane quella che è; il disastro avviene nelle nostre impressioni. Gli antichi su questo particolare erano, o sembrano, più fortunati di noi. Non ricercavano col lumicino quali relazioni avesse l'opera d'arte col carattere, con l'organismo, con l'atavismo dell'autore, o almeno non si accanivano in questa ricerca come facciamo noi e non ne traevano le conseguenze che ne tiriamo noi. Se ci fossero pervenute tutte le scolie dei grammatici, possederemmo forse oggi indiscrezioni, notizie, favole, intorno agli antichi autori, da farci vedere che il pettegolezzo dei critici non è poi cosa tutta moderna. I pochi documenti che ci rimangono autorizzano questa supposizione. Così, per esempio, sappiamo che Orazio aveva gli occhi cisposi; che lo stomaco di Virgilio digeriva difficilmente; che Sofocle si era così senilmente affezionato al figlio naturale avuto da una donna di Sicione, da provocare un processo in famiglia; ma gli occhi cisposi di Orazio, lo stomaco debole di Virgilio, la senile affezione di Sofocle non sono serviti, per quel che ne sappiamo, di cemento estetico-psicologico alle odi, alle epistole, alle egloghe alla Georgica, all'Eneide, all'Antigone o all'Epido a Colono.

Oggi no. Così dicendo non mi passa pel capo di voler discreditare gli studi psicologici o psicopatici che sono, con tutte le loro esagerazioni, gloria e onore della scienza moderna. Noto il fatto per discuterlo un po' a proposito di un libro che chiama alla sbarra della giustizia Volfango Goethe15, e gli chiede conto, rispettosamente, coi riguardi dovuti a tanta grandezza, del processo creativo con cui sono state messe al mondo tutte le sue opere d'arte.

 

In Edoardo Rod è avvenuto il fenomeno a cui accennavo in principio. "Dieci anni fa, egli dice, ebbi l'occasione di fare nella Facoltà di lettere di Ginevra, un corso di lezioni intorno al Goethe. Come tutti coloro che si accostano al grand'uomo, ne sentii fortemente l'influenza. Le mie lezioni e alcuni articoli da me pubblicati in quel tempo furono l'espressione di un entusiasmo senza riserve di sorta alcuna. Un viaggio a Weimar, nuove letture e nuove riflessioni arrecarono a poco a poco sfumature e modificazioni nelle impressioni primitive. Il Goethe è, tra gli scrittori, quello che ha preso l'atteggiamento più schietto di faccia ai problemi della vita; è dunque naturale che il giudizio intorno a lui si vada trasformando con la esperienza dell'età."

Egli ha riacquistato, in questa sua nuova condizione, quella libertà di spirito ch'era stata sopraffatta dalla violenza delle prime impressioni, ed ha avuto la buona idea di liberamente scrivere un libro liberamente pensato, senza fanatismo, acrimonia. Per questo il suo lavoro è riuscito interessantissimo, e sarà letto con profitto anche da coloro che dissentono dai principî che gli servono a sostenere la sua tesi.

Giacchè il libro ha una tesi; e forse a parecchi, arrivando all'ultima pagina, parrà o che l'autore non sia molto convinto della bontà di quella, o che la luce del gran sole goethiano sia riuscita ad abbagliarlo di nuovo. E questa ultima pagina sarà giusto trascriverla intera. Ma prima bisogna dire qual è16 la tesi. L'opera d'arte del Goethe, o quella parte della sua opera dove la creazione artistica ha raggiunto il culmine della perfezione, è talmente legata alle vicissitudini della sua vita, e questa vita è stata, per forza di innato vigore e per forza di volontà, foggiata talmente da riuscire essa stessa una grand'opera d'arte, che diventa difficilissimo il giudicare l'opera letteraria, senza cedere alla tentazione di metterla in riscontro con le circostanze che l'hanno prodotta.

Se non che, in questo genere di critica con cui gli avvenimenti della vita dell'autore vengono usufruiti per rivelare le intime ragioni del processo artistico, si corre facilmente il pericolo di dare troppa importanza alla realtà materiale dei fatti e di diminuire il valore della realtà spirituale dell'opera d'arte dalla quale è stata trasformata, fino a renderla quasi irriconoscibile, l'altra che n'è la causa occasionale; o di non scorgere la manchevolezza dell'opera d'arte, illusi dalla corrispondenza di essa coi fatti reali d'onde la creazione artistica è venuta fuori.

 

Il pericolo di cui parlo diventa maggiore quando un'idea di moralità s'infiltra nel giudizio intorno alla vita, e da questo passa inavvertitamente a influire su quello intorno all'opera d'arte.

Il libro del Rod mostra sin dai primi capitoli che la personalità del Goethe gli è un po' antipatica; ma fa scorgere anche che quel che più gli rende antipatico il Goethe è il goethismo, cioè l'adorazione incondizionata del modo con cui l'autore del Fausto adatta spregiudicatamente stesso alle circostanze della vita, e queste alla libera espansione e formazione di stesso. Ora il goethismo è una stupidaggine di cui il Goethe non può essere stimato responsabile.

Quel che gli si può attribuire è l'olimpismo, come il Rod lo chiama dopo tanti altri, cioè l'egoismo elevato a forza di coscienza, di riflessione, di raffinatezza fino a l'ennesima potenza; teorica ragionata e pratica, sapiente e speciosa, aggiunge il Rod, la quale però non lo differenzia da quella media umanità che fa dell'egoismo, senza elevatezza ma con contegno, la regola ordinaria delle sue azioni.

Qui mi sembra stia l'inganno. Quest'egoismo, che il Rod ben definisce: - indifferenza verso qualunque cosa che non sia il proprio ; ferma risoluzione di voler ignorare gli sconvolgimenti che menano con loro gli avvenimenti quotidiani della vita; cura continua di allontanare dallo spirito qualunque impressione penosa, dal cuore qualunque sentimento che potrebbe agitarlo; e decisa volontà di tirare innanzi per la sua strada senza darsi pensiero del danno che si arreca agli altri - quest'egoismo comune, volgare, non frutti; è sterile quand'anche non riesce nocivo. Qualunque mascalzone può esserne capace; e se non provoca la nostra indignazione, non attira affatto l'ammirazione, pure quando, talvolta, ci trova quasi indulgenti.

All'olimpismo del Goethe, invece, l'umanità intera deve17 qualcosa. Esso non è servito unicamente a lui, ma a tutti; per questo l'umanità sente il dovere non soltanto di essere indulgente ma di ammirare. Se c'è degli imbecilli che si assumono il diritto di volerlo imitare, il torto è tutto di costoro. Sono occorsi secoli di civiltà, circostanze straordinariamente aggruppate per produrre il fenomeno spirituale che ha nome Volfango Goethe; e queste circostanze non si ripeteranno più. È puerile, è sciocco, ostinarsi a tentar di rifare artificialmente18 un prodotto simile, cioè un organismo e uno spirito talmente equilibrati, in così felice corrispondenza tra loro, da dar vita a capolavori che faranno eternamente parte del patrimonio intellettuale dell'umanità, e che danno e daranno ancora per un pezzo mirabile impulso alla nostra vita interiore.

In non lontano avvenire, la posterità farà la sua scelta anche tra le opere del Goethe. Molte ne dimenticherà, per esempio, tutti i suoi lavori drammatici e qualche romanzo. E le belle pagine nelle quali il Rod analizza il Torquato Tasso per giustificare le parole del suo autore: Esso è l'osso delle mie ossa, la carne della mia carne, basteranno a coloro che vorranno conoscere come certe forme d'arte possano riuscire incompatibili anche con un genio universale qual era19 quello del Goethe.

Confessioni, documenti di ogni sorta, studî, interpretazioni, raffronti però non ci riveleranno mai il segreto con cui lo spirito del Goethe ha prodotto quell'organismo, o, se così si vuole, il segreto con cui quell'organismo ha prodotto quello spirito. Questa grande divina operazione rimarrà sempre un mistero per noi, come tutte le operazioni consimili della Natura. La necessità e la libertà hanno operato assieme; il Goethe non è, in questo, diverso da una magnifica quercia che s'impossessa, con le sue vaste radici, di tutti i più eletti succhi nutritivi del terreno dove è nata, a detrimento delle altre piante circostanti. Come noi domanderemmo invano alla Natura il segreto della vegetazione di questa quercia gigantesca, così domanderemo invano il segreto della vita di quell'uomo gigante. Se i critici non se ne vogliono persuadere e non sanno rassegnarsi a tale ignoranza, vuol dire che non hanno spirito scientifico e filosofico. Se gli imitatori, i fanatici non sanno scegliere tra la piccola personalità originale, che ogni individuo possiede appunto perchè è individuo, e la copia della personalità altrui che li rende impotenti, sterili, mediocri, peggio per loro. Mi sembra troppa degnazione l'occuparsene. E poi, il goethismo passerà, com'è passato il volterianismo; resterà Volfango Goethe, o meglio resteranno i suoi capolavori, e anche il capolavoro della sua vita, non quello scritto, ma il vissuto, e che farà ripetere alle generazioni venture il motto di Napoleone: - Voi siete un uomo, signor Goethe!

Ed è, infine, la conchiusione anche del libro del Rod. Libro che ha pagine veramente magistrali di analisi arguta e pacata, e che risponde allo scopo per cui è stato scritto, quello cioè di spingere gli intelletti indipendenti a studiare le opere del Goethe senza preconcetti, di gustarle senza esserne sopraffatti, di ammirarle senza dare in stravaganze.

"All'ultimo, egli conchiude dopo tanta analisi, si è sempre costretti a salutare in lui un uomo che si è sviluppato secondo la sua propria legge, realizzando giorno per giorno le sue più intime virtualità, col pieno sviluppo di quei germi nascosti che muoiono spesso infecondi nei recessi delle anime ordinarie. E questa legge, dalla obbedienza alla quale proviene la di lui forza, può essere espressa in termini altrettanto chiari quanto l'idea fondamentale del suo capolavoro che anch'esso ne dipende: Avendo amato l'azione, egli ha conformato tutta la sua vita e adattato il suo intelletto a questo principio dominatore. Qui consiste la sua grandezza, e forse tutt'intera. Che cosa sia stata la sua incessante attività a traverso i molteplici scopi, sarà dannoso per la gloria di lui ricercarlo molto da vicino. Così, si può benissimo parlare a lungo intorno a lui, raccontarne la vita, discuterlo, smarrirsi nelle tenebre della sua cronologia o del suo pensiero senza mai poter giungere una di quelle sentenze che dannano o santificano. Le stupende parole del coro degli angeli che riassumono il suo capolavoro, riassumono egualmente, in ultima analisi, l'insieme delle riflessioni che egli ispira. E arrivando al termine di questo lungo studio, non possiamo far altro che ripetere con lui arrivato al termine del suo poema:

"Colui che si sforza a un'aspirazione costante, colui può essere salvato."

C'è un'ode tra le poesie del Goethe che un'immagine schiettissima della mirabile operazione che egli metteva in atto per trasformare la realtà delle circostanze in una realtà spirituale superiore. Ricordate il mito di Ganimede rapito da Giove? Niente di più materiale. Ora leggete:

"Come tu m'inondi dei tuoi ardori, o amata primavera, nello splendore del mattino! Ineffabili voluttà si destano nel mio cuore, invaso dal sacro sentimento della tua eterna bellezza, o Infinito!

"Oh potessi io stringerti tra queste braccia!

"Oh, io poso sul tuo seno e languisco, e le tue erbe e i tuoi fiori premono il mio cuore. Tu estingui l'ardente sete che mi divora, dolce brezza del mattino! Tu mi porti il canto dell'innamorato usignuolo, che m'invita dal nebbioso fondo della vallata. Eccomi! Eccomi! Dove io vo? Dove?

"Lassù, lassù io aspiro! Le nuvole nuotano, discendono, si abbassano verso l'ansioso amore.

Venite, venite! Accoglietemi nel vostro seno, abbracciante abbracciato! Lassù! Padre dell'universale amore!"

Tutta la vita e tutta l'opera d'arte di Volfango Goethe son simbolizzate in quest'ode.

 

 

 





15 (Edoardo Rod. Essai sur Goethe. Paris, Perrin et C. editeurs, 1898).



16 Nell'originale "qual è". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



17 Nell'originale "deva". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



18 Nell'originale "arificialmente". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



19 Nell'originale "qual'era". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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