Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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E. DE AMICIS e F. MARTINI.

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E. DE AMICIS e F. MARTINI.

 

Si parla molto di tutti e due in questi giorni.

Nella maturità del suo ingegno, nella pienezza della sua fama, Edmondo De Amicis un nobile esempio di onestà letteraria rifiutando di accettare l'elezione a deputato del primo collegio di Torino. La politica gli fa paura; egli vuole restare quel che è stato finora, uno scrittore, un artista. Non bisogna prendere alla lettera le ragioni del rifiuto da lui addotte. Possono mancargli, sì, alcune delle facoltà richieste dall'ufficio di deputato; ma parecchie non sarebbe stato difficile acquistarle, e in poco tempo, a un uomo come lui. Le hanno già acquistate persone che avevano cultura e ingegno assai meno di lui, e che non le esercitano certamente con l'efficacia che a lui avrebbero consentita e l'autorità del nome e la sincerità delle convinzioni. Le lotte? Egli non le ha sfuggite. Attorno al suo nome, al suo valor di scrittore c'è sempre stato un accanimento di lodi e di biasimi che non lo ha mai turbato, che non lo ha fatto indietreggiare deviare. Quando la sua sentimentalità, tante volte rinfacciatagli, si è convertita a un alto ideale sociale, egli ha coraggiosamente affrontato il giudizio dei suoi ammiratori e dei suoi avversari. Nell'entusiasmo di neofita, avea promesso un libro intorno ai nuovi ideali da cui era stato commosso il suo cuore e attratta la sua mente. Non lo ha scritto? O non ha voluto pubblicarlo perchè la sua coscienza di scrittore non n'è rimasta contenta? Io non lo so; ma questo non significa niente, o significa una probità letteraria degna di grandissima lode.

In ogni modo, più che altro, la sua lettera agli elettori socialisti del collegio di Torino e a quelli non socialisti che hanno votato in favore di lui per semplice sentimento di benevolenza, com'egli dice, significa che egli crede di poter servire meglio la causa del socialismo restando scrittore e nient'altro.

Nessuno può oggi decidere se il De Amicis abbia ragione, e se il suo convincimento sia una lusinga. Quando il libro promesso - trattato di volgarizzazione o opera d'arte - verrà fuori, allora sarà il caso di discutere, di vedere se egli si sia ingannato o no. Dovesse anche risultare da questi futuri suoi lavori che egli ha preso un abbaglio, la onestà e l'elevatezza delle sue intenzioni non ne sarà diminuita.

Scrittore ed artista, Edmondo De Amicis può essere diversamente apprezzato. Gli eccessivi lo stimano poco come scrittore, pochissimo come artista. I suoi Bozzetti militari, le sue novelle, i suoi ultimi romanzi scolastici - osservano gli eccessivi - sono opere d'arte fiacche o abortite; le sue descrizioni di viaggi, fantasmagorie che corrispondono poco o niente alla realtà; il suo tentativo psicologico degli Amici, un opprimente cumulo di osservazioni o non nuove o comuni. I suoi versi... Dei versi del De Amicis gli eccessivi non vogliono nemmeno parlare, quasi ne sentano nausea. L'editore delle opere di lui ha una risposta trionfale: il copioso numero delle edizioni, le traduzioni di esse in tutte le lingue europee. Nessuno scrittore italiano contemporaneo ha ottenuto finora così splendido successo di ristampe. Cuore è arrivato, credo, al duecentesimo migliaio.

Certamente il numero delle edizioni non è un elemento di giudizio da trascurarsi. Libri che trovano così straordinaria folla di lettori debbono aver qualità tali da far anche perdonare facilmente i difetti ch'essi hanno. La semplicità, l'efficacia della forma, una leggera nervosità di quando in quando, l'assoluta trasparenza dello stile che rende subito assimilabile il concetto, non sono doti comuni e spregevoli a questi lumi di luna tra noi. E quando la sincerità del sentimento si aggiunge alla sincerità della forma, e stabilisce una corrente di simpatia tra lo scrittore e il lettore, non è il caso di fare i difficili, gli scontenti.

A me, per esempio, la troppa sentimentalità non piace affatto; mi sembra un falso modo di sentire e di vedere le cose. Eppure a me è accaduto di essere commosso e di vedermi improvvisamente inumidire gli occhi alla lettura di qualcuna delle scene militari descritte dal De Amicis. Sorgeva dentro di me una specie di lotta tra il raziocinio che giudicava e il sentimento che veniva eccitato. Mi sdegnavo di essermi lasciato quasi prendere alla sprovveduta, ma non potevo negare l'effetto ottenuto dallo scrittore, l'effetto a cui egli mirava.

Ora questa sentimentalità, di cui lo stesso De Amicis, se non mi inganno, ha sorriso in un suo componimento poetico, sarà un difetto spinta tropp'oltre come spesso gli avviene, ma è una qualità preziosa che molti debbono invidiargli.

Se egli dunque vuol rimanere scrittore e artista, cioè esercitare col mezzo che crede più adatto alle sue facoltà un'influenza qualunque sul pubblico che lo legge, che lo segue, che lo ammira anche con tutti i suoi difetti, io gli batto le mani.

La politica è fatale all'arte, è troppo assorbente. Quel che essa richiede dai suoi adepti, dai suoi cultori, ha poco o niente da spartire coi mezzi di cui dispone l'artista. La sentimentalità, che può essere anche un pregio in arte, è spesso in politica, più che un difetto, una colpa. Per ciò poeti, romanzieri, drammaturghi sono apparsi sempre spostati nell'aula parlamentare. E vi hanno fatto udire raramente la loro voce, o non hanno prodotto nessun notevole effetto. Al D'Annunzio, per esempio, la politica non ha ispirato finora altro che una splendida stonatura di stile che ha dovuto far strabiliare moltissimi dei suoi elettori, e una corrispondenza in un giornale americano intorno ai fatti del maggio 1898, che ha mosso a riso e a sdegno anche coloro che gli vogliono più bene.

Senza dubbio, il nostro Parlamento dev'essere onorato di veder sedere nei suoi stalli un D'Annunzio, un Panzacchi, come il Senato un Carducci; ma più a ornamento che ad altro. O deve rassegnarsi a veder sparire l'artista davanti all'attività e alla giusta ambizione del deputato. È il caso di Ferdinando Martini, governatore dell'Eritrea.

Ahimè! I giornali, che ne annunziano il felice ritorno in Italia, ci parlano del bilancio della colonia da lui preparato, commettono indiscrezioni intorno ai progetti di lui per assestare definitivamente l'amministrazione civile di quei nostri possessi, ma non ci dànno nello stesso tempo notizia di nessun nuovo libro che il Martini abbia scritto o ideato di scrivere. La sua trasformazione è mirabile. Con poco, il brillante articolista del Fanfulla della domenica è divenuto uno dei più affascinanti e più seri oratori. Il critico arguto e coscienzioso si è mutato in politico ricco della stessa finezza, dello stesso buon senso e della stessa competenza adoprata in soggetti di arte drammatica. Il facile ed elegante narratore di Peccato e Penitenza ha adoperato ugualmente nel suo libro L'Affrica tutte le meravigliose sue qualità di statista e di colorista rese ancora più splendide e più solide... Ma l'arte ormai lo ha perduto. Egli, evidentemente, si allontana a malincuore della meta a cui miravano i begli entusiasmi della sua giovinezza; di tratto in tratto si ferma, si rivolge indietro, ma ormai... l'Affrica, la sua Affrica, se lo è preso, e non ci renderà più il Martini di una volta.

L'Italia avrà trovato probabilmente in lui un amministratore coloniale eccellente; ma, cercando bene, amministratori di ugual valore si sarebbero potuti trovare o creare. Un giorno, in Parlamento, o nel Consiglio dei ministri, Ferdinando Martini sarà una gran forza per l'esperienza amministrativa acquistata, per la maturità dei suoi consigli, per la bontà dei suoi progetti... Ma nessuno potrà togliermi di capo che altri avrebbero potuto fare, più o meno bene, quel che egli è andato a fare laggiù; ma nessuno vorrà affermare che non sia stato un gran peccato che Ferdinando Martini, il brillante articolista del Fanfulla della Domenica, il critico arguto e sensato, abbia sacrificato alla politica meravigliosi doni letterari che tutti dobbiamo rimpiangere.

E, mentre scrivo, mi passano davanti agli occhi, come in turbinosa fantasmagoria, i bei giorni di Firenze, quando egli giovane, biondo, pieno di entusiasmi per l'arte, riempiva con lo scintillìo della sua parola il foyer del teatro Niccolini; quando niente faceva prevedere che all'autore di Fede e dei proverbi drammatici, lavori con cui egli faceva allora le sue prime prove di artista, dovessi io dare il saluto di ben arrivato da Massaua con queste malinconiche parole.

 

 

 


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