Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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ENRICO IBSEN

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ENRICO IBSEN37

 

Ha sessant'anni; e i capelli e la barba interamente incanutiti lo faranno sembrare più vecchio che non sia. La catastrofe finanziaria che lo ha buttato giù, trascinando nella rovina tanti altri che avevano avuto fiducia in lui, lo ha reso - com'egli dice - un Napoleone storpiato da una palla nella sua prima battaglia. Ma, dopo di aver espiato la pena a cui è stato condannato, chiuso nelle stanze del primo piano della sua casa, dove sua moglie non sale mai, dove va a visitarlo, accompagnato dalla figlia giovanetta, soltanto un ingenuo poeta - una delle moltissime vittime finanziarie di lui, e che pure gli rimane fedele, ancora soggiogato dalla forza di quell'anima indomita - Gian Gabriele Borckman, senza amici, senza famiglia, senza niente, sogna intanto la rivincita, vive della grande illusione di tornare ad essere più potente di prima.

- I miei nemici verranno qui, a prostrarsi ai miei piedi, a supplicarmi di prender le redini della nuova banca, di quella banca che essi hanno fondato e che sono incapaci di reggere!... Ed io li riceverò ritto, con una mano appoggiata a questa scrivania... E detterò i patti; ed essi li accetteranno, per forza, sì, per forza! Se non fossi certo di questo, mi sarei già tirato un colpo di pistola da un pezzo!

Egli parla così a un altro povero sognatore, a un poeta che spera egualmente la sua rivincita in teatro. Borckman lo commisera, lo compatisce. L'arte! Oh, si tratta di ben altro per lui! Creare dei milioni, farli scaturire dalle miniere, dalle strade ferrate, dalle forze idrauliche, dalle industrie, dai commerci per mare e per terra... ecco il miracolo che egli avrebbe compiuto, se fosse stato solo!...

Ma egli, il forte, ha avuto una debolezza: ha creduto nell'amicizia!

-C'è qualcosa al mondo peggiore dell'assassinio, del furto, del giuramento falso: l'abuso di confidenza di un amico a danno d'un amico!

- C'è un peccato imperdonabile - gli dirà, poco dopo, una donna: - Quello che ha troncato la vita di amore in un essere umano!

Ed hanno ragione tutti e due.

Egli, uomo, guarda il mondo dal punto di vista della prosperità sociale; e tutto quel che non ha stretta relazione con tale scopo gli sembra inezia. Per colei, donna, niente dovrebbe prevalere sui diritti del cuore!

E s'ingannano tutti e due!

Gian-Gabriele Borckman ed Ella Rentheim non sono due formole messe da Enrico Ibsen per dimostrare un concetto. Sono due personaggi vivi; per ciò hanno ragione e nello stesso tempo s'ingannano.

Nella vita agiscono forze complesse. Un uomo può incarnare per qualche tempo le aspirazioni di un popolo e guidarne i destini; ma vien l'ora in cui il segreto della sua idea gli è tolto di mano. Altri lo metterà in atto più vigorosamente di lui. Una donna può esercitare durante qualche tempo una benefica influenza su la vita d'un uomo; ma arriva pure il momento in cui questa influenza perde possa, per necessità naturale, ed è sostituita da altre influenze più elevate o più poderose.

Enrico Ibsen ha osservato questo terribile dramma della vita e lo ha magistralmente rappresentato in quest'ultimo suo lavoro, mostrando un'abilità di fattura che nelle precedenti sue opere non aveva raggiunta.

Qualcuno vi ha visto una rinnegazione della sua maniera, un regresso. Qui tutto è chiaro, evidente, vivente. Il concetto è divenuto realtà. Nessuno dei personaggi discute; tutti sentono, pensano, agiscono secondo il loro carattere, secondo le loro passioni, le loro illusioni; e il dramma (stavo per dire, la tragedia con l'antica fatalità) scaturisce violento dal cozzo dei caratteri, delle passioni, delle illusioni, al pari che nella vita reale.

- Come! Niente simbolo? - gli è stato rimproverato.

- Ma io non sono mai stato o almeno non ho voluto mai essere un simbolista alla vostra maniera - ha risposto il gran drammaturgo. - Noi siamo tutti tanti simboli viventi. Obbediamo a leggi fisse, anche quando crediamo di non assoggettarci a niente, all'infuori che alle nostre passioni e ai nostri capricci. Rendere sensibili, visibili queste leggi per mezzo di un'azione, di caratteri, di passioni, ecco quel che io ho sempre inteso di fare. In questo senso soltanto sono, forse, stato un simbolista.

Infatti che cosa ha egli osservato prima di scrivere il Gian-Gabriele Borckman?

Ha visto un uomo assetato di potere, di ricchezza, che vuol raggiungere un'alta cima di prosperità generale, smovendo, agitando, guidando tante forze sparse, rimaste inefficaci e disperse prima della sua potente iniziativa. Con lo sguardo fisso all'eccelsa mèta, egli procede senza badare a quel che abbatte e calpesta nel suo cammino. Opera come le grandi e cieche forze della natura. La morale, il diritto, la legge, gli affetti, non debbono impacciarlo e impedirgli di spingersi avanti. Egli sa di non dovere curarsi al presente, ma occuparsi di creare l'avvenire; e sa che per creare deve distruggere. Il vero torto di quest'uomo non consiste nel male che così fa agli altri, ma nel non averlo fatto compiutamente, da solo. Egli ama una donna, e la cede a un amico che l'ama ugualmente, pel motivo che questi può essergli di valido aiuto nella sua vasta intrapresa. Il sacrificio non gli giova. Se egli cede, non cede la donna, che ignora il mercato. Colui crederà che il rifiuto di essa è opera segreta di lui, e si vendicherà rovinando il preteso rivale col palesare il segreto che ne avrebbe prodotto il gran trionfo.

Ha visto una donna, innamorata non ostante l'abbandono, che tenta di salvare dalla rovina il figlio di colui che l'ha posposta, per calcolo, alla sorella.... E questo giovane le sfugge, invischiato dalle arti di una cattiva signora!

Ha visto una mamma che vorrebbe riabilitare nel figlio il nome del padre insozzato da una condanna infamante; che tenta di educarlo in modo da corrispondere a questo suo ideale, segregandolo fin dalla compagnia di suo padre non volendo ch'egli, adottato dalla zia, perdesse il nome che doveva rialzare: ha visto insomma una donna chiusa, per questo, a qualunque altro affetto terreno... e che viene schiacciata anche essa dalla violenza delle circostanze superiori al suo potere.

Ha visto due altre creature affascinate da altri sogni: il poeta Foldal, da un sogno d'arte; Frida Foldal, sua figlia, da un sogno di ricchezza e di piaceri.

E vedendo e osservando, ha penetrato col suo acutissimo sguardo, fino all'intimo fondo, quelle creature umane, dove le leggi della vita si rivelano nella loro fatale rigidità; ha veduto l'inanità degli sforzi individuali nella lotta dell'esistenza, se le circostanze non li favoriscono. Eppure il pensatore si è sentito invadere da profonda e ammirativa simpatia per quelle creature dolorose, ognuna con la sua croce, o con la sua illusione, che è tutt'una; e l'artista ha sentito il bisogno di fissare le fuggevoli figure dalla realtà, spingendole vive e palpitanti sul palcoscenico, perchè altri osservasse e riflettesse come lui, perchè ognuno vi ritrovasse, per conto proprio, qualcuno dei mille pensieri che si sono agitati nella mente di lui, durante la gestazione creativa.

Ma questa volta egli ha voluto che le sue creature apparissero compiutamente staccate dal suo pensiero, segnate dal suo marchio si intende - come sarebbe stato possibile il contrario? - ma creature di carne e di ossa, con la loro particolare fisonomia, coi loro gusti, con la loro voce speciale, con le loro passioni, con le loro debolezze, coi loro sogni, con le loro allucinazioni, e senza l'impaccio di un preconcetto, di una tesi... o almeno con quel tanto di tesi che è indispensabile sostrato di ogni opera d'arte.

Infatti egli diceva ultimamente al suo traduttore francese, conte Prozor:

- L'importante, la cosa principale in un'opera teatrale è l'azione, la vita. Il resto è accessorio.

- Per noi semplici mortali, non grandi artisti come lei - rispondeva il Prozor - non sono cose accessorie le idee.

- Ma tutti scrivendo manifestano idee. Che cosa fanno dunque gli altri autori drammatici?

La domanda manifesta l'ingenuità di un uomo di grandissimo ingegno.

Che cosa fanno?

Precisamente il contrario. Niente azione, niente vita. E così il preteso lavoro drammatico si risolve in un noioso soliloquio dell'autore... per bocca di parecchi personaggi.

 

 

 





37 Gian Gabriele Borckman, Dramma in 4 atti.



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