Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Cronache letterarie
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DOMANDO LA PAROLA

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DOMANDO LA PAROLA

 

Domando la parola per un fatto personale! Capisco: il Marzocco ha inteso di farmi una cortesia chiamandomi strenuo campione del naturalismo in Italia, e di questa gentile intenzione gli sono gratissimo; ma siccome io ho la coscienza di non essere campione del naturalismo, di altra qualunque scuola letteraria, o chiesola, o setta che si debba dire, così chiedo il permesso di protestare, per la seconda ed ultima volta, contro l'etichetta che critici benevoli e valevoli si compiacciono, da anni, di appiccare al mio nome.

Sissignore, io ho difeso il naturalismo zoliano in parecchi miei scritti, facendo però sempre le debite riserve contro l'esagerazione del sistema: ho dedicato a Emilio Zola un mio romanzo giovanile Giacinta in segno di viva ammirazione per lo scrittore; e forse allora mi illudevo che quel romanzo derivasse dalla sua scuola. Ma i critici non si sono mai accorti che era proprio un'illusione; me ne accorgo ora io che posso guardarlo con occhio imparziale e commiserante, e stupisco della miopia dei critici, che pure dovrebbero vederci assai meglio di noi autori.

Poi, bene o male, ho scritto quasi un centinaio di novelle, una cinquantina di fiabe, due romanzi, Profumo e La Sfinge, e parecchi altri volumi di critica letteraria dove ho chiaramente espresso il mio credo artistico. Da questa varia produzione, qualunque sia il giudizio che voglia darsi intorno al suo valore, appare evidente che unica mia cura è stata sempre quella di raggiungere la maggiore sincerità possibile di osservazione unita alla maggiore sincerità possibile di espressione.

Quando il soggetto di una novella, di un romanzo, di una fiaba mi ha attirato, io non mi sono mai chiesto se esso era naturalista, verista, idealista o simbolista; ho badato soltanto a dargli la forma più schietta e più conveniente ad esso; se io sia riuscito o no è un'altra quistione. Mia intenzione era unicamente fare opera d'arte. Non ho mai pensato che o una fiaba o una novellina per bambini potesse essere cosa diversa da una novella, diciamo, psicologica o pure di soggetto paesano, o da un racconto di larghe proporzioni o da un romanzo. Convinto che la forma è tutto, o quasi, in un'opera d'arte, mi sono ingegnato di dare alla fiaba, alla novellina per bambini, alla novella psicologica o paesana, al racconto e al romanzo la loro natural forma, ora ingenua, ora semplice, ora un po' più complicata; e dicendo forma non intendo parlare soltanto della lingua e dello stile, ma anche dell'intimo organismo di ciascuna opera d'arte. Ripeto: se io sia riuscito o no nel mio intento, è un'altra quistione.

Qui si ragiona solamente d'intenzioni, di convinzioni, d'ideali appartenenti in modo speciale a una scuola estetica più che a un'altra; e per ciò posso lagnarmi della disgrazia di vedermi franteso che mi perseguita da un pezzo.

Ho un bel sforzarmi di esprimere nel modo più chiaro il mio concetto; si prende un periodo, una frase, staccandoli da quel che li precede e li segue, e in questa maniera mi si condanna ad esser naturalista per forza, e campione del naturalismo non meno per forza.

Ho protestato per una prima volta43; ma inutilmente, se un giornale come il Marzocco e con l'intenzione di farmi un complimento, torna a dirmi quel che tante volte mi è stato sbadatamente ridetto.

È appunto quest'intenzione che mi spinge a protestare di nuovo e per l'ultima volta.

E perchè l'equivoco finisca - se pure è possibile, giacchè il mutare un'etichetta sembra fatica straordinaria agli etichettai - ecco, per chi vuole saperlo, il mio credo letterario. Invece di riassumerlo, potrei metterlo insieme citando una buona quantità di brani di miei articoli di critica dai quali risulterebbe che io ho avuto sempre, più o meno chiaramente, la stessa opinione; e accennando, nel medesimo tempo, i miei lavori di arte che sono, o che dovrebbero essere, secondo me, la conferma, il documento probante delle convinzioni del critico divenute opera d'arte. Ma non voglio incombrare le colonne del Marzocco per risparmiare un po' di fatica ai curiosi che volessero accertarsi se alle mie intenzioni hanno davvero poi corrisposto i fatti.

Dico dunque semplicemente che io, caso mai, sono naturalista, verista, quanto sono idealista e simbolista: cioè che tutti i concetti o tutti i soggetti mi sembrano indifferenti per l'artista ed egualmente interessanti, se da essi egli riesce a trar fuori un'opera d'arte sincera. Il mondo è così vasto, ha tanta moltiplicità di aspetti, esteriori e interiori, che c'è posto per tutti questi diversi aspetti nel mondo superiore dell'arte. Perchè vogliamo restringerlo, limitarlo? Perchè vogliamo imporre a tutti l'afflizione di doverlo riguardare dal medesimo punto di vista?

Ma noi abbiamo bisogno di fare, di tratto in tratto questioni di lana caprina; abbiamo bisogno - ed è peggio - di arruffare le discussioni più semplici, scambiando le carte in mano all'avversario, e scambiando i termini della discussione perchè il nero sembri bianco e il bianco nero. Così arriviamo a non intenderci più.

Io dico, per esempio: il concetto in un'opera d'arte è una cosa secondaria: l'importante è che esso diventi forma viva, altrimenti noi confonderemmo l'opera d'arte con l'opera di pura riflessione, di puro pensiero. Questo non significa che un concetto elevato, se arriva ad assumere forma artistica, non aumenti il valore dell'opera d'arte; significa soltanto che esso può produrre quest'effetto unicamente quando raggiunga quella metamorfosi per via della forma.

Naturalisti, veristi, idealisti, simbolisti non dovrebbero essere d'accordo su questo elementarissimo canone di arte?

Dovrebbero; ma non sono.

Io dico, per esempio, che le forme artistiche debbono essere talmente connaturate al concetto da non poterle distinguere da esso. Per ogni concetto o sfumatura di concetto ci è una sola unica forma: il difficile sta nel raggiungerla. Per ciò ogni soggetto richiede uno stile diverso, suo proprio, e l'artista deve avere, per dir così, altrettanti stili quanti sono i soggetti che tenta, e seguire con essi tutte le gradazioni, tutte le sfumature, senza alterare niente, senza tralasciare niente, conformandosi a tutte le sinuosità, a tutte le accidentalità del soggetto.

Naturalisti, veristi, idealisti, simbolisti non dovrebbero essere d'accordo su quest'altro elementarissimo canone di arte?

Dovrebbero; ma non sono.

E si continua a fare lunghe discussioni bizantine. Si scartano certi soggetti, si colpiscono d'interdizione; si bandiscono certe formole stilistiche, si getta l'anatèma su altre. Per quale ragione? Per un capriccio di moda forse.

In quanto a me, non ho mai avuto preferenze per questo o per quel soggetto, per questa o per quella formola di stile. Ho tentato soggetti di ogni specie ed ho cercato di esprimerli con lo stile più adatto.

Lo stile delle mie Paesane non è quello delle novelle, diciamo, psicologiche. Fra lo stile delle Paesane e quello di Profumo e di La Sfinge c'è un abisso, come c'è un abisso tra il contenuto.

Io, lo confesso, e sia detto per incidente, non ho saputo persuadermi, per quanto mi sia ingegnato di farlo, in che cosa mai differiscano Profumo e La Sfinge dai così detti romanzi idealisti; potrei quasi farmi la stessa domanda intorno a Giacinta, non ostante la dedica a Emilio Zola. Mi son fin domandato come mai due volumi di fiabe, e due di novelle dove studio il mondo dei bambini con lo stesso metodo di osservazione praticato per gli adulti, possano permettere di classarmi a ogni costo fra i naturalisti.

Ebbene tanta diversità e varietà di concetti e di forme non avrebbero dovuto mettere in guardia i critici prima di etichettarmi assolutamente naturalista?

Resta per loro scusa, la quistione, come dicono ora, stilistica. Io non sono certamente uno stilista. - Oh, no! - sento mormorarmi all'orecchio - E aggiungo che non vorrei esserlo, caso potessi. Sono diventati stilisti tante brave persone che poi non hanno altro all'infuori di quel tale stilismo, che non credo di dire una cosa assurda asserendo che a furia di pazienza e di studio avrei potuto divenire loro emulo anche io. Il vocabolario, per fortuna, non è proprietà esclusiva di nessuno, e i modelli da copiare o da imitare molto meno. Dico questo perchè la semplicità, la nudità del mio stile non sia attribuita al mio naturalismo e non sembri una prova lampante di esso; non già per scusarlo o per difenderlo. È giusto che questa orazione pro domo mea rimanga nei limiti dei principî e delle intenzioni.

In quanto al resto, non debbo e non voglio entrarvi. Non ho mai fatto polemiche, da giovine, per difendere questo e quel mio libro; e non voglio cominciare ora che... non sono più giovane.

E mi si permetta di finire, con l'autorità che consentono gli anni, raccomandando a tutti coloro che ora hanno l'invidiabile tesoro della giovinezza:

- Lasciate da parte le discussioni astratte, le polemiche; non vi compiacete delle belle etichette, che in fine non vogliono dir nulla se il liquore della bottiglia non è poi di ottima qualità; siate sinceri, se potete e se sapete, siate sinceri, sinceri, sinceri; il resto, come dice il Vangelo, vi sarà dato in più dal gran Padre che sta nei cieli!

 

 

 





43 Vedi a pag. 50 dei miei Ismi contemporanei.



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