Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Gli ismi contemporanei
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IDEALISMO E COSMOPOLITISMO

V.

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V.

 

E per non fare una discussione campata in aria, mi permetta di tornare su le Vergini delle Rocce e specialmente su Claudio Cantelmo.

Non badiamo all'esteriore, lei dice, ma a quel che l'anima nostra ha di più profondo, di veramente umano.

Siamo d'accordo. Voglio credere però che lei non arrivi fino al punto di negare che quest'anima umana abbia una qualche piccola relazione col corpo che la riveste, col corpo che si è creato, direbbe un egheliano, col corpo che le è stato creato e nel quale è stata infusa, direbbe un tomista. Voglio credere che lei non arrivi fino al punto di negare che l'anima nostra possa rivelare quel che ha in di più profondo e di più umano altrimenti che con le azioni, col carattere, con le passioni; e non solitaria, ma in relazione con altre anime rivestite di corpo al pari di essa. Voglio credere finalmente, che lei non arrivi al punto di negare che c'è una logica severa a cui le volizioni e le azioni dell'anima nostra debbono necessariamente conformarsi, anche nell'errore; e che, tanto nella vita quanto nell'opera d'arte, la creatura umana la quale si mette a un'impresa con mezzi disadatti al suo intento è da giudicarsi o pazza o imbecille, o per lo meno non sana. In questo caso è inutile parlare d'ideali, se pure non si voglia dimostrare, come afferma il proverbio, che dal detto al fatto corre gran tratto.

Il concetto che agita la mente di Claudio Cantelmo, non c'è da ridire, è idealissimo: Creare o rifare quell'aristocrazia dell'intelligenza che operi e pensi per conto delle plebi umane, e le foggi a sua immagine e le costringa, con la forza materiale e spirituale, a realizzare un'alta idea di virtù e di bellezza!

Corbezzoli!

Se non che cotesto idealissimo concetto è vecchio quanto il mondo. La natura, la società, dalle prime albe della creazione finora, non hanno fatto altro che incessantemente incarnarlo a traverso tutte le varie accidentalità e vincendole sempre. La storia è il registro immortale degli immani sforzi, dei dolorosi travagli, delle gloriose vittorie dello Spirito lungo il corso dei secoli: ed ella ha ancora molte e molte pagine bianche dove registrare altri sforzi, altri travagli, altre vittorie nei secoli avvenire, fino a che questo nostro sistema solare non si sarà estinto nello spazio.

E neppure allora lo Spirito, umano o divino che si voglia dire, morrà. Noi abbiamo coscienza netta e ferma che egli ricomincerà da capo le sue lotte e le sue vittorie. Ha l'infinito davanti a , nello spazio e nel tempo. Altro che la via lunga, che sembra confondersi in fondo all'orizzonte col cielo, dei giovani idealisti come lei!

Si metta ora una mano su la coscienza e risponda a questa mia interrogazione:

- È creatura viva Claudio Cantelmo? È almeno creatura equilibrata, sana, da poter dare l'illusione che essa continui nelle pagine del libro le pagine della vita?

Se l'autore avesse voluto farne un Don Chisciotte dell'ideale aristocratico, non fiaterei più. Ma questa intenzione satirica non trasparisce da nessun rigo o mezzo rigo del volume. Il D'Annunzio ha anzi sfoggiato pel suo protagonista una magniloquenza epica di stile ammirevole davvero e di cui egli solo è capace; magnificenza troppo monotona forse, e qua e un po' bolsa, che fa pensare di tratto in tratto a la figura della pazza principessa Aldoina Montaga da lui così ben descritta: "La carne del mento s'increspava su i monili ond'era cinto il collo. E quella enormità pallida e inerte mi risuscitò nell'immaginazione non so qual figura sognata di vecchia imperatrice bizantina, al tempo d'un Niceforo o d'un Basilio, pingue ed ambigua come un eunuco, distesa in fondo alla sua lettiga di oro".

E tanta magniloquenza il D'Annunzio l'ha sfoggiata appunto perchè gli è parso di mettersi così all'unisono con la magnificenza della sua creatura, con la romulea grandiosità dell'ideale di essa.

Dov'è qui il tipo? Intendo dire la creatura umana viva, che, se sa quel che vuole, sappia egualmente come attuare la sua volontà con mezzi umani, nella società dove il caso l'ha fatta nascere e dove le è forza di vivere e di agire? Claudio Cantelmo intende forse la società che lo attornia? Da pensatore idealista, qual vuole mostrarsi, capisce forse quel che c'è di passeggero, di accidentale in essa? Indovina forse quale virtù vivificante la pervade intimamente, nascostamente? Sospetta forse che il dominio di certe forze sfugge alla più forte volontà umana, e che è assoluta stoltezza soltanto pensar di infrenarle e regolarle? Quelle, appunto, della generazione. Carlo Bonaparte e Letizia Ramorino a tutt'altro badavano, procreando, che a plasmare il prossimo imperatore dei francesi, il rimescolatore della nuova Europa.

- Il futuro re d'Italia! Il geniale tiranno che dovrà ristorare la razza italiana ed elevarla "al più alto splendore di sua bellezza morale!"

Ma, se occorrerà pure, cotesto genial tiranno l'istinto della razza saprà probabilmente cavarlo fuori da qualche ignoto grembo di ben costituita creatura popolana e infondergli l'anima grande e il vastissimo intelletto, meglio assai della covatrice artificiale di Claudio Cantelmo! E lo metterà fuori al momento opportuno, come ha fatto sempre, e ultimamente fra noi creando Mazzini, Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele per altro non meno nobilissimo e santissimo scopo.

Se queste cose le so io, che non sono idealista e pensatore del calibro di Claudio Cantelmo, a più forte ragione avrebbe dovuto saperle lui, se fosse stato davvero persona viva.

Mi sono ora espresso a bastanza chiaro, perchè non possa più esser frainteso allorchè parlo di persone vive, e perchè non abbia a sentirmi attribuire la sciocchezza che unicamente le persone materiali, esteriori debbano in arte stimarsi vive? Mi pare di sì.

Ed ora eccoci a un ultimo equivoco.

Io le ho detto: l'Arte agonizza perchè la riflessione e la scienza la uccidono. Non me la son cavata dal mio cervello questa sentenza di morte. La storia letteraria universale ci dimostra come la riflessione e la scienza vadano di mano in mano falcidiando le forme artistiche, peggio che non facesse Tullio Ostilio coi famosi papaveri. Dove sono più l'epopea e la tragedia? Qualcuno arriva oggi a domandarsi, e in Francia: Dov'è mai più la commedia?

Lei mi risponde citando la Renaissance de l'Idealisme del Brunettière, gli studi del visconte De Vogüe intorno allo spiritualismo del Pasteur e di Claudio Bernard, e Le réveil de l'Âme del Maeterlink. Ma chi le ha mai negato che lo spiritualismo rinasca? E chi ha osato mai insinuare che non faccia bene a rinascere? Lei sa benissimo che spiritualista sia io; ne abbiamo ragionato insieme, e a lungo, mesi fa.

Avrebbe potuto meglio rispondermi: Morta una forma d'arte, ne vien fuori subito un'altra; non c'è più il poema, ma c'è il romanzo; non c'è più Shakespeare, Molière, Goldoni, ma ci sono l'Ibsen e, meglio, i drammettini del Maeterlink a proposito del quale si è fin parlato di Shakespeare redivivo.

- Eh, via, amico mio! - Mi conceda di ripetere le sue parole.

In quanto poi a quel che resterà o non resterà di certa produzione letteraria moderna, è meglio lasciar la profezia. Chi ne può saper niente? Il futuro è7 pieno di sorprese. Nessuno degli autori da lei citati si è mai figurato che tutta la sua produzione o gran parte di essa arriverà ai lontani nepoti sana e piena di vita; ognuno di loro si stimerebbe fortunato se uno solo dei suoi romanzi, una sola delle sue novelle contenesse in tanta virtù da conquistare l'immortalità.

E questo può dirsi tanto dei naturalisti quanto degli idealisti; e sa, caro Ojetti, perchè? Perchè l'avvenire è giusto, tardo nel giudicare talvolta, ma imparziale. Lo avvenire non dirà agli scrittori che han lavorato per esso (questa illusione è necessaria a tutti ): - Su, fuori la tessera di etichetta. È naturalista lei? È idealista? - Si occuperà soltanto di vedere se mai qualcuno di loro abbia o no fatto opera d'arte, indipendentemente di qualunque filosofia, di qualunque positivismo scientifico, di qualunque concetto aristocratico e plebeo. E riporrà nel Panteon delle creazioni immortali soltanto quella che avrà più vigorosamente incarnato l'ideale concetto dell'opera d'arte.

Terribile cosa, caro Ojetti!

E pensare che Omero e Dante e lo Shakespeare non sapevano niente di realismo e d'idealismo e d'altri consimili ismi! E intanto han messo al mondo quelle cosettine che si chiamano Iliade, Odissea, Commedia, Otello, Amleto, Re Lear!

Infine, si ricordi che io ho parlato di agonia non di morte dell'Arte. C'è ancora molto spazio di tempo per loro giovani pieni di fede e di buona volontà. All'opra dunque e:

 

Viscottu, ventu 'mpuppa e barca lesta!

 

come dice un poeta vernacolo mio concittadino. Lei non dubiterà, spero, della sincerità di quest'augurio.

 

 

 





7 Nell'originale "è è"



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