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Leo era tornato in casa tutto contento. In premio dei buoni esami, il babbo lo aveva condotto alla inaugurazione della statua di un grand'uomo, di uno con tanto di barba — egli diceva ai fratellini e alle sorelline, non ricordandosi il nome — e d'una donna seduta lì sotto, con un bambinone nudo d'accanto. Che folla! Ministri, Senatori, Deputati! Bandiere e bande!... Signore alle finestre e ai balconi!...
Fratellini e sorelline stavano a sentirlo a bocca aperta, invidiandolo.
— Ora giocheremo alla statua! — egli conchiuse.
Durante la cerimonia non aveva pensato ad altro. Gli era balenata quasi subito quest'idea appena arrivato colà, e per ciò aveva osservato attentamente ogni particolare per poterli rifare tutti con precisione; sarebbe stato un gioco nuovo!
— Andiamo in giardino; vi spiegherò ogni cosa... Ma prima chiamiamo i Solerti.
I Solerti abitavano al terzo piano, ed erano i loro immancabili compagni di chiasso.
Nei mesi delle vacanze passavano le giornate insieme nel giardinetto di casa Tomelli; spesso venivano i fratelli Bossi, e anche le ragazzine Sfrattini, amiche e compagne di scuola di Gina e Lora. I genitori dei Tomelli volevano che i loro bambini si divertissero molto dopo aver studiato quanto occorreva, e per ciò li secondavano volentieri nei loro capricci di chiasso. Qualche volta mamma e babbo prendevano parte ai loro divertimenti, e ne inventavano pure qualcuno quando i bambini si trovavano a corto di novità.
Quel giorno la compagnia era completa in giardino, e la buona signora Tomelli stava a sorvegliarla dalla terrazza, interrompendo di tratto in tratto la lettura d'un libro nuovo, comprato dal marito il giorno avanti.
I Solerti, Carlo, Nina ed Eugenio, erano accorsi subito alla chiamata. I Bossi, Giulio e Armando, erano stati condotti dal loro babbo; la signora Sfrattini, fatta una visita alla sua amica Elena, aveva lasciato Laura e Clelia, che la cameriera sarebbe venuta a riprendere fra qualche ora. Tra le aiuole fiorite, quei fiori viventi che correvano, s'inseguivano, ridendo e gridando, riempivano di commozione e di piacere il cuore della gentile signora sdraiata indolentemente su la poltrona a dondolo. Lo spettacolo era così bello, così rallegrante, che la lettura, interrotta da lunghi intervalli, procedeva lentissimamente.
Leo, in un canto, spiegava ai fratelli Bossi il nuovo giuoco da lui inventato.
LEO.
Si fa così. Prima si rizza uno steccato perchè le gente non veda niente; poi si mette su il pedistallo.
Di pietra? Ma come faremo?
LEO.
No. C'è di là un tavolino da notte che non serve più, con la sua tavoletta di marmo: è un piedistallo bello e fatto.
LEO.
Abbiamo anche la statua; ne abbiamo anzi parecchie, di stucco, di terracotta, di finto bronzo. Abbiamo pure un cinese che muove la testa. Bello! Gli si dà un colpettino e la testa dondola per un pezzetto.
LEO.
Non importa; lo battezzeremo noi: diremo che è... Ce lo faremo dire dal babbo chi è. Quando la statua è al suo posto, si copre con un lenzuolo, con un panno insomma, e si toglie via lo steccato. Allora si fanno gl'inviti; uno prepara il discorso...
Il discorso voglio farlo io.
LEO.
Si vedrà poi. I miei fratellini saranno la banda musicale con trombette e tamburelli; Gina, Laura, Lola e Clelia il Comitato.
LEO.
Non lo so; coloro che fanno la statua, cioè che spendono i quattrini raccolti.
LEO.
Il babbo ieri diceva: Quelli lì sono il Comitato; ed erano più di quattro. Il Comitato riceve gli invitati. Oh, dobbiamo fare proprio come hanno fatto l'altro giorno. Inviteremo tutti i nostri parenti e altri bambini; li sbalordiremo! E ci divertiremo almeno una settimana con tanti preparativi che ci vogliono.
Carlo ed Eugenio, lasciata Nina con le altre bambine, erano venuti ad unirsi ai loro compagni.
E noi che faremo?
LEO.
Tutto; noi saremo gli operai, rizzeremo lo steccato, pianteremo il piedistallo, vi metteremo su la statua, che trasporteremo su la carrettella.
E dopo, alla cerimonia, porteremo le bandiere. Noi ne abbiamo tre in casa.
LEO.
Dobbiamo rizzare anche il palco per gl'invitati: faremo uno steccatino, lí, lo addobberemo con tappeti, e figurerà da palco; lo rizzeremo di faccia alla statua perchè gl'invitati vedano bene.
Ci vogliono corde, pali, chiodi...
LEO.
Tutto abbiamo.
Io so piantare i chiodi, ma occorre un martello.
LEO.
Nello stanzone per gli attrezzi c'è ogni cosa. Andiamo a scegliere la statua.
Gli altri bambini lo raggiunsero.
Quello stanzone a pian terreno era, per così dire, il loro arsenale: seggiole vecchie, vecchi tavolini, statuette sciupate o rotte, tappeti smessi, mobili d'ogni sorta ridotti inservibili, pali, tavole, arnesi di tutte le specie, carrettelle, scatole, cassette, e molte altre cose divenute senza forma e senza nome per opra di quei demonietti che le avevano adoperate a tanti usi diversi.
Appena entrati, Leo si piantò davanti a tutti, impedendo che si mettessero a frugare.
LEO.
Fermi; non facciamo confusione. Non toccate niente.
LORA.
Sei tu solo il padrone?
LEO.
Ecco bambine sciocche! Sapesse almeno che cosa deve cercare, e dove trovarla!
LORA.
Le figurine di gesso che sono là; eccole. C'è anche quella con un braccio rotto.
LEO.
E quella non può servire. Il meglio è il cinese.
GINA.
Dove hai tu veduto una statua che muova la testa?
LEO.
Sarà la novità. Quando leveremo via il lenzuolo, ecco il cinese che fa la riverenza a tutti. Scoppieranno applausi e risate senza fine. Nessuno s'aspetta una cosa simile; ma bisogna mantenere il segreto fin col babbo e con la mamma. Hai capito tu, Lora?
(alle altre bambine).
Avete capito anche voi? Silenzio con tutti; altrimenti il giuoco non riesce.
Il cinese era buttato in un canto con la faccia al muro, ed era così coperto di polvere e di ragnateli che il verde del suo vestito pareva bigio. Leo e Giulio lo rimossero di lì, lo sollevarono su un tavolino, e gli altri bambini cominciarono a battere le mani vedendogli agitare la testa. Gli mancava mezzo baffo di pelo naturale; il pelo era stato roso dalle tignuole. Quando fu bene spolverato, i bambini poterono ammirare i disegni dorati del vestito verde e la coda che gli scendeva dalla nuca fino ai piedi, oggetto di gran curiosità e d'ilarità irrefrenabile.
LEO.
Se lo dicevo io che il cinese era il meglio! Già ridiamo noi che lo sappiamo; figuriamoci gli invitati che non sapranno nulla fino allo scoprimento!
Sì, per farci canzonare! Noi siamo italiani, e dobbiamo inaugurare la statua d'un italiano, di Vittorio Emanuele, di Garibaldi, di Mazzini, di.....
LEO.
Al solito, lui mette sempre attraverso degli impicci! Dove li prendiamo costoro? Abbiamo il cinese e basta.
GINA.
C'è lì anche un cacciatore col cane, la ballerina...
LEO.
Che ballerina! Porta scritto sotto: Tersicore.
GINA.
Vuol dire che costei si chiamava così.
LEO.
Oh, il giuoco l'ho inventato io, e debbo dirigerlo io!
Parve una ragione senza risposta; tutti stettero zitti. E siccome la testa del cinese s'era fermata, Gina le die' un colpettino, dicendo:
E i bambini allegramente:
— Buon giorno, buon giorno, cinese!
LEO.
Ora, bambine, potete andarvene in giardino. Noi porteremo fuori i pali e le tavole; lasciateci fare.
E le buche per piantare i pali?
LEO.
Quando i materiali saranno sul posto, scaveremo le buche; ecco lì una zappettina.
La prendo io; sarò il manovale.
Vedendoli venir fuori con quei pali su le spalle, la signora Tomelli che non aveva capito che volessero fare, si levò da sedere e si sporse dalla balaustrata della terrazza:
— Leo, Carlo, che è questo? Vi strapazzate troppo, v'insudiciate.
LEO.
No, non voglio.
Leo salì su, a parlamentare con la mamma, a spiegarle la cosa, a persuaderla.
LEO.
Faremo l'inaugurazione domenica prossima. Inviteremo te, il babbo, i Solerti, i Bossi, gli Sfrattini, mezzo mondo. Lasciaci divertire.
E siccome in quel punto entrava il signor Tomelli, Leo si volse a lui:
— Babbo, permetti tu che noi facciamo il giuoco dell'inaugurazione, come quella dell'altro giorno? Dici di sì, babbo.
Possono farsi male, con quei pali.
LEO.
Servono per lo steccato. È vero che prima bisogna costruire lo steccato perchè la gente non veda? Me lo hai additato tu stesso. Ecco, il babbo dice di sì!
Infatti il signor Tomelli, sorridendo della trovata del suo bambino, soggiunse soltanto:
LEO.
Non dubitare, babbo. Ma tu non devi venir laggiù, e neppure la mamma. Quando tutto sarà terminato...
E Leo, ridisceso di corsa, annunziò la gran nuova del permesso accordato.