Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Gli ismi contemporanei
Lettura del testo

VARIETÀ

X. I CONTADINI SICILIANI

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

X.

 

I CONTADINI SICILIANI

 

Chi legge il recentissimo libro del dottor Salomone-Marino intorno ai costumi e alle usanze dei contadini di Sicilia37 rimane un po' deluso. Il titolo inganna. Questo lavoro del valente folklorista, che prosegue col Vigo, col Pitrè, col Guastella e parecchi altri la vasta inchiesta intorno alle tradizioni popolari siciliane, avrebbe dovuto piuttosto intitolarsi: I contadini siciliani di tempo fa. È vero che l'autore nel preambolo avverte coscienziosamente il lettore: "Io parlo dei contadini del vecchio stampo, dei quali la generazione già declina e fra pochi anni sarà invano cercata"; è vero che egli spiega la ragione di questa decadenza dicendo: "che la indispensabile coscrizione restituisce oggi alle famiglie i giovani contadini più svelti, più saputi, più civili, ma insieme con un fardello di ambiziose e indigeste e corrotte idee, che daranno loro un altro tipo, non saprei ancora dir quale, ma lontano certo dal tradizionale dell'isola nativa, e forse men buono"; ma la impressione della lettura fa dimenticare questa precauzione. Si direbbe che il libro sia oggi compilato sopra appunti presi molti anni addietro, e che la visione del vecchio tipo di contadini si sia ridestata così viva nella immaginazione dell'autore da fargli dimenticare il mutamento avvenuto, non ostante che egli riconosca, di quando in quando, che il presente è molto diverso, e che tra il contadino siciliano di ieri e quello di oggi la differenza sia enorme.

Un altro difetto che potrà soltanto essere notato da lettori siciliani, è il non aver tenuto conto di certe differenze tra contadini delle diverse provincie siciliane. L'autore ha cercato di delineare, com'egli dice, un tipo, e, nato e cresciuto nella provincia di Palermo e avendo in quella più particolarmente raccolto il materiale pel suo libro, ha delineato un tipo che ha le spiccate caratteristiche del contadino di colà, cioè di una provincia dove l'influenza fenicia e arabo-normanna ha lasciato più durevoli impronte.

Con questo non intendo dire che manchino affatto notizie e raffronti con usi e costumi contadineschi di altre provincie siciliane; mi permetto soltanto di osservare che non mi paiono sufficienti.

Poi, in un libro di questo genere, io credo che bisognava mettere soltanto in rilievo i tratti più salienti del contadino siciliano, quelli, cioè, che lo differenziano assolutamente dagli altri contadini delle diverse terre italiane e anche dal resto dei contadini europei e di tutto il mondo.

Ricordo a questo proposito un'impressione di anni fa. Leggevo la Terra dello Zola. Non so perchè, mi ero immaginato di dover scoprire regioni ignote inoltrandomi sempre più in quella lettura: caratteri, sentimenti, passioni, vizi, virtù propri unicamente del contadino francese. Invece, con mia grande meraviglia, mi vedevo sfilare sotto gli occhi personaggi ai quali dovevo appena mutare i nomi perchè diventassero a un tratto siciliani. Parecchi di quei personaggi li avevo conosciuti nella vita reale; quella specie di scemo, per esempio, che convive incestuosamente con la sorella; e quel Gesù-Cristo che parve, al suo apparire, un epico ingrandimento di certe creature specialmente care alla ridanciana fantasia di Armando Silvestre. Se non ricordo male, c'era fino un incredibile riscontro nel nomignolo; quel mio compaesano si chiama 'U Signuruzzu, cioè: Il Signore, che significa appunto: Gesù Cristo! Un giudice supplente gli aveva dato torto in una lite, ed egli non aveva saputo perdonarglielo. Perciò, tutte le volte che poteva, stava ad attenderlo nella Piazza, e vedendolo passare, si cavava il berretto e lo salutava, accompagnando subito il saluto con uno di quei rumori che hanno fatto la fortuna del Gesù-Cristo zoliano e di tanti allegri personaggi di Armando Silvestre. Il giudice supplente, uomo permaloso, diventava giallo dalla bile; ma la dignità non gli permetteva di mostrare che si fosse accorto della rimbombante vendetta dello screanzato; il quale gli andava dietro un buon tratto ripetendo le sue salve fra le risate della gente, che si divertiva moltissimo a spese del giudice supplente. La cosa durò parecchi mesi: ed io non so se nella vita intima il Signuruzzu si abbandonasse alla gaiezza del suo quasi omonimo francese.

Così e l'avidità, e il poco scrupolo, e certa brutalità di modi, e certe scurrilità di linguaggio, e certi proverbiali principii di condotta nelle relazioni di famiglia e con gli estranei, che io avevo l'illusione di credere speciali del contadino siciliano, tutto, tutto trovavo riprodotto nella Terra, con quella gran maestria che potè far sembrare eccessivamente nera la pittura della vita campagnuola francese.

Nel tipo del contadino siciliano, quale risulta evidentissimo dalla monografia del Salomone-Marino, c'è una caratteristica di religiosa bontà che gli mette attorno al capo un'aureola patriarcale e lo distingue e gli assegna un posto a parte. Ma per intenderlo bisogna immaginarselo vestito assai diversamente da quello di oggi.

Io ne ho un ricordo dentro gli occhi, visione della fanciullezza rimasta indimenticabile.

Alto, magro, raso; con brache a mezza gamba, calze di cotone candidissime e scarpe di vitello bianco imbullettate; giacchetta, o spènser, di panno azzurro cupo, e corpetto (di grossa tela di lino tessuta in casa) con pistagnetta ritta abbottonato, quasi fin sotto il collo da una gran filza di bottoni di madreperla; col lungo berretto di cotone bianco, a maglia, dalla nappa cascante su le spalle, quel vecchio contadino era una figura imponente. Gli si leggeva su la faccia la serenità dell'animo, la forza, il rispetto di stesso, l'ossequio agli altri, l'autorità e la bontà insieme. Egli parlava lentamente, sentenziosamente. Di sua moglie diceva sempre: la mia compagna, la mia cristiana, o con più sobrietà ed efficacia: Idda, cioè, lei. Dei figliuoli, uno dei quali già sposo e padre, diceva sempre: i carusi, i bambini tradurrebbe un toscano. E per tali doveva tenerli, se tutti gli obbedivano quasi tremanti.

Ricordo che un giorno egli mi aveva condotto per mano a casa sua; doveva regalarmi non so quale nidiata di uccellini. Non ho potuto più dimenticare l'impressione di terrore prodotta su la moglie e le figlie dal suo inaspettato ritorno. Una di loro era andata a ballare da una vicina, senza il permesso del capo di famiglia; e la madre e le sorelle non sapevano come farla avvertire di rientrare subito in casa prima che il vecchio se ne accorgesse. Sventuratamente egli se ne accorse proprio per colpa della nidiata di uccellini affidata alle cure dell'assente. Quella fisonomia piena di bontà si trasfigurò tutt'a un tratto; gli occhi schizzarono fiamme; le mani si levarono a percuotere prima lei, la mamma, poi le figlie complici, e in ultimo la colpevole, ragazza di quindici anni, che dovette domandar perdono ginocchioni. Il padre si era investito per delle sue funzioni di giudice e di esecutore di giustizia. Per lui il gran delitto della ragazza non consisteva nell'essere andata a ballare, ma nell'esservi andata di nascosto, quasi burlandosi dell'autorità paterna col consentimento della madre, soggetta anche lei, quanto gli altri, all'autorità del pater familias, bisogna proprio dirlo alla romana. Appunto per questo, il giorno delle nozze, appena introdotta la sposa nella casa maritale, in presenza dei parenti e degli invitati, appunto per questo egli le aveva dato uno schiaffo, simbolo del suo assoluto dominio, a fine d'imprimerle bene in mente, in quel solennissimo istante, che egli era colà il solo e legittimo padrone, e che alla sua autorità bisognava sempre e in ogni occasione inchinarsi.

 

*

* *

 

Nel libro del Salomone-Marino questo tipo del vecchio contadino siciliano è messo in piena luce con amore e con imparzialità. Egli lo prende, si può dire, dalla culla e lo accompagna alla sepoltura, facendolo passare per tutte le vicende della sua travagliata esistenza. Bisogna leggere il volume da cima a fondo per convincersi qual tesoro di fatti abbia accumulato il valente folklorista siciliano, che porta in questo genere di studi la pacata e diligente accuratezza scientifica a cui la sua professione di clinico lo ha abituato. Egli, evidentemente, non ha voluto fare una scelta, non ha voluto perdersi in confronti, e lo dichiara fin dal preambolo: ha stimato, e a ragione, "carità di patria e dovere di storico il raccogliere e conservare le ultime immagini di un popolo che fino a ieri ebbe una spiccata individualità, della quale ha fatto ora spontaneo sacrificio rientrando nell'unità della gran famiglia italiana."

C'è in queste parole un profondo accento di tristezza che proviene dalla vista del radicale mutamento avvenuto nel contadino siciliano in questi ultimi anni. È un'impressione non giusta, ma inevitabile. Tre anni addietro ne fui vinto anche io, ritornato in Sicilia, dopo un lungo periodo di assenza, da cui mi venivano resi più evidenti i contrasti tra il presente e il passato38. Ma un appunto da me fatto al suo lavoro saprà, credo, rassicurare l'autore intorno all'avvenire del contadino siciliano. Ho notato la mancanza, o meglio la scarsezza di confronti e riscontri fra gli usi e costumi di parecchie provincie siciliane, specie delle meridionali, con quelli della provincia di Palermo e delle provincie limitrofe; e avrei dovuto notare la tendenza dello scrittore a generalizzare riguardo a certi usi e costumi.

Con questa osservazione, più che notare un difetto, intendevo far risultare un fatto: la persistenza di certe caratteristiche di razza nelle diverse provincie, persistenza che dimostra la tenacità di un elemento originario, primitivo, ancora attivo, che assorbisce le più o meno passeggere influenze, le trasforma, se le adatta, rimanendo, in fondo in fondo, sempre lui.

Ora io credo che quest'elemento primitivo, speciale della razza, salverà nella prossima trasformazione il contadino siciliano, come farà per le altre classi dell'isola, come ha quasi fatto per alcune di esse che sono già entrate, lievito di attività, nell'organismo della nazione.

Probabilmente il dottor Salomone-Marino lo ha intravveduto prima di me.

"Non ostante il socialismo, il comunismo, l'anarchismo che gli hanno importato in casa, il contadino siciliano è rimasto - tolgo in prestito queste parole dalla conclusione del libro - lavoratore attivo e diligente. Parco nei cibi, paziente, rassegnato, onesto e religioso in maniera sua speciale, aspira soltanto a vivere con meno disagio, possibilmente con agio, ma senza uscire dalla classe nella quale è nato.

"Diffidente, astuto, furbo, egoista, vendicativo, in grazia della sua docilità e malgrado la sua proverbiale testardaggine (proverbiale pei contadini di ogni paese, aggiungo io) egli si lascia facilmente persuadere e convincere, se preso pel suo verso, con dolcezza e benevolenza; reagisce con violenza e cieca ferocia, se gli si fanno angherie, se qualcuno abusa della sua buona fede e della sua ignoranza (pag. 355)."

L'aver contribuito a mettere in piena luce la vera fisonomia del contadino siciliano, qual'era pochi anni fa, non è intanto la minore delle opere meritorie del dottor Salomone-Marino, che deve rubare alla scienza medica e all'insegnamento universitario il tempo da consacrare agli studi prediletti della sua giovinezza.

Ora io vorrei che parecchi studiosi delle diverse provincie siciliane prendessero in mano, come autorevole testo, il libro di lui, e lo arricchissero di aggiunte, di riscontri, di confronti, di note.

Leggendo, e col semplice aiuto del lontano ricordo, io ho potuto notare parecchi usi e costumi viventi ancora in una provincia, e morti, o non mai esistiti in un'altra. Ne citerò uno soltanto, caratteristico assai.

Tra i proventi del frantoio di ulive (trappitu), il Salomone-Marino segna al N. 5 l'ogghiu di lu lamperi, cioè l'olio che deve servire per accendere le lampade durante il lavoro serale e notturno. Ebbene in Mineo (provincia di Catania) il volgare ogghiu di lamperi, messo sotto la protezione di un santo che la chiesa cattolica certamente ignora, vien chiamato: San Focale.

Può darsi che questo nome ricordi qualche antichissimo nume siculo, o sicano, o greco, a cui veniva offerta la primizia dell'olio da ardere. È certo però che questa trasformazione dell'olio per le lampade in San Focale è una delicata sfumatura che distingue una popolazione di razza greco-sicula da quella di razza fenicia e arabo-normanna.

 

 

 





37 Palermo, Remo Sandron, editore, 1897.



38 Vedi la mia conferenza: La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea. Bologna, Zanichelli, 1894.



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License