Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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EMILIO ZOLA

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EMILIO ZOLA27

 

Ironia della vita! Mentre Emilio Zola pubblicava nel Journal gli ultimi capitoli del suo romanzo, che è la glorificazione anticipata di quel Parigi fantastico da cui l'umanità dovrà ricevere il dono dell'emancipazione definitiva, il Parigi reale, preso da un accesso di follia, insultava il coraggioso scrittore che appunto in quei giorni si era costituito paladino della libertà e della giustizia.

Rileggendo in volume quelle pagine che uscivano quasi contemporaneamente con le relazioni delle sedute della Corte d'Assise pel processo del loro autore, si ha l'impressione di un senso artistico divinatorio che meraviglia. L'anarchico Salvat sembra un simbolo: il processo di lui una esattissima previsione di quel che sarà il processo Zola. Ecco qui:

"Nella gran folla, un mescolarsi di abiti chiari di signore, di toghe nere di avvocati, tra cui si distingueva appena la toga rossa dei giudici negli stalli così bassi, che lasciavano scorgere a stento, su le altre teste, la faccia bislunga del presidente. Molti osservavano i giurati, tentando d'indovinarne qualcosa dai loro visi; parecchi non levavano gli occhi d'addosso all'accusato.... Salvat si alzò in piedi; il presidente cominciò l'interrogatorio. E apparve con tragica nettezza, il contrasto: da una parte i giurati nell'ombra anonima, con l'opinione già bella e fatta sotto la pressione del pubblico terrore, riuniti per condannare, dall'altra l'accusato....

"Il procuratore generale prese la parola, severissimo. Era noto per le sue relazioni con tutti i partiti politici e per la sua destrezza nell'essere sempre amico degli uomini al potere; d'onde il suo rapido avanzamento nella carriera giudiziaria e i favori di cui era costantemente colmato.... E continuò per due ore, sdegnando la verità e la logica, cercando soltanto di impressionare le immaginazioni, cavando partito dal terrore che aveva invaso Parigi, incoraggiando il giurì a fare il suo dovere condannando l'assassino, giacchè il Governo era risoluto di non indietreggiare di fronte a qualunque28 minaccia....

"Dopo una deliberazione di appena un quarto d'ora, i giurati rientravano nella sala, con gran rumore di tacchi sui banchi di quercia. Riappariva anche la Corte. Un crescendo di emozione agitava la folla, quasi un vento di ansietà scuotesse tutte le teste. Molti si erano levati in piedi, lasciandosi sfuggire qualche lieve grido. E il capo dei giurati, grosso, con faccia rossa e tonda, dovette attendere prima di leggere:

- Sul mio onore e su la mia coscienza, davanti a Dio e davanti agli uomini, la risposta del Giurì è questa: Su la domanda intorno all'assassinio, sì, a maggioranza.... Salvat capì subito di che si trattava dal silenzio che seguì, senza che si parlasse di circostanze attenuanti."

I lettori del Journal in quei giorni dovettero sospettare qualche sbaglio d'impaginazione, mescolando la relazione della seduta del processo Zola con la relazione del processo Salvat.

Nel romanzo, il Salvat, condannato a morte, si rizza bruscamente; e mentre le guardie lo conducono via lancia con gran voce il grido: Viva l'anarchia! Lo Zola risponde al verdetto dei suoi giurati, con un libro, con un'opera d'arte che è anch'essa un gran grido. Viva la giustizia!

 

Paris chiude la trilogia29 delle Trois villes. Lourdes e Roma erano le premesse; Paris è la conchiusione, la conseguenza del sillogismo. Pietro Froment, giovine prete, sentendosi venir meno nel cuore e nell'intelletto la fede religiosa, ha cercato un rimedio al suo male prima a Lourdes, nella piccola città dei miracoli, nella piscina odierna, poi a Roma, nel centro di vita del grande organismo cattolico.

A Lourdes ha trovato, o gli è sembrato di trovare, la superstizione, anzi lo sfruttamento quasi commerciale delle umane miserie fisiche; a Roma, la religione divenuta organizzazione politica, immobilizzata nel domma, ridotta sterile e tiranna dei corpi e delle anime. Quel socialismo cattolico, con cui sembrava che il papa volesse vivificare e consolidare la chiesa, gli si era rivelato un espediente transitorio, un'abile menzogna diplomatica.

Ed era tornato a Parigi profondamente disilluso, minacciando di scrivere un libro incendiario contro Roma, "dove avrebbe messo tutto quel che aveva visto, tutto quel che aveva udito; un libro dove sarebbe apparsa la Roma vera, la Roma senza carità e senz'amore, e già agonizzante nell'orgoglio della sua porpora".

Il libro lo ha scritto il suo autore per lui, infondendo un grandioso soffio d'arte in tutto quel che aveva visto; facendo sforzi d'intuizione straordinari, ma insufficienti, per quel che aveva udito: libro però dove la Roma vera (la Roma dei papi e la Roma italiana) non è intesa o è fraintesa, perchè l'abate Froment era venuto a cercare una Roma di sua immaginazione, e in tre soli mesi di dimora non si è potuto accorgere del suo inganno. forse se ne sarebbe accorto in dieci, in venti anni, come la sua compaesana de l'Ile-de-France, cameriera in casa Boccanera, che gli confessa: Voicì vingt-cinq ans que j'habite leur pays, et je n'ai pas encore pu my faire à leur satanè charabia!

L'abate Froment ricercava un'astrattezza, e si era trovato faccia a faccia con l'incarnazione di un'idea, cioè con una realtà ricca di tutti i pregi e di tutti i difetti derivanti dalla natura umana e dalle condizioni sociali, ma non perciò meno elevata, meno possente, meno divina. L'idea astratta gli sembrava perfetta perchè spoglia di particolari, di accidenti; ed egli non sapeva riconoscere, nel gran rigoglio della vegetazione cattolica, appunto quell'idea che n'era il succo vitale.

Ed eccolo ora in quel Parigi, dov'egli spera di ricevere una risposta definitiva ai dubbi della sua mente, alle angosce del suo cuore.

Partendo da Roma egli aveva esclamato: "Giustizia, sì! Ma non più carità! La carità ha reso durevole la miseria; la giustizia forse l'annienterà!"

E tutto il Paris è un largo comento a quel grido.

Questa volta però l'autore non si trova in un mondo potuto conoscere molto esteriormente con tutta la buona fede e la buona volontà che egli aveva adoperato, e l'opera d'arte si giova di tale condizione; risulta viva, quasi spigliata, e rivela qualità che finora sembravano negate al suo autore. L'abate Pietro Froment non apparisce più un vanesio, un orgoglioso che tenta di imporre le sue fantasticherie umanitarie a papa Leone XIII col libercolo La Roma nuova. La sua importuna personalità sparisce in mezzo al gran formicaio parigino dove fervono tutte le attività scientifiche, socialistiche, anarchiche, insieme col fasto della ricchezza, con le orgie del vizio, con le disperazioni della miseria. Sì, come nel Lourdes e nel Rome, egli serve da filo conduttore a traverso gli avvenimenti molteplici del Romanzo, ma non è più il protagonista o, almeno, non se ne l'aria. Le lotte della sua coscienza qui ci interessano, ma quanto quelle di suo fratello, inventore di un terribile esplodente che dovrebbe dare alla Francia il predominio della forza su tutte le nazioni del mondo. Il suo carattere ci diventa simpatico, ma quanto quello di Maria, l'orfanella ricoverata in casa del fratello di lui e già sua promessa, che poi, invece, diventerà la moglie dell'abate quando egli avrà buttato alle ortiche la sottana.

Nel Rome egli diffonde attorno a una fosca influenza che vela, attrista ogni cosa; un senso di rancore e di dispetto, stavo per dire di pettegolezzo, quasi egli non sappia come sfogare la stizza di sentirsi piccino e impotente di fronte alla grandiosa mole dell'organismo cattolico; nel Paris, invece, egli versa su le cose e su gli uomini, un così largo sentimento di compassione, di carità, di amore, da far dimenticare l'infausto banchiere Duvillard, l'adultera ebrea convertita sua moglie, la cinica sua figlia che contende l'amante alla mamma e se ne fa un marito, la strana e corrotta principessa di Harth che cerca nel misticismo, nel saffismo, nel decadentismo, e fin nell'anarchismo, sensazioni sempre nuove e sempre più acute; e tutto il vermicaio di deputati, di giornalisti, di uomini di affari, tra i quali appare scomposta, losca e seducente, la figura della cocotte Silvana che fa battezzare col suo nome un ministero; da far dimenticare, insomma, tutto il laidume della società borghese e aristocratica parigina, al confronto di quelli entusiasti per una generosa idea, di fronte a quelli invasati dal furore della distruzione, lanciatori di bombe omicide, preparatori di ordegni e di esplodenti che debbono predicare a modo loro la giustizia finale.

E questo senso di compassione e di tenerezza è tale che il lettore si accorge troppo tardi della parzialità del giudizio, dell'artificiosità dei mezzi di cui si è servito l'autore.

È una gran vittoria per l'artista. Ed è nello stesso tempo la parte caduca che il preconcetto ha infiltrato nel romanzo.

Bisogna però concedere qualcosa alle ragioni dell'arte. Questo mondo nuovo in creazione, in fermentazione (se pure è nuovo) occorreva metterlo in riscontro con quello che esso intende rovesciare; dargli un risalto tale da porlo in grande evidenza, e non soltanto nei tratti principali, ma anche nelle sue gradazioni, nelle sue sfumature. Guglielmo Froment troneggia su gli altri personaggi; carattere solido, tutto d'un pezzo a cui il sentimento o meglio la sentimentalità annebbia un momento l'intelletto, fino a suggerirgli l'idea di far saltare in aria la chiesa del Cuor di Gesù quando migliaia di pellegrini vi si affollano per una sacra funzione; ma cuor retto, animo capace di alti sacrifici, una delle più simpatiche figure che lo Zola ha messe al mondo.

Viene poi Maria Courturier, figlia d'un amico di Guglielmo, inventore di genio, che aveva sciupato il suo patrimonio in fantastiche scoperte. Guglielmo ha ricoverato in casa sua l'orfanella. Mente sana in corpo sano, ella ha ricevuto una solida istruzione ed è rimasta ingenua quanto bella.

È il simbolo zoliano della donna futura, di un ateismo tranquillo, con completa noncuranza del di . E quando l'abate Pietro le confessa i tormenti della sua coscienza, il gran vuoto che gli ha lasciato nel cuore la perdita della fede, la disperazione di non sapere che cosa sostituire al Dio perduto, ella lo guarda stupefatta:

- Ma voi siete matto! - gli dice. - Disperarsi, non più credere, non più amare, perchè l'ipotesi del divino è crollata, e appunto quando il mondo ci si apre vastissimo davanti, con tutti i doveri della vita, con tante creature e tante cose degne di essere amate e soccorse, senza contare l'attività universale, dove ognuno ha un còmpito da eseguire! Ma voi siete proprio matto!.... Tornate con noi alla scuola della buona natura. Vivete, lavorate, amate, sperate!

Ella dice delle belle e dolci parole, ma fa anche delle belle ed umili cose; è una buona massaia, e si capisce facilmente come, per lei, l'abate Froment diventi l'operaio Pietro Froment.

Ma io mi occupo più del contenuto che della forma, e trattandosi di un'opera d'arte non sta bene.

Mi limiterò a dire che Parigi ha portato buona fortuna a Emilio Zola. Mai egli è stato così semplice, così spigliato, così efficace; mai ha mostrato meno di ora quell'impaccio, quella gravità richiesta e quasi impostagli dal suo metodo di composizione. Ha buttato via tutta la scoria; appena appena qua e qualche accenno del suo simbolismo, ma fatto con garbo, senza calcar troppo la mano.

«Il sole, vicino al tramonto, dietro un roseo velo di nuvolette, dardeggiava Parigi, simile a un seminatore gigante che lanciasse da un punto a l'altro dell'orizzonte colossali manate di oro.

« - Parigi sementato dal sole! - esclama Pietro.

« - Sì, è vero - dice Maria, - Parigi sementato dal sole! E con che gesto egli butta la semente della salute e della luce fin nei più lontani sobborghi! Cosa singolare! A ovest, i quartieri ricchi sembrano avvolti da bruna rossastra, mentre la buona semente dorata cade su la riva diritta e sui quartieri popolosi a est! , è vero, dovrà spuntare la messe

E Guglielmo soggiunge con allegra espressione di voce e di gesti:

- E non tardi a spuntare su questo buon terreno del nostro Parigi, arato da tante rivoluzioni, concimato da tanto sangue di lavoratori! Non c'è altra terra al mondo per far germinare e fiorire le idee. Sì, Pietro ha ragione: il sole sementa Parigi, e il mondo futuro nascerà soltanto da lui!

E lo Zola nell'ultima pagina del romanzo riprodurrà questa immagine e ne farà la chiusa sinfonica. Non più distinzione di quartieri, ma tutto Parigi sementato ugualmente dai grani di oro del sole. E la messe sembra già maturata, ondeggiante come un gran mare biondo a perdita di vista, sul vasto terreno della riconciliazione fraterna.

Pietro Froment, non più abate; ma padre di una bella creatura, prende in braccio il figlioletto Giovanni, e lo leva in alto quasi in offerta all'immensa Parigi sementata dai raggi del divino sole, d'onde nascerà la futura messe di verità e di giustizia.

Ma al poeta che spicca un così lirico volo nei secoli avvenire divinando la missione redentrice di Parigi, Parigi non ha concesso l'illusione di un istante. Mai con più bestiale smentita è stato risposto, non da una città ma da tutta una nazione, al sogno umanitario di un'anima avida di verità e di giustizia. Che importa, se questo sogno ci ha fruttato una bella, una grandiosa e severa opera d'arte?

In quanto all'avvenire, noi sappiamo che lo Spirito soffia dove vuole, che nessuno può dire anticipatamente: - La redenzione verrà di ! Il mondo attuale non ha niente che vedere col mondo avanti la Rivoluzione; è sazio di astrattezze. - Non più carità, ma giustizia! - Ma qualche altra nazione già al mondo lo spettacolo meraviglioso della più grande tolleranza possibile, che è forse la forma più pratica della giustizia su la terra; e l'esempio non sarà senza influenza per le altre nazioni. E con la tolleranza, la carità dovrà riprendere l'opera sua consolatrice, e tutte le forze dello spirito dovranno concorrere alla grand'opera. La carità non ha fatto bancarotta, come non l'ha fatta la scienza, come non l'ha fatta la ragione, checchè ne pensi l'abate Froment così scandalizzato dalla Roma papale. Il vero divino sole dello Spirito si leva su l'orizzonte per tutti i popoli, sementa tutte le terre: e se si dovesse fare un'ipotesi ragionevole - si badi, dico: un'ipotesi! - si dovrebbe dire che la giustizia, invece che nel terreno dove sono spuntate le astrattezze della libertà e dell'uguaglianza, germoglierà nel suolo d'onde si è sparso per tutto il mondo civile l'albero immortale del Diritto.

 

I giornali avevano annunziato il suo ritorno a Parigi nella prima settimana di questo mese. Egli avrebbe lasciato il misterioso rifugio per riprendere il suo posto accanto all'eroico Picquart nella immane lotta per la verità e la giustizia, alla quale ha, da quasi un anno, sacrificato la sua tranquillità di uomo e la sua gloria di artista.

Gli stessi giornali oggi annunziano invece che egli parte per l'America a farvi delle conferenze, non dicono precisamente intorno a quale soggetto, forse intorno ai tristi avvenimenti della sua patria che destano tanta ansietà e tanto interesse dovunque.

Io non so quel che ci sia di vero in queste contraddittorie notizie, e può darsi benissimo che Emilio Zola ci prepari qualche sorpresa che non sarà il suo ritorno in Francia o il suo viaggio in America. Vorrei però che questa sorpresa fosse un'opera d'arte, un romanzo.

La missione di pubblico accusatore, ch'egli si era generosamente imposta, è ormai finita. Qualcosa di più potente che la voce di uno scrittore, quantunque grande e famoso, la terribile eloquenza dei fatti, ha preso il posto di lui e parla, anzi tuona alla coscienza30 del popolo francese. Emilio Zola è passato in seconda linea.

Questo non diminuisce punto il valore della nobilissima parte da lui rappresentata nel nefando intrigo che supera quanto di più putrido e di più immondo egli è stato accusato di ammassare nei suoi romanzi.

Doveva accadere così. Egli però n'è stato ricompensato a bastanza. Mentre la Francia soldatesca e reazionaria lo insultava, tutto il resto del mondo civile teneva fissi gli occhi su lui, lo accompagnava coi voti, augurandogli quel trionfo che oggi è quasi raggiunto.

In quei giorni niente faceva prevedere quel che ora è avvenuto. Su tutti i personaggi del triste dramma grandeggiava, calma e serena, la figura del romanziere accusatore; e non valevano a sbigottirlo i feroci attacchi della stampa partigiana, gli urli della folla pagata o miseramente illusa, le sentenze dei giurati terrorizzati dalle minacce dei capi dello Stato Maggiore che, luccicanti di spalline dorate, di decorazioni, impennacchiati e pettoruti, erano comparsi unicamente per quello scopo davanti a loro. I pochi che lo ignoravano come romanziere, avevano appreso ad amarlo e a riverirlo come difensore della vittima del più indegno delitto che abbiano mai commesso il militarismo, la politica, la intolleranza religiosa. In certi momenti, i più gravi interessi delle nazioni erano diventati meschina cosa di fronte alla titanica lotta da lui combattuta.

Poi sembrò vinto, disfatto. La sua scomparsa veniva giudicata una fuga; il dubio e lo scoraggiamento cominciavano a insinuarsi fin fra coloro che più avevano avuto fede in lui; e i suoi avversari sogghignavano di scherno alle parole: Sarò al mio posto, quando verrà l'ora opportuna!

Tutt'a un tratto il rasoio del colonnello Henry recide i primi lacci della mostruosa matassa... e l'Accusatore sparisce dietro le sinistre figure dei falsari venute inattesamente in pienissima luce.

 

Voglio sperare che Emilio Zola non stimi questa sua grande vittoria, questa sua sublime ora di trionfo superiore o uguale alle vittorie e ai trionfi da lui ottenuti nel campo dell'arte. Il valore di un'azione va anche giudicato dalle conseguenze che può produrre. E intorno a queste, pel processo Dreyfus, non c'è da farsi illusioni di sorta alcuna.

In meno di un lustro, Dreyfus, l'Isola del Diavolo, il colonnello Henry e compagnia brutta saranno certamente dimenticati. All'agitazione presente succederanno altre e non meno violente agitazioni31. La vita - che ne dica la ballata - corre più presto dei morti. E poi, Calas e Voltaire non hanno impedito che, appena dopo un secolo, una quasi identica situazione si riproducesse, cioè che un innocente fosse condannato e che uno scrittore, un semplice scrittore, non magistrato, non avvocato, sorgesse a difenderlo e riuscisse, come ci auguriamo tutti, a salvarlo dell'atroce prigione, più fortunato del suo predecessore che potè solamente rivendicare la memoria dell'infelice vittima della superstizione religiosa.

Ci sono voluti degli eruditi per rammentare la bella azione del Voltaire. Tutti coloro che hanno letto e leggono Candide, o la ignoravano o non se ne rammentavano più; ed io temo che il nuovo esempio dello Zola non varrà neppur esso a impedire che qualche altro infelice sia vittima di altri falsarii o di miserabili di specie diversa. Mutano le apparenze, le passioni assumono altre maschere, ma la malvagità umana permane identica. E quando i nuovi Esterhazy, i nuovi Henry, i nuovi Paty de Clam, i nuovi Gonse e Boisdeffre entreranno in ballo; quando avranno ordito peggiori tranelli e più formidabili falsità che non ne abbiano accumulato i maldestri di oggi, troveranno sempre una folla che si lascerà ingannare, che sentirà il bisogno di essere ingannata per sfogarsi contro qualcuno delle sciocchezze e degli errori da lei commessi e dei quali non saprà rassegnarsi a soffrire le conseguenze; troveranno altri interessati a coadiuvarli, altri furbi che vorranno giovarsi delle loro birbanterie e che li lasceranno liberamente agire con questo secondo fine. E allora niente varrà che altri eruditi rammentino Voltaire e Calas, Emilio Zola e il capitano Dreyfus. Non sempre i Voltaire e gli Zola hanno la fortuna di trionfare, caso mai se ne potessero trovare a ogni occasione; e non si trovano, ahimè!

 

Se Emilio Zola non avesse fatto altro che difendere la innocenza del capitano Dreyfus, avrebbe raccomandato il suo nome a un molto debole sostegno.

Fortunatamente per lui e per noi, egli ha fatto ben altro.

Ed ecco perchè io sono lieto che l'illustre autore dei Rougon-Macquart sia giunto al termine della sua campagna. Ed ecco perchè mi auguro ch'egli testimone e magna pars in questi avvenimenti dai quali sono tenuti tuttavia sospesi gli animi - perchè non è ancora certo che le bieche ragioni di Stato non prendano il sopravvento su le ragioni della giustizia - meglio che scrivere un libro di storia e di polemica, come è stato detto, ritorni all'arte, al romanzo.

La politica, oh no! non lo tenterà. Egli deve sentirne un'immensa nausea, dopo aver potuto scrutare da vicino di che laidumi sia impastata.

Ch'egli scriva dunque quest'altra Debacle assai più terribile della prima! Ch'egli attacchi a una gogna immortale - l'arte sola l'immortalità - tutti questi farabutti che disonorano l'esercito francese e la Francia intera! Quando le misere agitazioni presenti saranno appena un vago ricordo per li ultimi sopravvissuti della nostra generazione, e quando soltanto gli storici si occuperanno del processo Dreyfus consacrando ad esso qualche breve pagina, l'opera d'arte soltanto terrà ancora in vita, bollate da un marchio di fuoco, le ignobili figure della seconda repubblica, che ecclisseranno i poco scrupolosi faccendieri del secondo impero transustanziati dalla immaginazione nei Rougon-Macquart.

Mai più tetra e tragica materia si è presentata all'immaginazione di un grande artista, mai, o quasi, la realtà è stata così superiore alle combinazioni più assurde di un'ardente fantasia! Mai il còmpito di un artista è stato più difficile e nello stesso tempo più tentatore. Emilio Zola ha il poderoso petto che occorre per affrontarlo.

I suoi famosi documenti umani egli non dovrà stentare per trovarli; ne ha già troppi sotto mano.

O tranquilla palazzina di Médan, ieri violata dalla volgare persona degli uscieri, umili strumenti di una giustizia indegna di chiamarsi tale, quando aprirai a due battenti il tuo cancello al profugo artista? Allora veramente entrerà assieme con Lui nelle tue vaste sale la solenne vindice Giustizia: ed ha un nome altrettanto nobile e santo; ella chiamasi l'Arte.

 

 

 





27 Émile Zola, Paris, Charpentier, 1898.



28 Nell'originale "qualungue". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



29 Nell'originale "triologia". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



30 Nell'originale "coscenza". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



31 Nell'originale "agitazione". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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