Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Delitto ideale
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DOLORE SENZA NOME

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DOLORE SENZA NOME

 

A SALVATORE LI GRECI.

 

 

Quella figura di donna sembrava non riuscisse a liberarsi dall'opprimente involucro della creta che ne accennava le forme. Soltanto la testa si ergeva con fierezza, quasi tirasse violentemente in su la massa dei capelli spioventi su le spalle ignude e la schiena arcuata, ma che si confondevano con le carni per mancanza di modellatura. E siccome la stecca dello scultore non le aveva ancora aperto gli occhi, così il bellissimo volto ovale prendeva espressione di tale disperata angoscia da far proprio male a guardarlo.

Che cosa volesse rappresentare con essa il giovane scultore Vittorio D'Arèba non avrebbe saputo dirlo neppur lui.

Quel doloroso atteggiamento gli era balenato nella fantasia con tanta precisione di particolari, ch'egli si era illuso di poter terminare il bozzetto in due o tre giorni. Invece eran trascorse parecchie settimane, e la tormentata figura femminile apparsagli dinanzi, come balzata a un tratto fuori dal nulla e con tutta l'armoniosa perfezione della forma scultoria, non arrivava punto a vincere le inattese esitanze della mano.

Dati qua e rapidi colpi di pollice e di stecca, impostati i pezzettini di creta nervosamente spiaccicati o arrotondati tra le dita, e tòltine via, con rabbiosa scontentezza, altri riconosciuti superflui dal severo giudizio dell'occhio, egli rimaneva ritto, immobile, davanti al bozzetto che gli pareva non acquistasse nelle linee e nella fattura l'impronta di spontaneità, di vigore e di vita del bozzetto rappresentatogli dall'immaginazione con mirabile evidenza.

Non avrebbe dovuto far altro che copiarlo, come uno scolare il gesso indicatogli dal professore; e intanto, appena la mano si accostava alla creta accumulata in fretta in fretta sul cavalletto e rozzamente atteggiata nella mossa di quel modello ideale che gli aveva dato il maggior entusiasmo da cui si fosse sentito avvampare finora nei più felici momenti di creazione artistica, egli incontrava una strana invincibile resistenza, quasi il pollice e la stecca si rifiutassero di obbedire all'intelletto che voleva adoprarli.

Caso affatto nuovo per Vittorio D'Arèba, che sapeva di possedere il dono d'una rara facilità di improvvisazione, senza nessun pregiudizio dell'efficace modellatura appropriata a un bozzetto.

Più nuovo assai però era il sentimento di profonda tristezza da cui si sentiva invadere di giorno in giorno nella lotta contro quell'incredibile impotenza che lo teneva ostinatamente chiuso nello studio dalle otto di mattina alle sei di sera, e che gli faceva sfuggire gli allegri ritrovi di amici e di confratelli d'arte da lui frequentati per riposarsi dall'assiduo lavoro giornaliero e per prendervi anche alimento di forze produttive tra le calorose discussioni.

Alcuni dei più intimi amici eran venuti a picchiare più volte alla porta del suo studio nella solitaria casa, in piena campagna, in una traversa di via Flaminia; ma la porta era rimasta inesorabilmente chiusa davanti ai seccatori che lo irritavano con quelle interruzioni e che pareva venissero a posta per fargli smarrire l'impeto di esecuzione proprio sul punto che stava per prorompere trionfante.

Allora egli si lasciava cascare, sfinito, sul vecchio canapè addossato al muro, con le braccia rotte da inesplicabile stanchezza, la testa abbandonata sul petto, e non osava di guardare la maledetta figura che si contorceva, appena abbozzata, col fiero gesto di tirar violentemente in su la massa spiovente dei capelli.

E come quella figura ancora informe sembrava soffrisse orrendamente per l'inane sforzo contro la inesorabile fatalità che la teneva impigliata nell'umido blocco di creta dove si disegnavano appena le curve del seno, del ventre e delle anche, così egli sentiva, ora, di soffrire quanto non aveva mai sofferto, quasi pure il suo spirito si dibattesse impacciato da nodi interiori e non potesse liberamente trasfondersi in quell'opera, che ormai aveva il fascino delle cose vietate o stimate impossibili a esser raggiunte e, ciò non ostante, desiderate e rincorse con indomabile ardore.

Immenso fu poi il suo stupore la mattina in cui si accorse che il sentimento di profonda tristezza dal quale veniva torturato da una settimana, non riguardasse se stesso e la inettitudine di raggiungere la giusta forma della sua opera d'arte, ma fosse invece vivissima partecipazione al disperato dolore di quella figura che cominciava a sembrargli persona viva, forse - egli aveva voluto darsi una spiegazione del fenomeno - per l'intensa e lunga contemplazione che gli faceva scorgere nell'opera non finita di abbozzare l'espressione che gli stava in mente e che avrebbe dovuto animarla se egli fosse riuscito a modellarla fortemente.

- Ma non riuscirò! - sospirava.

Gli sembrava anzi di aver già commesso un delitto, condannando la bellissima creatura - Dove l'avea vista? Come l'aveva conosciuta? - all'ineffabile tortura di quell'atteggiamento da cui egli più non si sentiva capace di liberarla. E quest'idea, dapprima pàrsagli sciocca o pazza, lo penetrava ogni giorno più, gli dava un senso di rimorso, che però non era senza mistura di compiacimento, giacchè non a tutti poteva accadere un caso uguale; ed esso indicava una forza, un potere intelligentissimo in colui che era arrivato, sia pure inconsapevolmente, a quel tentativo.

E per ciò egli tornava tuttavia a chiudersi nello studio di buon'ora e ne usciva a sera tarda. Ma chi avesse potuto osservarlo ritto davanti al bozzetto, con gli occhi fissi in esso, e che guardavano e non vedevano, distratti da qualche oscuro fascino dal quale veniva interrotta la corrente di impressioni tra i sensi e lo spirito; chi avesse potuto osservarlo, specie in quegli ultimi giorni, quando stesa la mano verso la figura con un briciolo di creta su la punta dell'indice, egli si arrestava esitante con un tremito nel braccio, quasi temesse di compire una profanazione posando quel briciolo sul nudo corpo della formosissima donna, quantunque la modellatura ne fosse rimasta più accennata che sviluppata; chi lo avesse, finalmente, osservato nei lunghi intervalli di sosta, buttato sul canapè, col viso contratto, con le mani brancicanti la stoffa di esso in atto di strapparla, non avrebbe mai immaginato che il giovane artista avesse perduto la giocondità di spirito, con cui riusciva gratissimo nei ritrovi e nelle relazioni sociali, unicamente perchè la mancata creazione artistica gli dava la pazza convinzione che una creatura umana soffrisse nell'opera sua.

- Dove l'aveva vista?... Come l'aveva conosciuta? - se lo domandava spesso e inutilmente.

Quella mattina, avviatosi per lo studio, aveva indugiato davanti a una vetrina di acqueforti moderne e di riproduzioni fotografiche di capilavori di pittura.

- Ah!... Sei vivo?

E sentì afferrarsi un braccio dalla poderosa mano dell'amico che lo apostrofava con quelle parole.

- Che fai? Lavori almeno, o ti sei perduto anche tu dietro qualche gonna, come l'imbecille di Dorini?

- Lasciami stare! - rispose Vittorio D'Arèba.

- Scoraggiamenti dunque? Tanto meglio. Soltanto gli sciocchi sono contenti di loro stessi.

- Se tu sapessi quel che mi accade!

- Quel che accade a tutti e che ognuno di noi suppone caso speciale, eccezionale.... Sentiamo!

Giulio Nolli soleva parlare così, con aria tra autorevole e beffarda, che lasciava incerti coloro che non ne conoscevano la vasta cultura e il fine ingegno di critico d'arte, s'egli fosse un gran pedante o un pallone gonfiato di vento.

Vittorio D'Arèba, che ne apprezzava moltissimo i giudizi e i consigli, a quel Sentiamo! si scosse, pentito di essersi lasciato scappar di bocca un principio di confidenza che sarebbe stato assai scortese interrompere.

- Può darsi - rispose. - Tu forse non lo crederai, tu che non stimi, come tanti altri, che la facilità d'esecuzione sia tra le qualità inferiori dell'ingegno artistico (e spesso ti sei compiaciuto di rallegrartene con me) tu non crederai che io stenti da un mese e mezzo a tirar innanzi... una cosina da niente... una figura di donna in vigoroso atteggiamento. Mi è apparsa così davanti agli occhi, mi sta fissa così davanti agli occhi, meglio di un modello reale... e intanto....

- Chi sa che concetto, chi sa che simbolo ti sei messo in testa di esprimere! Giacchè ormai anche voialtri scultori volete contribuire al benessere sociale, alla civiltà, all'emancipazione delle plebi...! E, col pretesto del concetto e del simbolo, fate brutte statue inguardabili o non riuscite a farne neppure brutte.

- Niente affatto, caro mio. Ho veduto, meglio, ho fantasticato, o, meglio ancora, mi si è presentata improvvisamente all'immaginazione questa figura che.... che non so dirti che cosa voglia esprimere con quel suo doloroso atteggiamento; e mi son messo subito ansiosamente a ritrarla, a eseguirla. Credevo di sbrigarmene in due o tre giorni; e son , da un mese e mezzo, non sapendo come finir di abbozzarla, di abbozzarla soltanto! Questo stranissimo fatto mi ha talmente impressionato, che in certi momenti - non stralunare gli occhi! - mi par d'impazzire.

- Eh! Eh!

- Perchè l'immaginazione mi fa vedere tanta vita in quella figura di donna, da darmi un pungentissimo senso di pena, quasi.... - non stralunare gli occhi! - quasi io non mi trovi davanti a un'incompiuta opera d'arte, ma assista, impotente di soccorrerla, al martirio di una creatura umana attratta in un agguato per colpa mia.

- Eh! Eh! Bisogna vedere questo miracolo!

- Quest'infamia, dovresti dire. Mi vergogno di me. Sono incretinito!.... Sto per smarrire la ragione!

- Il primo caso è più probabile.

Ma un'affettuosa stretta di mano fece capire a Vittorio D'Arèba che il suo amico scherzava.

Il giovane scultore si schermì un pezzo contro le insistenze del critico d'arte che voleva accompagnarlo a ogni costo allo studio; alla fine si arrese.

- Mi saprai consigliare.

- Non occorrerà.

Giulio Nolli si arrestò, increspando le sopracciglia, alla vista del bozzetto e, con grande stupore dell'artista, rimase lungamente assorto a contemplarlo da tutti i lati, senza punto curarsi dell'ansietà con cui quegli doveva attendere il responso di lui.

- Oh! È un portento! - esclamò all'ultimo il Nolli. - Hai fatto il tuo capolavoro. Non farai niente di meglio in avvenire, te lo dico io.

- Ti beffi di me?

- E sei davvero incretinito, se non comprendi il valore di quest'opera, che ha un solo irrimediabile difetto - soggiunse il Nolli non ancora sazio di ammirare: - dovrà rimanere quel che è, un bozzetto. Nessuna abilità di esecutore potrà tradurlo in marmo conservandone la freschezza del tocco, l'incompleto. Non ardire di lavorarvi più; sciuperesti questa terribilità di espressione che risulta appunto da quel che il tuo istinto d'artista ti ha preservato di alterare dando maggiore finitezza alla modellatura.

Vittorio D'Arèba era commosso, con gli occhi pieni di lagrime che gli velavano l'opera sua.

Intanto il critico, continuato a profondersi in elogi, a sviluppare ampiamente il concetto risultante da quella tormentata figura, domandava all'artista:

- Tu dunque non hai pensato niente di tutto questo?

- Niente!

- Benissimo. Le vive forze della Natura creano così, con misteriosa inconsapevolezza; e l'ingegno artistico, che è una delle tante forze naturali, non può agire altrimenti. Fa' formare sùbito e poi fondere in bronzo il tuo bozzetto. Sentirai che scoppio alla prossima esposizione!

- Mah...? - fece il D'Arèba con trepidante gesto interrogativo.

- Come battezzarlo? Ecco: Dolore senza nome!

- Grazie!... È proprio così! balbettò lo scultore.

E sentiva dentro di tutta l'angoscia di quel dolore senza nome, che intanto gli si trasformava - prodigio dell'arte! - in infinita dolcezza.

 

 

 


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