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Questa volta il babbo si era fatto ascoltare. Aveva condotto la bambina in campagna dalla nonna, e perchè non fosse là sola sola, aveva menato anche Poldo il cuginetto, per tenerle compagnia.
Un mese dopo, chi l'avrebbe più riconosciuta?
La pelle della faccia e delle mani le si era abbronzata al sole peggio di quella del cugino.
C'era, voluto un po' per slanciarla, ma poi aveva preso l’aire; e ora quasi non c'era verso d'infrenarla. Toccava a Poldo di ammonirla.
– No, no; puoi farti male! Puoi cascare!
Tornava a casa coi capelli arruffati, pieni di sterpoli, di foglie secche, con le mani intrise di mota, con le gonnine in brandelli. Faceva a pugni con le bambine della fittaiola, sfidava Poldo alla corsa.
Quando la signora Bellotti col marito venne a riprenderla, si fermò spaventata alla vista della sua puppattola così tramutata.
– Oh, Dio mio! –
Non osava di abbracciarla e di baciarla.
Lidia portava, tenendoli per le gambe, due ranocchi, chiappati nella mota del ruscello, e le braccia e le mani sporche stillavano acqua. Arrivava rossa in viso, scalmanata, ansante per la corsa.
E la signora Bellotti dovette afferrarla per un braccio per impedire che le saltasse addosso e le insudiciasse la veste. La nonna rideva.
Tutt'a un tratto però il cuore della signora Bellotti fu profondamente commosso. Non badò a nulla. Non pensava più alla puppattola di una volta, lasciandosi brancicare da quelle mani bagnate, sporche di mota, e che non avevano buttato via la preda, i due ranocchi afferrati per le gambe. Era felice di vedere sua figlia sana, vigorosa, bambina di anni, di modi, di sentimenti quale doveva essere, quale avrebbe dovuto lasciarla essere prima.
E il marito, a tavola, mentre lei non finiva di notare il gran cambiamento della sua bambina, per punzecchiarla, le disse:
– Se vuoi ad ogni costo una puppattola, te ne comprerò una alta quanto Lidia; di quelle che dicono papà e mammà... –
Ma Lidia lo interruppe:
– Sarà per me, babbo, sarà per me!