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II.
Si sente, terminata la lettura dell'elegante volumetto, la stessa impressione cantata dal poeta:
E tutte le finestre - del mio nido campestre - apro al cielo fulgente - ed al giardino aulente.
Ed entran, coi novelli - raggi e i novelli ardori - i canti degli augelli - i profumi dei fiori, - i mormorii, dai clivi - alle valli, - giulivi, - di cascate e fontane - o vicine o lontane.
Si sente, cioè, la fresca impressione d'una poesia viva, sincera, sgorgata dall'intimo cuore e dalla mente; più dal cuore che dalla mente, poichè non vi si scorge ombra di quelle preoccupazioni, stavo per dire: di quelle fissazioni, dalle quali sembrano colpiti quasi tutti coloro che oggi scrivono poesie.
Per ciò qui si sorride, come a vecchie care conoscenze un po' perdute di vista, alla linda e ondulante ottava, alle vispe musicali strofe, alle quartine, all'agevole saffica rimata, fin a quei settenari, uniti, che i fautori di proverbi drammatici hanno reso così uggiosi; e per ciò i rari così detti metri barbari ci sembrano rinverditi e ringentiliti, per via di qualche prodigioso segreto.
Il prodigioso segreto consiste nella riproduzione del sentimento e del pensiero odierno senza sofisticazione di sorta alcuna. Tutte le sensazioni, tutte le passioni, tutti gli slanci dell'anima qui cantati ci si ripercuotono dentro, vi ridestano sensazioni, passioni, slanci consimili, ci dànno l'illusione di udire la parola della nostra coscienza, quasi i nostri ricordi, dolci o tristi, i nostri tormenti di amore e di gelosia, i nostri dubbi, i nostri rimpianti, abbiano tutt'a un tratto preso corpo in questi brevi componimenti lirici, densi di cose, che ci interessano tanto da vicino.
Il prodigioso segreto consiste anche in questo: il poeta fa degno riscontro al valente articolista dei giornali quotidiani.
Vincenzo Morello (Rastignac) non lascia mai sfuggirsi l'occasione di trattare le più vive questioni di politica, di morale, di arte, di legislazione che un caso speciale, un avvenimento di cronaca, un libro, una discussione gli suggeriscono e quasi gli mettono sotto la mano; e i suoi articoli, ben fatti, caldi di sentimento, pieni di logica dritta e stringente, ricchi di tutto il materiale della più recente coltura, interessano specialmente per quell'accento personale che viene dalla profonda convinzione, dalla sincera eccitazione del sentimento. Si sente, subito, che si ha da fare con uno che ha qualcosa di serio e di suo da dire, e che sa dirlo con la forma più chiara, più rapida possibile, ma anche con la forma più efficace e quindi più scelta possibile, perchè il concetto abbia la sua intera ed efficace espressione.
Infatti egli non divaga, non si accosta esitante al soggetto. Dalle prime parole si capisce benissimo che è pieno di esso, e che ha fretta di dire. La sua frase è incisiva, lavorata; e come qualcosa di triste, di amaro, di sarcastico pervade spesso il suo pensiero, così qualcosa di altero e di sprezzante rende quasi aspro l'accento della sua parola; ma il concetto si rivela integro, con un che di artistico nelle proporzioni, senza dissonanze, e seduce e avvince anche quando non arriva a convincere.
Rastignac poeta ha, come Rastignac articolista, una spiccata personalità; e non saprei dire se le seduzioni del poeta siano uguali o maggiori di quelle dell'articolista.
L'articolo di occasione è qui in Pulvis et Umbra, diventato poesia di occasione, nel miglior senso, nel senso con cui ne parlava il Goethe, che di poesia s'intendeva. Vi troviamo la stessa acuta e intensa impressione del mondo esteriore, la stessa intensa e acuta ripercussione del sentimento e della fantasia che quella impressione ha prodotto. Qui si tratta, è vero, di minuti casi particolari che sfuggono al dominio dell'articolista; ma essi per questo non sono meno interessanti. Di quella minutezza particolare, l'artista ha messo in rilievo soltanto quel che conteneva qualcosa di più generale, di più umano, e lo ha nobilitato, lo ha trasfigurato con la forma.
L'articolista è troppo mescolato tra la gente, ha troppo aperto gli occhi, troppo intenti gli orecchi a quanto lo circonda e gli si muove dattorno, da avere agio di baloccarsi con l'erudizione, di perdersi dietro i fantasmi di un passato, la cui evocazione è opra assurda perchè non è possibile che esso si rinnovi e perchè ormai ha così poco o niente di comune con noi che la sua rinnovazione possa essere profittevole in qualche modo. L'articolista è troppo preso da tutte le lusinghe, da tutti gl'interessi, da tutte le illusioni, da tutti gli entusiasmi, da tutti gli errori del suo tempo, da aver agio di preferir loro altre lusinghe, altri interessi, altre illusioni, altri entusiasmi e anche altri errori di seconda mano, creati per via di riflessione, d'imitazione e anche di vanità e di calcolo. Il suo tempo egli lo giudica più bello, più importante, o almeno più interessante non fosse per altro, perchè in pieno divenire vitale e in piena lotta; perchè in tanto tumulto delle passioni, degli interessi, delle avidità, delle miserie, dei delitti, delle illusioni, delle allucinazioni, delle generosità e degli eroismi presenti, c'è il piacere, la soddisfazione di agire, di lottare, di combattere insieme con gli altri, di rincorrere un ideale nuovo, e di tentare, di attuarlo, dappertutto, nella vita privata, nella vita politica, nella vita dell'arte, in quella del pensiero. Per questo egli non è preraffaelista, nè simbolista in pittura, non quattrocentista, nè decadente, nè simbolista in letteratura e neppur cosmopolita. Ha il giusto senso della realtà; ha il vivo sentimento della patria; ha la profonda convinzione che l'astrattezza nuoce e nella vita, e nella politica, e nella scienza e nell'arte, dovunque.
E Rastignac poeta non è punto diverso. Il volumetto Pulvis et Umbra contiene proprio la polvere e l'ombra di una vita, dai fantasticamenti del primo amore fino ai rimpianti e ai lamenti della giovinezza che se ne va.
Si apre con un raggio di sole che illumina e vivifica, si chiude con la tristezza e l'ombra notturna.
si lamentan, ne l'ombra, occultamente.
. . . . . . . . .
. . . . . . . .
l'anima mia, su tutte l'altre, forte,
in alto, intorno, e dentro sè, la morte.
E il rimpianto, e lo sdegno e l'ironia, irrompono con lo stesso impeto e con la stessa limpidezza di forma che altri rimpianti, altri sdegni, altre ironie, hanno assunto, ora un giorno, ora un altro, nell'articolo di giornale:
Noi che falciammo i campi de la fede,
e, pria che desse il grano, sotto il piede
calpestammo la spica;
noi che, pria de la lotta, le fulgenti
spade spezzammo in solitarie scherme,
ed or, fra mille armati combattenti,
noi, stupefatti, senza più speranza,
sperduti in mezzo del cammin fatale,
domandiamo a l'esercito che avanza:
E vibrano dolorose corde per strappi recenti: e schizzano sarcasmi che fanno salire le lagrime agli occhi, come in quei prigionieri di Leontieff:
Essi tornano. A branchi, come pecore
qua e là raccolte, da la terra ostile
che li vide brucar ne la vittoria
de le sue genti, tornano all'ovile.
Desti a l'arrivo e curiosi, gl'incoli
d'Italia, a cui per lunga figliazione,
fremono in cor gli spirti e le memorie
del secondo e del terzo Scipione
Accorrono: "Portate di Cartagine
buone nuove? Laggiù, tra le rovine,
nido a l'aquile nostre, ancora crescono
i fichi, ovvero crescon le spine?"
. . . . . . . .
. . . . . . . .
Non comprendono i reduci, e in silenzio
si allontanan ne l'ombra, lentamente.
Andate, andate! E appesa al chiodo l'umile
divisa, e dato un pensier mesto ai morti,
alta la fronte, ripigliate l'opera
del maglio e de la falce, in mezzo ai forti.
. . . . . . . . .
. . . . . . . . .
E se un giorno...
E non è, non sembra artificio neppure questo mezzo verso rimasto lì, come addentellato d'una strofa che non è potuta sgorgare, o come segno di un gran dolore che non trova lagrime, o come suggestione di propositi di vendetta e di augurii.
E, nella notte, Per via, mentre il poeta, al lume della luna che in alto, su le cattedrali - aureole azzurre spande, vaga col sigaro acceso, pensando di sè e degli altri, e domandandosi:
Chi ha riposo nel sonno? Ne la notte
Quanta forza in silenzio, ne le lotte
ecco, in lontananza, una mandolinata.
par che fioriscan rose ne la via
. . . . . . . . .
E si perdono i passi e l'ombre e i suoni
si perderan le nostre illusioni,
Ed egli continua a fantasticare, e il sigaro gli si estingue in bocca; ma l'amarezza delle labbra proviene dal sigaro o dalle cose fantasticate?
Or non più il Gallo
Papirio immoto su l'eburneo stallo:
e per man d'altri barbari le sfide
poi, contento di poco, non l'uccide:
lo piglia a scapaccioni.
Buona gente la nuova! In fondo in fondo,
riconquistare anche una volta il mondo,
e lascia fare agli altri! Soddisfatta,
se dopo una vergogna o una disfatta
E così gli risale dal fondo in cuore il sentimento religioso che gli amori, gli errori, la politica, vi avevano sommerso. Egli che ha ingiustamente quasi rinfacciato al Cristo:
La croce, o Gesù Cristo, ma la donna non mai!
si rivolge a Maria con dolcissimi e lamentosi accenti:
Tu sempre nella luce, o madre pia!
Santificata da l'uman dolore
Se pur tramonti nella fantasia,
risorgerai nel core.
. . . . . . . .
Sorridi ancora! A noi che non fiorita
abbiam la via di rose, ma di spine,
e accumulate ne la nostra vita
apprendi, o pia, come si soffra, come
vincendo le durezze de la sorte,
si arrivi in pace, nel tuo dolce nome,
Certamente, qua e là, e talvolta in uno stesso componimento, la forma non è come oggi si dice impeccabile: ma non è mai contorta, forzata per stramba ricerca di originalità, e di imitazione. Rastignac poeta è in tutto e per tutto uguale a Rastignac articolista, cioè uno - non è male ripeterlo - che ha qualcosa da dire e che sa dirlo con sincera efficacia: uno che sente e pensa e soffre e si stordisce e sbaglia e si pente e si martira, come tutti i suoi fratelli del secolo morente; e per ciò qualcuno di questi suoi lirici gridi vivrà più a lungo di parecchi volumi di versi che i figli del secolo morente guardano nelle vetrine dei librai, senza lasciarsi tentare di leggerli.