Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Il mulo di Rosa
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PARTE PRIMA

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PARTE PRIMA

 

Stanza con in fondo alcova, dalla quale è stato tolto il letto per apparecchiarvi la tavola per l'Invito di San Giuseppe. Ai due lati dell'alcova, a sinistra l'uscio della cucina, a destra uscio dietro cui si vede una scaletta di legno che conduce alla stanza di sopra. A destra, finestra che sulla via, e, più in qua, porta d'entrata.

Alla parete di fondo, nell'alcova, grande oleografia con cornice dorata rappresentante San Giuseppe con in braccio il Bambino. La tavola è apparecchiata per tre posti. A sinistra, nell'alcova, tavolinetto con tovaglia e su canestri di frutta coperti da rami di viole-a-ciocche.

Nella stanza, allattata a calce, cassettone con lume a petrolio, quadretto della Madonna del Carmine a cui è accesa una lampadina, due gatti di gesso e finti frutti di gesso colorato. Quattro sedie impagliate, oltre alle tre della tavola nell'alcova.

 

(Cecco, lo scemo, presso l'alcova, guarda con occhi spalancati ora la tavola, ora Rosa e Comare Stella che continuano ad apparecchiare, e si stropiccia le mani con strani gesti di contentezza. Rosa, vestita da festa, porta un fazzoletto a colori legato attorno al capo, ed ha la veste rialzata ai fianchi).

Rosa (a Cecco). Lèvati di torno, pan-perso! E non toccar niente.

Stella. Fa gola, poverino.

Rosa (continuando ad apparecchiare). Ha mangiato come un lupo in cucina.

Cecco (balbettando, da scemo: così sempre). Viva San Giuseppe!

Stella. Bravo!... Ma vàttene fuori.

Cecco. Quest'altr'anno... io San Giuseppe!

Rosa. Dov'è Mommuccio?

Stella. Nella via; gioca con gli altri ragazzi.

Rosa (affacciandosi alla finestra) Mommo! Mommuccio! Vien qua!

Stella. Il bambino si diverte.

Rosa (riprendendo a preparare). No, comare Stella. Io lo so come finisce con quei maleducati di compagni. Nella santa giornata di oggi non vo' bisticciarmi con nessuno. Le vicinacce crepano dall'invidia perché noi facciamo ogni anno l'invito per San Giuseppe.

Stella. Lasciatele cantare.

Rosa (c. s.). Per me, possono dire quel che vogliono; ma al ragazzo devono portar rispetto. Se non ha babbo, né mamma, e il cielo l'ha fatto e la terra l'ha raccolto, ora è come se fosse figlio mio. Che colpa ne ha, poverino, se è trovatello?... (A Cecco) Lèvati di torno, ti ho detto!

Cecco. Viva San Giuseppe!

Rosa. Va a prendere Mommuccio.

Cecco. I ragazzi: Mulo! Mulo!... Io, pugni, calci!

Rosa. Tu sta' cheto! Affèrralo per un braccio e conducilo qua.

(Cecco esce facendo gesti di dar pugni e calci).

Stella. Chi lo sa perché Domineddio fa venire al mondo certe creature? Non parlo per Mommuccio, ma per Cecco.

Rosa. Dicono che gli scemi sono anime buone. Il male che fanno non conta. Se ne vanno in paradiso diritto diritto.

Stella. Beati loro! I buccellati dove li mettiamo?

Rosa. Ognuno al suo posto, appoggiati alla parete. Quello del Bambino in mezzo... E mio marito non torna! Se padre Benedetto non potesse venire a benedir la tavola — il nome l'ha con sé — bisognerebbe chiamare un altro santo sacerdote. (Torna ad affacciarsi alla finestra). Mommo! Mommuccio, vien qua! (Parlando a qualcuno nella via) Oh, tu! Non toccare il bambino! ... È stato lui? Che cosa ti ha fatto?

Stella. Non v'impicciate coi ragazzi.

Rosa. Già la prevedo come andrà a finire!

Stella. È stato proprio fortunato questo bambino. Ha trovato babbo e mamma che gli vogliono bene più che a un vero figliuolo.

Rosa (sciogliendosi dal capo il fazzoletto e buttando giù la veste dai fianchi). Si fa voler bene, comare. Savio, obbediente. Ora che va a scola, non sembra un ragazzo. Ha il suo tavolinetto nella camera qui sopra, quaderni, libri, penne, calamaio. Appena tornato a casa, suo primo pensiero sono le cose di scola. Ha preso la medaglia l'anno scorso.

Stella. Che il Signore lo aiuti fino all'ultimo!

Rosa. Poco possediamo, ma questo poco sarà tutto suo. Con la grazia di Dio, voglio vederlo avvocato o dottore. Spesso letichiamo con mio marito intorno alla professione da dargli. Lui vorrebbe farne un prete, canonico, prevosto... Ma al giorno d'oggi, comare mia, ai preti è rimasta appena la messa; campano a stento. Il mio figliuolo vo' vederlo medico-chirurgo prima di chiudere gli occhi. O pure avvocato, come don Nele Capra qui di faccia. (Udendo gridi nella via, si affaccia alla finestra). Lo dicevo io!

Voci di ragazzi (dalla via). Mulo! Mulo! Mulo!

Rosa (minacciando con le mani). Figli di male femmine, che non si sa chi v'abbia fatto un braccio o una gamba!... Voi, che c'entrate voi? Sono stati costoro i primi. Il ragazzo bada ai fatti suoi. Insegnategli un po' di educazione ai vostri figliuolacci! Mommuccio, no, non tirar sassi. Cecco, portalo via! ... Ah, Signore! (Fa per uscir fuori).

Stella (trattenendola). Dove volete andare?

Rosa (tornando alla finestra). Cecco ne storpia qualcuno! Oh!... Mio marito! Sì, sì, sono stati loro... Tu, zitta, boccaccia di cagna! Se non un esempio in questa via!... Sbraita, sbraita ancora! Per questo il Signore vi mantiene scalzi e nudi!... Di me, non puoi dir niente! La balza della mia gonna buon odore!... E non ho bisogno di nessuno!

Stella (che più volte ha tentato di farla tacere). Zitta! Via! Volete mettervi con loro?

(Entra lo zi' Menico tenendo Mommo per una mano, mentre Cecco lo tiene per l'altra).

Menico (alla moglie). Basta! basta! Non andare in collera.

Rosa (baciando e accarezzando Mommo). Che cosa ti hanno fatto?

Menico. Non gli hanno fatto niente. Parole! Le parole non bucano la pelle.

Rosa. Ecco Don-tutti-in pace! Parole! Vorrei vedere che lo toccassero con un dito!... Ma neppur quelle debbono lasciarsi sfuggir di bocca. Non le sopporto.

Stella. Dice bene vostro marito: le parole non bucano la pelle.

Menico. Quante volte mi son raccomandato: — Stia in casa, stia in casa il ragazzo! — Fiato perduto. È sempre nella via, con certi compagni!... Si suol dire: — Impàcciati coi meglio di te e perdici pure i quattrini! — Figli di contadinacci, gente senza creanza, lo vedono vestito meglio di loro, vedono che va scuola... Invidia! Lasciali crepare di rabbia.

Rosa. No, no! Mulo non gliel'hanno a dire al bambino; mulo, no! (A Mommo) Chi è stato?

Mommo. Lui... il figlio della zia Tina!

Rosa. Quello stortaccio! (Va a prendere un biscotto dalla credenza). Tieni, màngiati questo biscotto... Quello stortaccio!

Mommo (rosicchiando il biscotto). Perché mi dicono Mulo? O che sono animale?

Rosa. E tu gli hai da rispondere: — Voi, voialtri siete muli, figli di male femmine!

Menico. Belle cose tu insegni al bambino! (A Mommo) Non devi rispondere niente! E smetti di fare il chiasso con loro; gioca da solo in casa!

Rosa. Già! Per far piacere a quei maleducati, ora lo terremo prigione in casa!... Si tàppino le bocche mamme e figliuoli, si tàppino!

Menico. Padre Benedetto...

Rosa (interrompendolo). Non può venire?

Menico. Viene. Mi ha dato la stola; riponila su la tavola. (Rosa eseguisce). Mi ha domandato: — Va a scuola il ragazzo? — Gli ho risposto: — E se Dio vorrà, ne faremo un buon sacerdote.

Rosa. Puoi levartelo di testa! Medico dovrà essere, o avvocato.

Stella. C'è tempo ancora!

Menico (sedendosi e ponendosi Mommo tra le gambe). Che cosa vuoi tu essere?... Prete?

Mommo (a testa bassa). No!

Rosa (a Mommo). Medico, è vero?

Mommo (c. s.). No!

Stella (a Mommo). Avvocato?

Mommo (c. s.). No!

Menico (ridendo). Contadino come me, dunque?

Mommo (c. s.). No!... Voglio essere...

Rosa. Dici, dici! Parla Dio per bocca degli innocenti. Che cosa vuoi essere?

Mommo (alzando la testa, risoluto). Carabiniere! Col pennacchio!

Rosa. Te l'ha suggerito il demonio!

Cecco (ridendo e con gesti di scemo). Carabiniere... agguanta ladri!... Spara!... Buhm! ... Anch'io carabiniere! ... Quest'altr'anno... io San Giuseppe!... Viva San Giuseppe!

Rosa. Medico, medico dev'essere!

Cecco. Ah! ah! Tocca il polso! Ah! ah!

Stella. Sarà quel che Dio vorrà!

Menico. Parole sante!

Rosa (accennando a Cecco, che accarezza Mommo). Gli vuol bene più di noi. Lo accompagna alla scuola e va a riprenderlo. L'altra volta, gli fece uno zufolino di canna e sonava tiù-tiù!

Menico. Ho incontrato mastro Titta che pretendeva di essere lui il nostro San Giuseppe. Dice che abbiamo fatto male invitando un ciabattino. — San Giuseppe era falegname come me. Che c'entra un ciabattino?

Rosa. Ubbriaconaccio! Mastro Paolo, poveretto, ha cinque figli. Fin che campa, sarà lui il nostro San Giuseppe.

Menico. Se tu vedessi come hanno adornato il Bambino e la Madonna! Meglio di quelli della Matrice.

Rosa. Gli ho dato anelli, orecchini, collana d'oro, collana di corallo...

Stella. Il Patriarca penserà lui a compensarvi di tanta carità.

Menico (a Stella). Quattro moggia di grano e sei quartucci di vino per ognuno: ventiquattro tarì a San Giuseppe, dodici alla Madonna e dodici al Bambino per farsi le scarpe, poverini! Mentre il Signore ci la santa provvidenza! E tutto pel ragazzo; è un voto.

Cecco (che ha guardato dalla finestra, facendo gesti d'allegria). Eh! eh! eh! ... Viva San Giuseppe!

Stella (dopo aver guardato anch'essa dalla finestra). Ecco la Madonnina e il Bambino!

Rosa (accorrendo alla porta). Fuori, fuori, signori miei! La stanza è stretta. Fate largo!... Lasciateli entrare!

(Entrano la Madonna, bambina di 8 anni, vestita di bianco, ornata di ori e di collana di corallo, con in testa una corona, di carta argentata, sul velo che le scende fino ai piedi; il Bambino vestito di bianco, con in testa una corona di carta dorata; tutti e due accompagnati dalle loro mamme, due povere donne, una delle quali in lutto).

Rosa. Vien qua, Mommuccio, Guarda: questo è il Bambino! Com'è bello! Sembra proprio il Bambino Gesù... Bacialo. E questa è la Madonnina. Sei contento, gioia della mamma? E San Giuseppe? Andate a chiamarlo, comare Stella.

(Entra mastro Paolo, con un fagottino sotto il braccio).

Mastro Paolo. Eccolo!

Menico. Come? Non siete ancora all'ordine?

Mastro Paolo. Ho portato il fagottino con il camice e il mantello; li indosso qua.

Rosa. E il bastone fiorito?

Mastro Paolo. È vero: mi è uscito di mente.

Menico. Spicciatevi a infilarvi il camice. (Lo aiuta a indossare il camice di mussola celeste, e gli annoda al collo il mantello di mussola color tabacco). E la barba? Senza barba bianca non sembrate San Giuseppe. Rosa, prendi un po' di bambagia e un po' di refe; gliela combino io, alla meglio. Così non può andare. (Rosa prende da un cassetto bambagia e refe, e Menico si mette a fare e ad adattare la barba a Mastro Paolo, legandogliela con refe dietro le orecchie). Si suol dire che San Giuseppe fece prima la sua barba e poi quella degli altri. (Ride). Che San Giuseppe voi siete dunque? Ecco fatto! Ora, sì.

Stella. Io torno in cucina.

Rosa. Vengo anch'io. (Al marito) Tu un occhio a questi ragazzi. (A mastro Paolo) Sedete, patriarca. Ci voleva, proprio, la barba... E pel bastone fiorito, come faremo?

Menico. Ci penso io. Cecco! (Gli parla anche coi gesti per farsi capir meglio). Giù... nella stalla... una canna, grossa così... Portala sùbito. Hai capito?

Cecco (quasi piangendo). Uh! ... Bambino io!

Rosa (scherzando). E madonnina, no? Anima buona! Su, va a pigliare la canna.

Cecco (c. s.). Bambino io... quest'altr'anno!

Rosa. Sì, sì! Va a pigliare la canna intanto.

Cecco (esce saltando e facendo strani gesti).

Mommo (toccando gli oggetti d'oro sul petto della Madonnina). Questi sono della mia mamma. È vero, mamma, che gli anelli, gli orecchini, la collana sono tuoi?

Rosa. Per ora sono della Madonnina; non toccarli. (Torna Cecco con tre grosse e lunghe canne). Una per Mommuccio... una per me.. e questa pel vecchio.

Menico (ne sceglie una, e per le altre dice a Cecco). Dopo. Mettile in quell'angolo. (Cava di tasca il coltello e taglia la canna a giusta altezza, dando il resto a Cecco per riporlo). Rosa, due viole a ciocche, di quelle bianche, e un altro po' di refe. (Lega le viole a ciocche in cima alla canna). Ed ecco il bastone fiorito per San Giuseppe. (Lo a mastro Paolo).

(Entra la Portinaia delle monache con un canestro coperto da un fazzoletto di seta a colori).

Rosa. Brava, la portinaia delle monacelle! (Scopre il canestro), Ringraziate suor Maria Teresa! Che bellezza!

Cecco (battendo le mani e saltando). Piatto dolce! Piatto dolce!

Rosa. Non si tocca. Sì, Mommuccio, ce n'è per tutti; ma prima dev'essere benedetto. (Leva il piatto dal canestro e va riporlo su la credenza. la mancia alla Portinaia, che ringrazia e va via. A Menico e alle due donne). Badate voialtri... Sono ragazzi... E Cecco è peggio di un ragazzo. Io vo a dare una mano di aiuto a comare Stella.

Menico. Bado io; sta tranquilla.

(Rosa esce).

(Poco dopo, entra Mauro, il portalettere, con borsa di pelle a tracolla; e, data un'occhiata attorno, fa gesti di maraviglia).

Menico. Avanti, mastro Mauro. Cose da poveretti. Che c'è di nuovo?

Mauro. Una lettera raccomandata. Non ve la prendete a male; dice: Al massaio Domenico Sorba, inteso il Ciuco.

Menico. Ciuco è chi l'ha scritta. E che cosa vuole costui? Chi è?

Mauro. Che ne so io? La lettera è sigillata. Ci vuol la ricevuta. Voi non sapete scrivere. Come si fa?

Menico. Sa scrivere mio figlio.

Mauro. La firma del bambino non vale. Farete una croce nel registro, e mastro Paolo sarà testimone.

Mastro Paolo. Il mio nome so scarabocchiarlo.

Mauro (a mastro Paolo). Sembrate vestito in maschera con cotesta barba di bambagia. Oggi ve la riempite bene la pancia! C'è tanto ben di Dio! ( il lapis a zi' Menico che fa una croce sul registro. A mastro Paolo:) La vostra firma qua. (A zi' Menico) Ecco la lettera.

Menico (volta e rivolta la lettera, sospettoso. A Mauro). Leggetela voi. Sentiamo che cosa vogliono da me. Chi ha avuto il capriccio di scrivermi?

Mauro (aperta la lettera, guarda la firma) Cavaliere Alfonso Gioia, giudice di tribunale.

Menico. Non lo conosco neppur di nome cotesto cristiano! Che cosa vuole?

Mauro. Lasciate che la legga tutta. (Zi' Menico lo guarda sempre più sospettoso, vedendogli scuoter la testa di mano in mano che va avanti nella lettura). Sapete che cosa dice? Dice che lui è il padre del ragazzo: che per certe circostanze, allora, fu costretto a metterlo ai trovatelli, e che ora...

Menico. È pazzo! Che mai pretende?

Mauro. Dice che ha fatto l'incartamento, che ha riconosciuto il bambino e che nella settimana entrante verrà a prenderselo. Ha già sposato la madre.

Menico (sbalordito, si passa e ripassa la mano sulla fronte; poi tutt'a un tratto esclama). Via! Stracciàtela cotesta lettera!... Ho capito! È scritta da un maligno, da qualche invidioso, per far dispiacere a mia moglie e a me! ... L'avete letta bene?... Dice proprio così?

Mauro. Se non sapessi leggere non sarei portalettere. Sissignore, dice che nella settimana entrante verrà a prenderselo, e che — non mi avete dato tempo di aggiungerlopagherà tutte le spese da voi fatte pel ragazzo e saprà pure levarsi l'obbligo... Se non credete a me, fatevela leggere da un altro. Qui c'è padre Benedetto.

(Entra padre Benedetto, cappuccino).

Padre Benedetto. Deo gratias!

Menico (a padre Benedetto). Vossignoria... Madonna santa, mi gira la testa! Questa lettera... questa lettera del diavolo... Scusi, padre Benedetto... Vossignoria legga... Può mai darsi? Viene a prenderselo? Legga, legga, per carità! Mi sembra cosa combinata. A Rosa intanto non diciamo niente, poverina!

Mauro. Io vo' via. Non ve la prendete con me perché vi ho recato questa mala nova. Il portalettere che ne sa di quel che c'è dentro le buste? Buone notizie, e triste notizie.

Menico. S'intende; scusate. (Mauro esce). Dunque, padre mio? Se arrivo a scoprire chi mi ha fatto il brutto scherzo, gli do querela!

Padre Benedetto (che ha già letto la lettera). Scherzo? Qui si parla sul serio. La lettera viene da Caltanissetta. Scrive un giudice di Tribunale.

Menico. Parla sul serio? Viene a prendersi il figliuolo che abbiamo allevato col sangue nostro...? (Abbraccia Mommo).

Padre Benedetto. Fa il suo dovere.

Mommo. Chi viene a prendermi?

Menico. Nessuno! Nessuno! ... Non può essere, padre mio!

(Cecco, che è stato attento al discorso, quasi facendo sforzi per comprendere, è andato intanto in cucina. Ed ecco Rosa, sbracciata, col grembiule di traliccio per non sporcarsi la veste).

Rosa. Che cosa c'è? Non ho capito niente delle parole di Cecco.

Menico. Che cosa c'è? Te lo dico io: un'infamità dei vicini! Nessuno me lo leva di testa.

Rosa. Qual'infamità? E cotesta carta?

Menico. È la lettera che ha portato or ora mastro Mauro.

Padre Benedetto. Vostro marito la intende così, ma la cosa è ben diversa. Questa lettera viene da Caltanissetta; i bolli non possono mentire. Capisco; per voialtri è una disgrazia, ma pel ragazzo...

Rosa (interrompendolo). Come c'entra il ragazzo?

Menico (accalorandosi). Cotesta lettera è falsa! Gli darò querela a chi l'ha scritta.

Rosa. Sentiamo. Che cosa dice? Sentiamo.

Padre Benedetto. Dice che il padre del ragazzo l'ha riconosciuto davanti a la legge, dopo di aver potuto finalmente sposare la madre; e che per ciò viene a riprenderselo. Ora il ragazzo non è più trovatello, ma legittimo. Dovreste esserne lieti anzi. San Giuseppe gli ha fatto questa grazia.

Rosa (scoppiando). San Giuseppe?... Se è stato lui!... Ma, prima, è da vedere chi gli restituisce il ragazzo! Ci vuol poco a dire: Viene a prenderselo!... Mio marito ha ragione: cotesta lettera è falsa. L'hanno fatta scrivere le vicinacce, male femmine che non sono altro, che si rodono il fegato dall'invidia... Gliela straccio in viso!... (Strappa di mano la lettera a P. Benedetto, corre alla finestra, rivolgendosi alle persone di fuori). Sì, sì, sudicione, ridete pure! Con la vostra lettera...

Menico (afferrandola per un braccio). Zitta!... Non gli dare tanta sodisfazione!

Rosa. Le vedi? A capannelli in mezzo a la via. Ma dovranno nettarsi la bocca prima di mangiare!...

Menico (impedendole di tornare alla finestra). E zitta, zitta, ti dico!

Padre Benedetto. Fate la volontà di Dio. Non ve ne date pensiero quest'oggi. Può darsi che le cose non stiano precisamente come scrive questo signore. Io non m'intendo di legge; so il breviario soltanto. Rivolgetevi a un avvocato.

(Entra comare Stella dalla cucina).

Stella. I maccheroni sono pronti!

Rosa. Che maccheroni e maccheroni!... Questo bel figlioletto! (abbraccia e bacia Mommo). Figlioletto mio! Gli voglio bene più che se lo avessi portato nove mesi nel ventre e gli avessi dato il mio latte!

Padre Benedetto. Non c'è ancora nessuna certezza. Perché angustiarvi così?

(Entra don Agrippino Branca, vestito tutto di nero, con giacchetta spelata e piena di frittelle, tuba sgualcita e unta, e grossa mazza senza pomo. Parla gravemente, strizzando spesso un occhio).

Don Agrippino. Salute, signori miei. È vera la notizia?

Rosa. Ah!... Voi che sapete di legge...

Don Agrippino. L'ho appresa per via. Ed ho detto: - Andiamo a sentire; dev'essere una fiaba.

Menico. Leggetela anche voi questa letteraccia!... Dite bene: sembra una fiaba pure a me.

Don Agrippino (siede, si mette gli occhiali a capestro e legge crollando ironicamente la testa. Poi, alzando la destra con un dito appuntato, sentenzia:) Gli facciamo opposizione! Come lo prova che il figliuolo è suo?

Rosa. Bravo!

Don Agrippino (con aria grave). Un foglio di carta bollata, e a cotesto signore, giudice di tribunale qual'è, gli daremo stoppa da filare e filo da torcere! Ve la sentite di fare una causa?

Menico. Anche dieci!

Don Agrippino. Devo metterci le mani io?... Se vi fidate di me... Non abbiamo la laurea, ma la pratica legale possiamo insegnarla ai meglio avvocati di pretura e di tribunale... Se ci metto le mani io, potrete dormire tra due guanciali. Pel momento, ce la caveremo con una diecina di lire: carta bollata, citazione, copia, diritti di cancelleria e di usciere... In quanto a me, non pretendo niente. All'ultimo, se vorrete regalarmi...

Padre Benedetto (tirando da parte zi' Menico). Siete matti? Volete farvi mangiare i quattrini da cotesto imbroglione, da cotesta bestia che non sa neppure dove il codice stia di casa?

Menico. Ma difende cause davanti al Conciliatore...

Rosa. (accostandosi a Padre Benedetto) Che dice vossignoria?

Padre Benedetto. Dico, se volete dar retta a me, di pensare intanto a San Giuseppe. Domani poi se ne ragionerà (Sotto voce) Non vi lasciate imbrogliare da costui!

Rosa. (battendosi con una mano la fronte) Ah, Bella Madre Maria! Il sogno della notte scorsa!... Gatto nero, mala nova!

Don Agrippino. Se non fate sùbito opposizione...

Padre Benedetto (interrompendolo). Storie! Che opposizione? Il padre può reclamare un figlio: lo dice la sola ragione.

Rosa. (rivolgendosi al quadro di San Giuseppe) Ah, San Giuseppe, San Giuseppe traditore! Ci fate questo bel regalo lo stesso giorno della vostra festa? (A mastro Paolo e agli altri) Andate via! Andate via! San Giuseppe, Bambino, Madonna! Tutti! Giacché non c'è giustizia in terra in cielo! (Piange, gesticola).

Padre Benedetto. Comare Rosa!... Che vi scappa di bocca?

Menico. (a don Agrippino) E voi che c'infinocchiate!...

Don Agrippino (alzandosi da sedere e levandosi gli occhiali). Fate di vostra testa e vedrete quel che accadrà. Vengono i carabinieri e conducono via il ragazzo.

Rosa. (disperatamente) Se lo trovano!

(Afferra per un braccio Mommo e lo trascina su per la scaletta tirandosi dietro l'uscio).

Don Agrippino (a zi' Menico). Pensateci meglio. Io me ne vado. Caso mai, mandatemi a chiamare. (Esce).

(Rosa ritorna, chiude l'uscio e si ripone in tasca la chiave).

Rosa. (a mastro Paolo e agli altri) Ancora qui? Andate via, vi ripeto! (A zi' Menico) E tu, stacca quel quadro dalla parete; non voglio vederlo più!

Padre Benedetto. Santa fede! Santa fede! Che Dio vi perdoni!...

Mastro Paolo. (dolente) O che ci entriamo noi? Penserò io; vi manderò tutto a casa!

(Mastro Paolo, il Bambino, la Madonna e le loro mamme escono lentamente, costernati).

Rosa. È da vedersi! È da vedersi!... Chi l'ha fatta questa barbara legge che permette di togliermi il ragazzo, dopo otto anni? (A zi' Menico) Su, lesto, dall'avvocato; non perder tempo! Io sto qui, a far la guardia! Devono passare sul mio corpo i carabinieri prima di pigliarsi il figliolo mio! Mio! mio! mio!... Se fosse stato davvero suo, non l'avrebbe buttato alla rota!

(Zi' Menico esce assieme con Padre Benedetto).

Rosa (scoppiando in pianto, dandosi colpi alla testa). Ah, San Giuseppe traditore!... Dopo che facciamo l'invito dei poveri, in onor vostro, per voto!... Figlio mio! Figlio mio!

Stella. Che disgrazia! Come mai? E la bella festa è andata per aria! (Piange anche lei).


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