Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Fanciulli allegri
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V

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V.

 

Mentre il servitore e il portinaio — che, secondo gli ordini e le indicazioni del padrone avevano levato via lo steccato, e ripulito i vialiportavano giù le due poltrone e le seggiole, e le disponevano in bell'ordine, in casa i bambini facevano un chiasso, una confusione da non dirsi. La buona signora Tomelli, invece di spazientirsi, si divertiva. Giulia era già abbigliata da regina, con parecchie file di perle romane al collo e un diademino proprio di oro e diamanti, che serviva alla signora Tomelli nelle grandi occasioni.

Nel gabinetto del signor Tomelli, Armando si lasciava appiccicare con la gomma un bel paio di baffi grigi, impacciato un po' dallo stifelius che gli stava troppo largo.

Leo e Carlo si adattavano al petto dell'abito i fiocchi tricolori, e le decorazioni; gli altri bambini andavano e venivano da una stanza all'altra, recando notizie della regina e del re, ridendo dei baffi di Armando, e degli sgonfii delle vesti delle dame di corte, che si pavoneggiavano in salotto e facevano le prove delle reverenze. Di tratto in tratto, scoppiava per le stanze una fanfara di trombe, trombette e tamburelli; la banda musicale tentava di suonare la marcia reale, com'era stabilito, ma riusciva soltanto a un miagolìo, a un frastuono, che faceva ridere gli stessi suonatori e metteva tutti in allegria.

In uno stanzino, Carlo ripassava il discorso: Signori! Signori!... ingrossando la voce, alzando il braccio con largo gesto, impettito e solenne come la circostanza richiedeva.

Poi il signor Tomelli, che godeva tanto a veder divertire i suoi cari bambini, disse:

— Tutti in salone, per la prova finale.

E fu un correre, un chiamarsi, un accorrere, un ammirarsi a vicenda. Pareva che pei bambini non si trattasse più d'un giuoco, ma d'una cerimonia solenne. Ognuno voleva rappresentare bene la sua parte, ed era profondamente penetrato della propria responsabilità.

 

IL SIGNOR TOMELLI.

Su, in fila, i sonatori da questo lato.

Quasi egli avesse ordinato di suonare, i bambini diedero subito fiato alle trombe e alle trombette, e Nina e Lora cominciarono a picchiare nei tamburelli con foga indiavolata.

 

IL SIGNOR TOMELLI.

Ma no! Silenzio!...

Si turava le orecchie, gridando. Ci volle però un pezzetto prima che i bambini, trascinati dall'allegria, smettessero. Soltanto Pinuccio non aveva suonato; in mezzo alla festa, soltanto lui stava quatto quatto, atterrito dal pensiero di quel che sarebbe successo fra poco, se Ranocchio, secondo la promessa, non aveva riparato. Gli pareva che il babbo, la mamma, Leo, tutti gli dovessero leggere in viso, da un momento all'altro, il rimorso della disgrazia accaduta un po' per colpa di lui; e si ricordava le parole del suo compagno: Non dir niente! Nessuno ci ha visti! La mattina, mentre il servitore e il portinaio disfacevano lo steccato, egli, affacciatosi a una delle finestre che davano in giardino, visto Ranocchio dietro il cancello, gli aveva fatto un cenno; e Ranocchio lo aveva rassicurato con un altro cenno. Infatti, poco dopo, Pinuccio aveva potuto vedere la statuina sul piedistallo, coperta dal pezzo di tela. Come aveva fatto quel demonio di Ranocchio a trovare un altro cinese e sostituirlo a quello rotto? Per poco non gli pareva che colui avesse oprato un miracolo; pure il cuoricino gli tremava di ansia.

 

La fanfara aveva cessato di sonare, e si era schierata da una parte del salone, dandosi gomitate, pestando i piedi. Nina aveva tirato pel braccio Pinuccio, perchè si mettesse in fila anche lui. Ed ecco Leo e Giulio che facevano le prove del ricevimento, andando incontro alle signore e offrendo loro il braccio per condurle al posto; ed ecco la regina, seguita dalle dame, che fa la sua entrata, chinando il capo da questa parte e da quella, sorridente; ed ecco il re che procede impettito, sgranando gli occhi, girandoli altieramente e salutando con lieve cenno; ed ecco finalmente Carlo che si avanza verso il tavolino di mezzo, come presso il piedistallo della statua, fa un inchino al re e alla regina, apre il quaderno arrotolato e comincia a declamare: Maestà, signori e signore!... e s'impappina alle prime due righe, fra uno scoppio di risate, gli oh! oh! dei bambini, e il dispetto di Leo che, come inventore e preparatore della cosa, vorrebbe che tutto andasse bene.

Carlo, mortificatissimo, riprende da capo; e questa volta fila dritto, con bella intonazione, con giuste pause, accalorandosi verso la fine, gesticolando.

 

CARLO.

Il discorso lo so a memoria; se guardo lo scritto, m'imbroglio. Lo terrò in mano.

 

IL SIGNOR TOMELLI.

Bravi! Ora state fermi; non fate chiasso. Sono le cinque, e fra poco arriveranno gl'invitati. Leo e Giulio, scendete in giardino con me e con la mamma. Scenda anche la fanfara, ma senza suonare, veh! Farò un segnale con la mano quando sarà il momento. E a un altro segnale, cessate subito. Avete capito?

I bambini però non potevano capire di star tranquilli; e la scena in giardino fu rumorosa, disordinata, e qualche squillo di tromba non mancò. Pinuccio, preso per mano dal babbo, diventava ansioso più che mai; tanto che il babbo, meravigliato di vederlo più tranquillo di tutti, lui che ordinariamente era un demonietto, per le scale gli domandò:

— Non ti diverti?

 

PINUCCIO.

Sì, babbo.

E non era vero, povero Pinuccio!


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