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Quel dopopranzo Pinuccio aveva fatto un po' il cattivo ed era stato lasciato in casa, mentre il fratello e le sorelline erano andate col babbo e con la mamma al giuoco del pallone.
La cameriera, a cui l'avevano affidato, nell'assenza dei padroni era scesa col bambino a far quattro chiacchiere in portineria con la portinaia e con le cameriere dei coinquilini.
Pinuccio s'era messo a fare il chiasso col figlio del portinaio, detto Ranocchio, perchè corto e grassoccio. Quel soprannome gliel'aveva appiccicato suo padre, e i bambini non lo chiamavano altrimenti.
Ranocchio era un ragazzo maleducato e cattivo, e perciò il signor Tomelli, che prima gli aveva permesso di fare il chiasso coi suoi bambini in giardino, da parecchi mesi non gli permetteva più che si mescolasse nei loro giuochi. Ranocchio stava a guardarli dal cancello, e spesso li beffava e li faceva arrabbiare con motti e versacci.
Il signor Tomelli, a cui dai bambini era stato accusato, gli aveva promesso una fitta di scapaccioni se non avesse smesso; e Ranocchio se l'era tenuto per detto. Stava a guardare e non diceva più nulla e più non faceva versacci. Si rodeva però dalla smania in quei giorni, vedendo i bambini affaticati a rizzare lo steccato. Che cosa combinavano? Non ne capiva niente. Infine, era bambino anche lui; e li avrebbe volentieri aiutati a trasportare pali e arnesi perchè forte e robusto.
Quel dopopranzo dunque egli domandò a Pinuccio:
— Che vuol dire quel casotto in giardino?
Pel cinese? Che è mai? Andiamo a vedere?
Leo non vuole.
Mentre non c'è nessuno; tu non glielo dovrai dire.
E come entriamo in giardino? Non abbiamo la chiave.
Ci caleremo giù dalla finestra della camera da letto di mio padre; è bassa bassa.
Pinuccio si lasciò persuadere. I due ragazzi sgattaiolarono in camera senza che le donne se n'accorgessero; e Ranocchio, rizzato Pinuccio sul davanzale della finestra, vi si arrampicò. Lestamente, con un salto, fu in giardino e prese in braccio Pinuccio che ripeteva pentito:
— Leo non vuole.
Visto che lo steccato era chiuso, Ranocchio diè una strappata alla corda e aperse la porticina. Dentro ci si vedeva poco. Ranocchio, dopo aver guardato curiosamente un pochetto, intrigato da quel piedistallo con su quell'arnese coperto da un panno, dopo aver girato torno torno senza osare di accostarsi, domandò:
Il cinese, che saluta con la testa, così.
È un giuoco; verranno gl'invitati domani.
Ranocchio stese la mano e sollevò un lembo della tela che copriva la statuetta; ma la testa non si poteva vedere; e poi la tela, che vi posava sopra, la teneva ferma.
Come si fa per scoprirla?
Non lo so; si tira su con un bastone.
Ranocchio intanto voleva vedere in che modo il cinese salutasse; gli pareva impossibile che una statuetta di stucco potesse muovere la testa. Ma girando attorno il piedistallo, inciampò nel bastone di cui non s'era accorto, urtò con esso la statuetta e la fece a un tratto rovesciare, prima ch'egli avesse potuto ripararla.
Povero cinese! era già un mucchio di cocci.
I due ragazzi rimasero lì, sbalorditi della disgrazia, senza poter fare un gesto, ne proferire parola; poi Pinuccio scoppiò in pianto, quasi la colpa fosse stata sua. Ranocchio sollevò il bastone, che tirò su il pezzo di tela attaccato all'uncinetto.
Zitto! Vi metteremo un'altra statuetta Ci penso io. Zitto.
Dove la prenderemo?
Ti dico che ci penso io! Lascia fare a me. Non piangere; così non sapranno mai chi è stato. E non dir niente a nessuno. Chi ci ha visti?
Ranocchio intanto osservava bene il bastone col panno, per persuadersi meglio del loro ufficio, e depostolo in un canto, si diè a raccogliere i cocci nel berretto. Uscì in fretta dallo steccato, tornò, raccolse gli ultimi minuzzoli, senza lasciarne neppure uno, e corse a buttare via anche questi.
Li ho buttati nel pozzo. Andiamo ora; pel resto, m'incarico io. E non dir niente! Nessuno ci ha visti.
Pinuccio si asciugò gli occhi ma tremava tutto. Ranocchio, rassicurandolo e raccomandandogli a ogni passo di non dir niente a nessuno, richiusa la porticina alla meglio, lo trascinò via, lo rizzò di nuovo sul davanzale e saltò in camera.
— Pinuccio! Dove vi siete ficcati? — chiamava in quel punto la cameriera, affacciandosi all'uscio.
Aveva fretta di salir su, prima che la signora tornasse.
La cameriera si accorse del turbamento del bambino.
— Che hai? Che ti ha fatto Ranocchio?
Niente.
LA CAMERIERA
(a Ranocchio).
Che hai fatto al bambino, cattivo arnese?
Niente; abbiamo giocato. È vero?
Sì.
Quel sì gli era stato strappato da un'occhiataccia di Ranocchio, che aveva messo pure il dito sulla bocca, ripetendogli a quel modo la raccomandazione di star zitto.