Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Gli ismi contemporanei
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ESCURSIONI D'ARTE MICHELE LA SPINA - IGNAZIO ORLANDO

II. GRAFOMANE?

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II.

 

GRAFOMANE?42

 

No. Certamente è un peccato che Salvatore Grita maneggi da qualche tempo in qua (ahimè da molto tempo in qua!) più la penna che la stecca; ma non è tanto facile trovare delle persone che, come lui, non perdano quasi punto nel cambiar mestiere. Dirò di più: sarebbe desiderabile che molti scrittori di mestiere (si noti, non dico: mestieranti) maneggiassero la penna con la stessa facilità di lui, con la stessa forza di arguzia, con la stessa ricchezza d'ironia che rendono gli scritti di questo scultore un'opera d'arte.

Quando ricordo il giovane che nel 1855 tornava nella sua città natale, Caltagirone, per esporvi la sua prima statua, La Speranza nella sventura, bruno, con folta capigliatura nera, con occhi nerissimi, con indosso l'ondeggiante chemise di lustrino nero allora in voga; e lo paragono all'uomo di oggi, canuto, accasciato, quasi curvo sotto il peso delle disgrazie d'ogni sorta, che però non son riuscite ad abbatterne l'animo imperterrito e a intorpidirne l'eletto ingegno, io mi sento preso da grande commozione e da più grande ammirazione. E penso: sì, è vero, ognuno di noi si foggia con le proprie mani il suo destino; ma, spesso, una crudele fatalità pesa talmente su certe creature umane, da non lasciare nessun dubbio che la responsabilità dello sconvolgimento di una vita debba attribuirsi, più che all'individuo, alle circostanze di cui egli è stato vittima.

Salvatore Grita appartiene a questa categoria.

La lettera che egli scrive all'onorevole Imbriani, a proposito della sua interpellanza pel monumento nazionale al Mazzini, è un capolavoro di 75 pagine che onorerebbe qualunque scrittore di grido. È eccessiva? Violenta? Impertinente? Aggressiva? È quale appunto lo scrittore l'ha voluta. Ma che logica stringente! Ma che mordente sarcasmo! Ma che brio e che umore, nel miglior senso di questa parola! Non una frase, non una parola vuota e fuori posto. L'argomentazione prorompe ex abundantia cordis, lo stile scatta, irride, graffia, morde: e nello stesso tempo si sente che nel suono della voce dello scrittore c'è qualcosa che sa di pianto, e si capisce che la mano di tratto in tratto ha dovuto arrestarsi perchè gli occhi erano gonfi di lagrime che gli velavano la vista.

"Leggete, leggete, ve ne prego, fatemi la grazia di andare fino in fondo: fo un debito per far stampare tutto questo, per così diminuirvi la fatica nel leggere, perchè amo che lo leggiate voi e quei pochi che vi somigliano." (pag. 29).

Salvatore Grita è tanto disgraziato che può darsi benissimo che forse neppur l'on. Imbriani (il quale pure legge tutti i plichi che gli inviano) troverà un quarto d'ora per vedere che diamine voglia da lui uno che comincia con dirgli: "Come? Anche voi vi schierate tra i nemici di Giuseppe Mazzini?"

Giorni fa tutti i giornali di Roma sbraitavano contro la monumentomania da cui è stato preso quest'ultimo quarto del secolo morente; tutti esclamavano: Troppe brutte statue! Troppi bruttissimi gruppi! L'Italia ne è profanata da un capo all'altro! Smettiamo!

Salvatore Grita, scultore, predica così da più di trent'anni, spassionatamente, per puro amore all'arte e della dignità nazionale, accompagnando le sue alte grida da ragioni estetiche, civili, economiche anche, se si pensa ai milioni miseramente sciupati... Ebbene, che profitto ne ha cavato? Quello soltanto di sentirsi chiamare spostato, mattoide, grafomane; anzi, no, non quello soltanto. Personalmente ne ha avuto il bel profitto di un ostracismo che più tardi, se davvero il mondo diventerà a poco a poco più civile e più onesto, parrà affatto incredibile.

Io non voglio entrare nella discussione di alcuni fatti riferiti in questa lettera all'on. Imbriani. Prima di pronunciare un giudizio bisognerebbe aver sentito, come suol dirsi, l'altra campana. E dico così più per rispetto al pubblico che per altro. Il Grita può in qualche punto della sua lettera eccedere, e fare qualche piccola reticenza (per quanto un uomo abbia la coscienza di essere spassionato, non sa difendersi interamente dalle insidie nel proprio interesse) ma è impossibile supporre che inventi di sana pianta, che calunni sfacciatamente Ministri, Segretari di Stato, Commissioni di esami, e che mentisca nella sua dignitosissima lettera alla contessa Ersilia Gaetani Lovatelli; la quale signora contessa ha permesso, senza fiatare, che il suo agente d'affari commettesse contro il Grita un'enormità di cui dovranno occuparsi i tribunali.

Ma di questi fatti personali lo stesso Grita parla a malincuore. Dice: "Vedrà: invece di attaccare le mie idee, prenderanno di mira la mia persona, e non su pei giornali ma nei crocchi, per calunniarmi più agevolmente."

Infatti, sono già parecchie settimane che la sua lettera all'on. Imbriani è pubblicata: nessun giornale ne ha fatto un cenno. E vada pei giornali politici! Ma per le riviste, pei periodici, pei giornali che si occupano di cose d'arte? Giacchè il Grita non è un ciarafuglione, un cervello arruffato; ha intorno all'arte sua una serie d'idee che egli sa esporre con chiarezza, con evidenza immaginosa, con entusiasmo di persona profondamente convinta, stavo per dire, di apostolo; e il pubblico che ha applaudito mesi fa alla conferenza del Nordau intorno alla Funzione sociale dell'arte, ignora che il Grita ha predicato con la stampa, e da un pezzo, le stessissime idee, non meno brillantemente e non meno efficacemente del troppo lodato scrittore tedesco.

Ecco: io, per parte mia, credo poco o punto al valore pratico della Funzione sociale dell'arte come oggi s'intende; mi sembra che nel porre questo problema si giuochi d'equivoco; e non si tenga, nel risolverlo, nessun conto delle mutate condizioni dello spirito umano. Io, per parte mia, credo che il primo dovere di un'opera d'arte sia quello di essere una bella opera d'arte; che il primo dovere di un'opera d'arte moderna sia quello di essere una bella opera d'arte che riveli di essere di oggi, e non d'ieri o di parecchi secoli fa, cioè non una reminiscenza, un pastiche.

Perciò, mentre vo d'accordo col Grita su alcuni punti, mi trovo molto lontano da lui intorno al valore del concetto in un'opera d'arte. Ma questo non m'impedisce di ammirare fino i suoi eccessi, in grazia della forma.

Egli biasima, e con evidentissime ragioni, lo stupido interpolamento delle allegorie antiche in un'opera di arte moderna.

"Coloro che trovarono quelle personificazioni erano uomini di genio, ed esse erano prodotti logici, storici, istruttivi, educativi; ma voialtri (parla a certi scultori) che tacete i fatti storici per darci dei rebus, voialtri siete ladri che rubate alla storia, che rubate pagine di storia alla patria.

"Gli antichi, delle loro allucinazioni facevano altrettante realtà; oggi dopo tanti secoli di progresso, dopo tanto lume di scienza, delle realtà fanno allucinazioni: ma che dico? rubano, copiano, applicano, no, appiccicano a sproposito le forme già sciupate dei prodotti d'immaginazione intellettiva di trenta, quaranta secoli fa" (pag. 8-9).

E con acuta ironia prosegue poco più in :

inutile che io mi sforzi di continuare a combattere le allegorie; me ne manca l'autorità: non sono un matricolato. Ma i matricolati, i laureati pare che arrossiscano di parlare delle arti plastiche contemporanee, o sono presbiti d'intelletto. Dev'essere proprio così, perchè vedo che essi ragionano tanto bene, parlando dell'arte di Raffaello e dell'arte preraffaellista, di Giotto e dell'arte pregiottesca, dell'arte romana, della greco-romana, della greco-egizia, dell'egizio-assira, dell'arte omerica e della preomerica! E non vi parlo dell'arte preistorica e con quanta lucidità la vedano e con quanta profondità di analisi critico-scientifica la giudichino; e come, dopo aver parlato del microcosmo della genesi e della sua evoluzione, attacchino l'estetica del microcosmo!

"Ma questi nostri grandi critici che vedono così limpidamente il grandissimo e il picciolissimo del passato, non vedono più le opere d'arte esposte che aspettano il loro giudizio... I signori dotti presbiti diranno, mi par di sentirli, che le allegorie le inventarono e immaginarono i grandi conduttori di popoli, i grandi legislatori... È vero; ma quelli erano grandi animali politici, e i nostri tesmofori sono dei politici animali quando approvano, se non suggeriscono, forme vuote di contenuto moderno. Gli antichi legislatori adoperavano le allegorie per colpire e persuadere le turbe, e vi riuscivano felicemente; se ne servivano per democratizzare, se così posso dire, i loro aristocratici pensieri e renderli comprensibili alle masse. Ma per far ciò si richiede la mente altissima d'un filosofo che analizzi ed astragga, il potente ingegno immaginativo di un artista che sintetizzi in forma plastica il nuovo tipo allegorico adatto a significare i concetti moderni, il contenuto razionale, come praticarono i classici e il medio-evo, come praticano in questo momento i giornali politici illustrati e soprattutti i giornali socialisti nelle loro allegorie" (pag. 10-11).

Un potente ingegno immaginativo d'artista! E leggendo una pagina che ragiona con parole di fuoco del monumento del Grandi per le Cinque Giornate parrebbe ch'egli si contraddica; giacchè quel potente ingegno immaginativo del povero Beppe Grandi ha, secondo me, fatto quel che il Grita vorrebbe, cioè ha sintetizzato in forma plastica un concetto storico, e così chiaramente, così evidentemente, che un plebiscito popolare impose ai giudici accademici la scelta di quel lavoro fuori concorso. Il programma voleva che il monumento fosse pure caserma per le guardie daziarie, e il Grandi, con un colpo d'ingegno immaginativo, ha fatto invece quel che ha fatto. Ma il Grita non si smarrisce; ha quasi preveduto l'obiezione, e si sdegna e schizza fiamme:

"Cinque allegorie delle cinque giornate, che vuol dire cinque modelle! Manetta del Frate, la lunedì; l'Organettaia, la martedì; Gigia la sudicia, la mercoledì: Antonietta Ruggerio, la giovedì; e Beppa la pillaccherona, la venerdì. Ecco le cinque giornate! Perchè rubate questo tempo, questa materia, o scultori, o Milanesi, ai vostri martiri? Perchè vi siete dimenticati del vostro zoppo Pasquale Sottocorno?... Come! Mi fate delle allegorie, della mitologia due secoli dopo che il Vico ha convertito la mitologia in istoria; due secoli dopo, della storia voi me ne fate mitologia!" (pag. 37).

Ed ho voluto citare questo tratto per dare un'idea della forma e per dimostrare che anche dove c'è eccesso nel concetto, c'è sempre qualcosa di profondo e di suggestivo.

Povero Salvatore Grita! Poche volte l'arte ha avuto un adoratore più fervente e più devoto di lui; e poche volte la devozione e il fervore sono stati peggio rimeritati!

Ormai è troppo tardi per lui; l'esperienza non potrà più insegnargli nulla. Ma il suo esempio rimarrà tipico, e forse non sarà inutile per qualche altro. Quando in un intelletto di artista la riflessione sopraffà la immaginativa, quando l'artista si preoccupa più del concetto come concetto e meno della forma come forma, avviene subito un disequilibrio nelle facoltà di lui; e, se le tristi circostanze della vita se ne mescolano un poco, si ha il doloroso spettacolo di un'eletta intelligenza artistica che si arrabatta nel vuoto.

Salvatore Grita oggi ha sessantanove anni. Ha modellato La Speranza nella sventura, la Cieca, Una monaca, simboleggiante l'abolizione dei Conventi, e quel gruppo Il bombardamento di Palermo che, più di ogni suo lavoro, mostra quali belle qualità tecniche possedeva questo ribelle, che poi non ha più potuto - e non per impotenza creatrice! - produrre altro, per quel che io sappia.

Se chi ne ha il facile mezzo in mano potesse dargli pace e tranquillità, forse i sessantanove anni non impedirebbero al Grita di fare un lavoro dove il pensatore e l'artista si mostrerebbero fusi assieme, opera d'arte da onorare lui e la scultura italiana. - Sit omen verbo!

 

 

 





42 Salvatore Grita, schizzi critici - Prima puntata. Roma, Tip. Economica Commerciale 1897.



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