Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Gli ismi contemporanei
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VARIETÀ

III. L'ODISSEA DELLA DONNA

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III.

 

L'ODISSEA DELLA DONNA23

 

Un mio amico, che ha la passione della politica e vorrebbe infonderla a tutte le persone con cui ne parla, qualche mese fa, ragionando con me della levata di scudi del Senato contro il ministero Giolitti, uscì in questa esclamazione entusiastica:

- Ormai non c'è in Italia altri giovani all'infuori dei vecchi del Senato!

Io, che di politica m'occupo poco e non mi credevo in caso di giudicare quell'atto, sorrisi e non risposi nulla; ma gli ho quasi dato ragione sfogliando in questi giorni il magnifico volume che il senatore Tullo Massarani ha pubblicato a sue spese nell'occasione delle nozze d'argento reali, e di cui ha regalato l'intero provento - una dozzina di mila lire - a parecchi istituti di beneficenza.

L'Odissea della donna, stampata con nitidezza proprio bodoniana, illustrata da grandi disegni che a prima vista sembrano acque-forti - così bene il signor Colombi-Borda ha trascritto a penna e l'eliotipia ha riprodotto gli schizzi originali del poeta pittore - è pubblicazione che onora la tipografia italiana e chi ne ha diretto la stampa con cura paterna.

È inoltre, pubblicazione che onora il cuore e la mente di colui che ha pure concepito e attuato la doppia opera d'arte, inno di glorificazione della donna dai tempi primitivi ai presenti.

È proprio singolare che quest'inno sia stato scritto da un senatore, se non vecchio, maturo e da parecchi anni dedito più specialmente a studi di critica e di storia, come il Carlo Tenca e il pensiero civile del suo tempo, il Cesare Correnti nella vita e nelle opere.

Ma chi conosce la versatilità dell'ingegno del Massarani, capace di alternare le più serie e dotte lucubrazioni con eleganti traduzioni di raffinate liriche cinesi - Il libro di giada - non si meraviglierà del fatto, e darà come me ragione a quell'entusiasta politico, secondo il quale oggi in Italia soltanto i senatori fanno cose da giovani.

Infatti è proprio da giovane - e da giovane di molti anni fa, quando i giovani non erano precocemente invecchiati di cuore e di spirito al soffio dell'odierna mistura di scetticismo e di misticismo che li invade - è proprio da giovane l'idea di cantare ed effigiare l'odissea della donna a traverso i secoli; ed effondersi in ammirazione e far atto di culto religioso davanti alle varie manifestazioni della bontà, dell'affetto, della passione, dell'energia, dell'eroismo, della pietà, delle miserie femminili che la tradizione, la cronaca, la storia, le sensazioni della vita, l'esperienza dei viaggi possono suggerire alla fantasia del poeta e del pittore.

Per ciò la prima impressione del libro è quasi di stonatura. Sin dalla prefazione ci sentiamo come trasportati in altri tempi, in altro ambiente; ci par di sentire un linguaggio arcaico, di vedere e udir parlare una persona dall'andatura e dai modi diversi dai nostri, vestita a foggia e con panni da un pezzo fuori d'uso. Poi, procedendo nella lettura, tornando a guardare i disegni, facendo l'occhio alle grandi pagine dell'in-folio da cui ci hanno disabituati i volumi in 16° e in 24° minuscolamente illustrati, sentiamo che la prima impressione si è andata di mano in mano modificando; sesto, stampa, disegni e testo hanno via via assunto fisonomia, carattere, espressione moderni; e soprattutto unità tale da far capire che il libro è sbocciato nella mente dell'artista come un fiore; e che forma, colore e profumo sono in esso così intimamente legati insieme da costituire un organismo dove non si può mutar niente senza pericolo di guastarlo.

Come ho già detto, la veste tipografica è bodoniana schietta.

Nelle grandi pagine bianche i caratteri sorridono nitidamente belli, le righe si allineano snelle, intramezzate da fregi ricavati da un prezioso codice vaticano del più puro quattrocento. I titoli, in rosso messale, spiccano elegantissimi in testa a ogni lirica, e stavo per dire a ogni canto, perchè ognuna di esse è proprio un canto del ciclico poema l'Odissea della donna.

I ventiquattro disegni, o illustrazioni come oggi si dice, concordano con la severa forma tipografica per l'accuratezza del disegno, per non so quale molle ondulazione di linee che non lascia trasparire nessuno scatto di nervosità, ma bensì una gentile placidezza di mano che eseguisce accuratamente ogni particolare, e tocca figure e fondi con eguale carezza. L'occhio assuefatto alla nevrotica sprezzatura dei disegnatori di questi ultimi anni, stenta un po' ad assaporarne il carattere classico, da secolo XVIII, se li guarda da soli, senza badare nello stesso tempo alla forma tipografica del volume, e senza metterli in confronto col testo da essi commentato. Ma se dalla pagina figurativa l'occhio passa alla stampata; se alla linea del disegno cerca una corrispondenza nella ritmica parola che le sta di fronte, disegni e testo e stampa gli si confondono in unica luce, diventano tutt'uno, o meglio si giovano a vicenda, si chiosano l'un l'altro, si danno scambievole rilievo.

E questo che ho detto isolatamente per la forma tipografica e pei disegni, potrei ripeterlo per la parte letteraria del libro, versi del testo, prosa delle note a schiarimento. Se la curiosità del lettore si rivolge di primo acchito al solo testo, ne riceve un'identica impressione. Trova versi lindi, sonori, ma con un che di preziosità nella lingua e nello stile; niente delle forme poetiche in uso, ma qua e un misto di classico e di moderno non ben fusi insieme e, più che altro, benigna concessione d'uomo di altri tempi alle costumanze venute dopo e ora in corso; concessione però che tenta di riportare indietro il presente, anzi che far trascorrere nel presente la maniera del proprio tempo.

E lo scapito non è precisamente a danno della forma passata di moda.

Ricordo, quasi per similitudine, una scena di cinque anni fa: Una sala da pranzo trasmutata in un batter d'occhio in sala da ballo; una dozzina di belle donne fra il triplo di giovani e di uomini leggermente eccitati dal pranzo, dai vini, e da un entusiasmo d'arte che li aveva riuniti insieme; e ricordo una gioconda figura di vecchio in cui la gentilezza e la cortesia innate per eredità, erano state aumentate dalla cultura e dalle circostanze della vita; gioconda figura di vecchio che faceva scoppiettare per la sala l'argutezza dei suoi motti, la vivacità delle sue galanterie di buon genere e che riempiva di stupore tutti quei giovani impacciati, o stanchi, o annoiatamente sdegnosi, quasi dicesse loro con l'esempio: - Una volta si faceva così; si era galanti, gente di spirito, si era lieti e cortesi, e non musoni e sgarbati con le signore, come siete voi tutti. - Quella sera il più giovane di quanti si trovavano riuniti era evidentemente colui che aveva i capelli brizzolati e le spalle un po' incurvate dal peso degli anni, il Duca Proto di Maddaloni; il quale, appunto come ora il Massarani, riportava indietro il presente anzichè far trascorrere nel presente le maniere del suo tempo.

Oggi abbiamo quasi tutti, o affettiamo, un'aria punto cavalleresca verso la donna; ne parliamo con poco rispetto; ne facciamo soggetto di clinica artistica: la studiamo da un lato solo, con durezza che vorrebbe parere scientifica, positiva, quasi ella fosse creatura da farvi esperimenti in anima vili, etéra, adultera, strumento insomma di voluttà e di nient'altro. O la guardiamo da mistici, dacchè il misticismo comincia a essere in voga per bisogno di contrasto; e ripetiamo contro di essa le villanie degli Apostoli e dei Padri dei primi secoli cristiani, e le furibonde maledizioni degli asceti avverso così impura fonte di peccato; eccessivi ed ingiusti da positivi e da mistici, teoricamente almeno; perchè poi nella pratica avviene che positivismo e misticismo si attenuino molto, non tanto però da non far giudicare ridicola, o press'a poco, la galanteria d'altri tempi, che era - se si vuole - maniera esteriore forse, ma non del tutto indipendente dalla sostanza interiore.

E a noi scettici e mistici in erba per contrasto, il Massarani viene a cantare la Odissea della donna; incurante che qualcuno possa sorridere o ridere della sua scappata poetica inattesa e stimata inopportuna. Così essa si spiega in ventiquattro canti sotto i nostri occhi, triste e malinconica; ora tormentata di passione, ora lieta di bellezza; ora altera di eroismo, ora piena di miseria e di lacrime. Così essa risuona in vario metro al nostro orecchio, con qualche nota di malizia gentile, con qualche spunto d'ironia cortese; e va dall'Asia, culla del genere umano, via via per contrade e per tempi diversi, fino all'Europa dei giorni nostri, fino alla donna che oggi vende l'amore o muore per amore asfissiata democraticamente col carbone. E sono visioni, paesaggi, storie, ricordi di cose udite e vedute, ogni cosa risognata, come modestamente egli dice in quella sua

 

stanza muta ai venturi ed ai presenti.

 

E dall'invocazione alla gangetica Trivia:

 

Te invoco, o divin Nume

Te fausta, te dal cielo immacolata

Scesa a lavar la prima stirpe umana.

Eteréa fiumana,

Quando del contemplarti era beata

Dei Devi la invincibile falange,

Menavan danze le Apsaràse, e al bello

Novissimo portento

Plaudendo il Genitor de l'Universo,

Seguia dell'acque il fil limpido e terso.

Era queto di vento,

Sgombro il cielo di nubi; e d'alma luce

Lo vestivano gli Dei, fendendo l'aria,

Corruscando ne l'armi. E tu scendevi,

Qual se di cento soli irradiata,

Scendevi, o Dea. Te duce.

In cento forme varia,

Or lenta, or tortuosa, or concitata

E crestata di spume.

Vinceva di baglior l'istesse nevi

L'abbondanza de l'acque; e un ciel parea

Che il cigno candidissimo e l'ardea

Solchin d'autunno con l'aeree piume;

 

alla descrizione della villa pompeiana, dove Delia è schiava:

 

Ride aprica intorno

La villetta amorosa:

Nitidissimo il giorno

Che sorge, a mano a mano

L'alte vette, i grand'alberi, i sacelli.

Le mura antiche e gli archi,

Fin quest'erma che ancor negletta e mesta

Riposa, ùmile terra,

Pare che allegro varchi

E del suo bacio imporpori e suggelli.

Come ardente amator novella sposa.

Ecco, il Sole si desta

Ad altra e nova e più gioconda guerra:

E te volendo aver de la sua festa,

Ne le guance di rosa

Che gli nascondi invano,

Di giovinezza il primo fior saluta;

 

dalla abitazione del Califfo:

 

Laggiù tra verdi fronde

Carche d'esperie poma

Un candido s'asconde,

A la frescura in sen

E al vaporante aroma,

Paradiso terren.

 

Qual con ferrata zampa

Ne le fumanti arene

Orma il puledro stampa

Ch'arabo eroe frenò,

Tale in marmoree vene

L'araba sesta osò

 

Arco gentil, che ignoto

Artefice addentella.

Come fu vista il loto

Iside Iddìa frangiar,

E di meandri abbella

Che le Peri intrecciar.

 

Alterna il facil mirto

Col nobile cipresso

Ombre al sognante spirto,

E di perenne umor

Il murmure sommesso

Molce a' gagliardi il cor;

 

al quadretto favrettiano della Venezia del settecento;

 

Quanto di veli e di zendadi e nastri,

Quanto fruscìo di giubbe rabescate,

Quanto brillare ed ecclissarsi d'astri

Eclissarsi come usano le Fate,

A provocar novelli Zoröastri!

Che baciucchiar di mani ingiojellate!

Che visetti söavi, e che melensi!

Che perpetuo fumar d'arabi incensi!

 

e alla scena di pioggia nella campagna Lombarda:

 

Quando i gelsi e le biade

Alternano promesse

D'opimo filugello e d'aurea messe.

Udiste il ciel di lunghe preci invano

Lunga stagion percosso

Perchè l'inesorata ignea caldura

D'alcuna temperasse amica stilla,

D'improvvisa favilla

Corso ne l'ime sue viscere e scosso,

In pria fremer lontano

Su l'alida bassura,

Poi da quella di nubi umida e scura

Cortina che l'invade

Scoscendere de l'acqua il fonte arcano?

O dolcezza, o pietade!

O in pria sonanti e rade

Gocciole grosse che a la strada bjanca

Levano il polverìo,

Poi rinfittite, a secchi,

Sui sitibondi stecchi

Il rovescio profondono e il fruscìo

Della pioggia felice onde ogni branca,

Ogni erbuccia, ogni foglia

Tremola, goccia, s'agita e rinvoglia

De la vita, e rinfranca,

E del fïato che la terra emana

Dal suo pregnante sen, tutta risana!

 

è un succedersi di paesaggi, di scene, di minuscole commedie, secondo che il poeta racconta la storia della Sulamite, rifacendola dietro l'orme del Renan; le divinazioni del culto delle Druidesse; le crudeltà delle patrizie romane contro le povere schiave; le trepidanze d'un giudizio di Dio; gli ozii e gli amori d'una castellana nell'assenza del marito crociato; le isteriche angoscie d'una monaca; i furori religiosi e patriottici delle donne di Calabria contro gli invasori francesi; o pure, mutando tono, le fanciulle crotonesi servite di modelle o Zeusi; le ciarle veneziane del bel tempo del Gozzi e del Goldoni; la miseria in cappellino delle spazzaturaie londinesi briache di gin; e la pace serena d'una capanna su le alpi, e l'avventura d'un cacciatore con una bella acquaiola lombarda. E un succedersi di gravi considerazioni, di slanci, di compatimenti, di ironie, e anche di cerimoniose riverenze, di amabili preziosità, come il soggetto e l'occasione ispirano, come l'umore del momento consiglia; e tutto in forma eletta e severa, anche quando essa si abbandona o tenta di abbandonarsi a modi familiari, discorsivi, quasi il poeta abbia timore di mancare di rispetto alle sue gentili e belle lettrici facendo altrimenti.

E così, a noi scettici e mistici per contrasto o per gusto di novità, proviene dalla lettura quel senso strano da me accennato, che però ha gusto di eleganza aristocratica, profumo solleticante quantunque un po' acuto, insomma carattere suo proprio; da potere più o meno piacere, da poter più o meno essere apprezzato, secondo che si guarda questo lavoro nel suo assieme di stampa di disegni e di parole; o partitamente ma in modo contrario alle più elementari leggi di critica, secondo le quali un'opera d'arte va accettata e interpretata per quella che ha voluto essere e non come ognuno di noi l'avrebbe voluta.

Per conto mio, io ringrazio il Massarani poeta e pittore - e stavo per aggiungere24 anche proto, giacchè niente della parte materiale del volume è sfuggita alle sue cure - lo ringrazio delle diverse sensazioni che la sua opera mi ha date, dei diversi sentimenti gentili, forti, pietosi in me destati con la sua duplice opera poetica e grafica.

E lo ringrazio non senza una lieve ombra di invidia pel suo ingegno, pel suo cuore, per la sua mano; per quell'attività, per quella versatilità che non lo lasciano riposare, e che possono permettergli di trascorrere da uno studio all'altro con agile sicurezza e con persistenza incurante di elogi e di biasimi.

Non ho voluto, però, ricordarmi che l'opera d'arte è diventata pure opera di carità; che, poeta, egli non ha cantato, pittore, non ha disegnato, editore, non ha pubblicato soltanto per attingere un fine artistico non scevro mai di egoismo; ma anche perchè il suo lavoro, diventando cosa commerciale e preziosa in una per la ristrettezza del numero delle copie stampate, costringa gli altri a cooperare assieme con lui nell'addolcire miserie, nel consolare dolori.

Allora la lieve ombra d'invidia, da buona e nobile, avrebbe potuto mutarsi in peccaminosa, e offuscare e turbare la serenità del godimento estetico, alla vista del troppo squilibrio di forze che permette a uno solo poter fare in questo mondo quel che non è concesso a parecchi. Molti sarebbero paghi di essere o scrittori, o disegnatori, o editori, o munificenti e caritatevoli partitamente, fosse pure in proporzioni minori di quel che al Massarani è concesso.

 

 

 





23 Testo e disegni di Tullo Massarani, trascrizioni in penna di Francesco Colombi-Borda, eliotipie Calzolari e Ferrario. Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1893, Vol. in-folio di pag. XV-420. Edizione di soli trecento esemplari numerati.



24 Nell'originale "raggiungere". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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