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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Remigio Chiarenza era un felicissimo narratore. Noi, che passavamo le serate assieme con lui in quell'angolo del Caffè Biffi divenuto quasi proprietà della comitiva, lo chiamavamo il nostro Novelliere-gratis.
Infatti egli aveva sempre qualcosa da raccontare e, se non l'aveva, si divertiva, credo, a inventarla.
Veramente questa supposizione era di Carlo Pagano, il quale spesso gli domandava:
— Come sai tu questi particolari?
— Li so, e basta! — rispondeva Chiarenza.
Anche quando gli avvenimenti rasentavano l'assurdo, i particolari di essi erano così chiari, così precisi e — quel che pii importava — così logici, che bisognava dargli ragione allorchè egli dichiarava:
— L'assurdo non esiste! Niente è più assurdo delle cose ordinarie!
Lo ripetè la sera in cui Pagano si maravigliava che uno si potesse ammazzare per paura della morte. Il fatto era accaduto in un paesetto di provincia; un contadino che doveva partire, come soldato, per l'Eritrea dopo il disastro di Adua, atterrito dalla probabilità di essere ucciso in battaglia, si era fatto saltare il cervello con un fucile da caccia.
Quella sera Remigio Chiarenza disse:
— Costui non sapeva di mettere in atto la teorica di Alessio Bianchi: la vittoria della vita su la morte.
— Chi era costui?
— Uno squilibrato, diresti tu.
— Si è ammazzato anche lui per paura della morte?
— Quasi ci fossero parecchie morti!
— Intendo della morte per malattia e per vecchiezza.
Chiarenza cavò di tasca il massiccio portasigarette d'argento e ne accese una. Era il segnale che si preparava a raccontare qualcosa. Pareva che egli non potesse parlare senza veder salire e dileguar per l'aria i piccoli globuli azzurri del fumo che mandava fuori a lenti intervalli.
E cominciò:
— Alessio Bianchi — qualcuno di voi forse lo ha conosciuto, a Pavia, studente di filosofia e lettere — era un bell'uomo. E quasi questo non fosse sufficiente, era ricco abbastanza da non aver bisogno di lavorare.
— La filosofia lo ha guastato, certamente — lo interruppe Pagano.
— Poco, perchè egli soleva dire: — Avrei dovuto studiare medicina!
— Questo dimostra che era persona intelligente. — La professione del medico è la migliore del mondo, anche più di quelli dell'avvocato. Professioni senza responsabilità tutte e due; rovinano, ammazzano le persone.....
— Ti ripeti, caro mio, e diventi noioso! — esclamò Turletti.
— Certe verità non si ripetono a bastanza!
— Bianchi — riprese Chiarenza — non rimpiangeva di non aver studiato medicina per esercitare la professione, ma per via dei problemi che la fisiologia tenta di approfondire e di risolvere.
— Si vede bene che il tuo amico era uno sfaccendato!
— Era stato un gaudente fino a quarant'anni. Aveva sposato una bellissima signorina con ricca dote, non aveva figli... insomma non gli mancava niente per essere felice. Lo avevo perduto di vista da parecchi anni, quando lo incontrai alla stazione di Roma. Avrei stentato a riconoscerlo se egli non mi avesse chiamato con vivacissimo accento di contentezza: — Chiarenza! Chiarenza! — dallo sportello di una carrozza dov'era affacciato. Vedendomi un po' esitare aveva soggiunto: — Bianchi! Alessio Bianchi! — Oh! — E mi precipitai ad abbracciarlo. Si era affrettato a saltare su la panchina, domandandomi: — Dove vai? — A Napoli. — Anch'io. Qui c'è posto.... Ah, che piacere!.... Ti presento a mia moglie.
La signora, ancora giovane, elegantissima, era seduta abbandonatamente dal lato degli sportelli.
Ci volle poco per convincermi che il mio amico non era più il Bianchi di una volta. Era dimagrito; la pelle del viso aveva preso un colore terreo, smorto, gli occhi avevano uno sguardo.... appannato, quasi polveroso; non so come esprimere l'espressione di quegli occhi, dei quali ricordavo benissimo la luminosità sorridente. Eppure parlava con rapida commossa parola, come soleva allora, quando un sentimento lo eccitava. Se non che, nel suono della voce, c'era qualcosa di profondamente triste: e mi maravigliava in un uomo come lui.
— E sua moglie? — domandò Pagano.
— Non mi aveva fatto un'accoglienza cordiale.
— Disturbavi il loro viaggio di nozze!
— Non vuol dire; un viaggio di moglie e marito è quasi sempre un viaggio di nozze, a meno che...
— Non sia tutt'altro. Infatti era viaggio per un consulto. — Sono stato gravemente malato — egli mi disse. — Mi son sentito morire a poco a poco e poi ritornare, a poco a poco, in vita. Sua moglie intervenne, evidentemente per deviare il discorso. — È scapolo? mi domandò. — Per mia fortuna, no. — Ecco un uomo raro, che dice bene del matrimonio! — La conversazione continuò su questo tono. Alessio disse poche parole; con la testa rovesciata indietro, gli occhi socchiusi, pareva inseguisse fantasmi che gli sfuggissero dinnanzi; e, in certi momenti, faceva rapide mosse di labbra e sopracciglia, quasi sforzo di tensione per raggiungerli.
Ero disceso anch'io all'Hôtel Victoria, quantunque avessi accettato l'invito di uno stretto parente di mia moglie, che si era fabbricato un villino sul Vomero.
— Tienmi compagnia tre, quattro giorni: ho tante cose da dirti. Chi sa se ci rivedremo più!
La mattina dopo eravamo a passeggiare pei viali della prossima villa. Il mare, i colli, le case, tutto sorrideva sotto il mite splendore del sole che si era levato da poco. La profumata frescura dell'aria pareva arrivasse fin a rinfrescare lo spirito. Ma io non ho dimenticato la dolorosa tristezza da cui mi sentii opprimere tra tanta gioia di luce e di verde alle prime parole che Alessio Bianchi mi rivolse:
— Ti sei mai occupato del gran problema della morte?
— Il miglior modo di occuparsene è di non occuparsene affatto.
— Tu non l'hai vista da vicino la morte, io sì; per parecchie settimane. Mentre il mio organismo sembrava assopito, lo spirito, la mia intelligenza, la mia riflessione agivano con più libertà dell'ordinario, vedevano, osservavano, giudicavano. È orribile, caro Remigio! Quando siamo morti... forse non siamo morti compiutamente. Quando siamo morti.... forse ci vediamo, ci sentiamo, lentamente, ancora morire. È orribile! È orribile!
— Ebbene, che puoi farci se la Natura ha voluto così? Ma ormai tu sei guarito, mi pare, ed hai ben altro a cui pensare che a così inutile problema.
Lo guardai in viso, tanto strana mi parve la sua risposta.
Oh! Non immaginare che io pensi a l'Elisir di lunga vita o alla ricetta dell'Immortalità. Non sono sciocco, nè pazzo. Intendo di sapere se oggi c'è un mezzo di morire sùbito e assolutamente. Per questo son venuto a consultare uno dei più illustri fisiologi che onorino la scienza.
— Se è onesto quanto illustre, egli dovrà confessarti che non ne sa più di te e di me, nè del più ignorante dei contadini.
— Non è possibile.
— Ma, infine, perché questa tua incredibile preoccupazione?
— Perchè ho orrore di morire come tutti gli altri.
— C'è forse un'altra maniera di morire?
— Dev'esserci... dovrebbe esserci. E l'illustre scienziato non me lo dirà in un consulto. Durante il consulto parla il professionista che sa di dover usare dei riguardi e prendere delle cautele di faccia al cliente. Io vorrò sentir parlare l'uomo della Scienza in una conversazione nella quale lo scopo del mio consulto — se pure può dirsi tale — avrà l'aria di essere venuto in ballo per caso. È l'unico modo di sapere la verità, o quella che per ora vien ritenuta verità.
— E se non è?
— Oh!... Allora! — rispose Alessio con un'inesprimibile gesto di desolazione.
— Insomma, e quando avrai con certezza saputo il modo di morir sùbito e assolutamente, come tu dici, che farai?
— Mi ammazzerò senza attendere che mi ammazzi la morte.
— E tua moglie?
— Mia ritoglie? Povera donna! Si consolerà...
— Questo tu non puoi saperlo.
— Si è già consolata. Ha un amante; lo sposerà. È il meglio che potrà fare.
— E me lo dici così tranquillamente?
— Voglio bene a mia moglie: ci siamo sposati per amore. Son contento che abbia scelto una persona capace di renderla felice. Ho pensato al loro avvenire.
— Senti: — esclamò Pagano — il tuo amico era matto da legare; e spero che tu avrai avuto la buona idea di condurlo in un manicomio.
— Era un uomo serio — rispose Chiarenza. — Solamente ragionava a modo suo; la qual cosa non significa che ragionasse male; lo vedrai. Due giorni dopo eravamo a Posillipo, dal figlio di Pietro, assieme con l'illustre scienziato che aveva accettato l'invito a una colazione lassù. Mi pareva impossibile che davanti a quel mare, tra quel gran sorriso di luce che inondava il locale, tra l'allegra musica delle canzoni napoletane che veniva su dalle barche fermate a' piè della terrazza, si dovesse ragionare intorno al gran problema della morte e che da quella conversazione, in apparenza indifferente, dovesse risultare un tragico avvenimento.
*
* *
L'illustre scienziato era un amabilissimo compagno di tavola. La sua testa, folta di capelli grigi tagliati a spazzola, la sua barba, grigia anch'essa accuratamente foggiata a punta, non stonavano tra il nero dei capelli di Alessio che gli sedeva a destra, e i miei — allora, di un biondo un po' vicino al castano chiaro — che stavo dall'altro lato. C'era qualcosa di gioviale in quella faccia serena, ancora senza rughe; in quegli occhi che non venivano mortificati dalle lenti cerchiate d'oro. Parve fatto a posta!
Ci sono giorni, ci sono luoghi — egli disse — nei quali la vita fermenta, esplode, sfolgora, canta con tale mirabile violenza da far sentire più forte e più profonda la delizia di vivere!
— È un miserabile sarcasmo! — esclamò Bianchi.
— Perchè?
— Perchè vien, dopo, il tradimento della morte!
— Tradimento? — Ma la morte è la vita che si trasforma. Noi non ce ne accorgiamo; passiamo dalla fanciullezza alla giovinezza, alla virilità, alla vecchiaia, senza riflettere che in ogni istante abbiamo adempiuto a questa gran legge di trasformazione, la quale apparentemente ha un termine con la morte ma che, in verità, non si arresta neppure quando nel nostro organismo sembra cessata ogni percettibile funzione vitale. La scienza biologica non nega nè afferma che ci sia qualcosa oltre quello che vien chiamato materia. Gli scienziati però si possono permettere di affermare o di negare secondo certe loro convinzioni... Io, per esempio, che sono entusiasta della vita, non credo di dovermi affliggere perchè la mia individualità — formata da trenta trilioni di cellule — arrivato un certo momento, si disgreghi, e ognuna di esse vada per conto suo, con un po' della mia coscienza, forse, a costituire qualche altra provvisoria individualità...
— Con un po' della sua coscienza? — lo interruppe Alessio.
Ho messo avanti un forse, per comodo di ragionamento; ma in verità quel forse nel mio pensiero non c'è. Quando un dottore, per adempire al suo ufficio necroscopico, rilascia un certificato di morte, più che altro, fa, come è stato detto, un prognostico, non pronunzia un giudizio. Per essere sincero dovrebbe esprimersi così: — Questo cadavere è in via di morire e morrà certamente. — Parrebbe una stranezza, e il medico va per la più corta, dicendo: — Quest'individuo è morto.
— Così — fece Alessio, mascherando il suo sentimento con un sorriso — quando si è morti bisogna aver la pazienza di sentirsi, a poco a poco, morire.
— Già, — disse il professore — è come assistere a una specie d'insurrezione, di: si salvi chi può! Idee approssimative, probabili: giacchè, disgraziatamente, nessun gran fisiologo si è data la premura di studiare, appena morto, i fenomeni del dopo morte e di venire a riferirceli. Per dire il vero, ragionare a tavola intorno alla vita, sta bene; ma parlare anche del suo contrario... Oh, io non sono superstizioso! disse Bianchi — Neppur io — soggiunsi. — Specialmente quando chi parlando del... suo contrario vi mette un po' di quella poesia che la scienza non disdegna.
— Lasciamo stare la poesia — m'interruppe Alessio. — Dica, professore, non c'è verso di accelerare, di distruggere questo lento disgregarsi dei trenta trilioni di cellule?
— Certamente, a seconda della malattia, deve interporsi un più o meno lungo intervallo nell'operazione; ed io sono convinto che le cellule del cervello si godranno questa specie di spettacolo, perchè sono le ultime a finire. Può affermarsi però con certezza che, morto il cervello, cessa sùbito nell'organismo qualunque sintomo di vita. Il cervello, come si sa, può finir di pensare ed essere ancora focolare di vita inferiore, vegetativa. Se la scienza non avesse altre ragioni d'igiene, farebbe bene di astenersi da queste ricerche che, secondo me, non ci riveleranno mai il mistero della vita e quindi della morte. Ma se, per via di esse, si potrà giungere a prolungare l'esistenza, e a quasi sopprimere la vecchiezza....
— Non fa una gran bella cosa la Scienza! — esclamò amaramente Alessio Bianchi.
— Lei dimentica rispose l'illustre professore — che anche la Scienza sta nella Natura: è la sua, coscienza che si rivela a poco a poco; e dato che un giorno o l'altro la Scienza giungesse, a scoprire il segreto di prolungare indefinitamente la vita, vorrà dire che anche questo è nei riposti fini della Natura. Essa, caro signore, è più benefica di quel che ordinariamente non si crede. Lasciamo ai poeti lo svago di maledirla: li leggo anch'io qualche volta. Mi paiono dei ragazzi, dei selvaggi, che si maraviglino dell'ombra dei loro corpi e ci si arrabbino contro. Lei non è poeta credo... Sì, una sigaretta. Aiuti o no la digestione, fa gran piacere fumarla dopo un pasto così squisito come questo da lei regalatoci. Lei, signore, preferisce il sigaro.
— Anche per prolungare la sensazione — risposi.
Alessio si era affacciato alla finestra. Dalla riva sottostante si innalzava il patetico Addio, mia bella Napoli, e a me, che non avevo tralasciato un momento di osservare il mio amico, parve di leggergli in viso un altro addio rassegnatamente risoluto.
*
* *
— E si è ammazzato? — tornò a domandare Pagano.
— In modo orribile: con una cartuccia di dinamite in bocca, per distruggere affatto il cervello.
— Per non assistere alla lenta morte del suo cadavere? — soggiunse Turletti, scandendo ironicamente le parole.
— Proprio per questo.
— Ah! — fece Pagano. — E un uomo che sopporta tranquillamente che sua moglie, sposata per amore, abbia un amante e si mostra contento della scelta da lei fatta e fin provvede al loro avvenire, Chiarenza ha il coraggio di chiamarlo un uomo serio!
— Serissimo — rispose Chiarenza, accendendo un'altra sigaretta. — Sembrava impossibile anche a me che Alessio non nascondesse, sotto la serenità di quella confessione, un invincibile strazio. Sua moglie non aveva oltrepassato i trent'anni, e conservava una freschezza di carnagione che la faceva apparire più giovane che non fosse. Com'era avvenuto che soltanto dopo sei anni di matrimonio ella si fosse lasciata sedurre fino a dimenticare i suoi doveri di donna onesta? Non lo so, ma me lo immagino: in un momento di esaltazione, di aberrazione. Non era diversa dalle altre. Se Alessio non fosse stato sotto l'ossessione di quel suo orrore della morte e della ricerca — come si espresse parlando con me — di raggiungere la vittoria della vita su la morte, certamente le cose sarebbero andate altrimenti: non era un vigliacco Alessio Bianchi. — Dal momento che ero risoluto di ammazzarmi! — mi disse. — Perchè avrei dovuto turbare la felicità di quella creatura che avevo sposato per amore e che amavo ancora? Quando scopersi, da una lettera capitàtami in mano per caso, la relazione di mia moglie con Diego Poldi, ne fui turbato, sì — non ero di bronzo — ma dopo qualche ora di riflessione, ebbi la forza di darle la lettera, senza rimproverala, senza mostrarmi indignato. Ella mi si buttò ai piedi, piangendo, chiedendo perdono, sembrava di non sapersi spiegare lei stessa come fosse potuta arrivare fino a quel punto. Non fingeva, no. E quando, rialzandola quasi paternamente, le dissi: — Non piangere, tra poco, forse, rimarrai vedova. Hai scelto bene — Maria mi guardò sgomenta. Ah, se tu sapessi quel che è diventata per me! Come ha voluto farmi dimenticare, circondandomi delle più affettuose cure! Non la ho amata di più — era impossibile l'ho amata e l'amo tanto! — ma ho fatto di tutto per convincerla che dicendole: — Hai scelto bene! — non mentivo. So che non si vedono più; che lei è sotto la continua trepidazione di una sciagura non sa quale... Saprà, tra poco. Ho già preparato una lunga lettera per lei... e anche per lui. Non voglio andar via con qualche rimorso. —
Mi illusi: credetti che quella sua risoluzione di ammazzarsi, così freddamente calcolata, si sarebbe, a poco a poco, naturalmente ammortita, dileguata, e che la vittoria della vita sarebbe stata proprio tale, non già quella di non assistere alla lenta morte del suo cadavere... Ma Alessio Bianchi, checchè ne giudichiate voi, era un uomo serio:
— Sia! Sia! — disse Pagano. — Infine la vera vittoria è stata sempre della morte. Il meglio sono io che penso a mangiare, a bere, a dormire, a divertirmi come posso... La Scienza? L'abolirei. Gli animali sono felici perchè non hanno scienziati tra loro.
E Pagano fu contento di veder accolta da un gran scoppio di risa la sua breve sfuriata.